ONOFRI, Fabrizio
ONOFRI, Fabrizio. – Nacque a Roma il 15 agosto 1917, da Arturo, poeta e scrittore, e da Bice Sinibaldi.
Si laureò in giurisprudenza, ma concentrò la propria attività nel campo letterario, collaborando a riviste e alla casa editrice Einaudi, per la quale curò alcune traduzioni e pubblicò il suo primo romanzo (Via del Maltempo, Torino 1942).
Il rapporto con l’editrice torinese era stato stabilito nel 1940 attraverso i suoi redattori romani (Mario Alicata e Antonio Giolitti), assieme ad altri giovani già impegnati nell’attività antifascista clandestina (tra gli altri, Pietro Ingrao, Antonello Trombadori, Paolo Bufalini). Allora Onofri era ancora su posizioni genericamente antifasciste: come scrisse in Esame di coscienza di un comunista (Milano 1949, pp. 49, 58, 64), il suo era un antifascismo «da caffè e da salotti, che aveva al fondo un risentimento aristocratico, sdegnoso, per tutto quanto di “plebeo” (ed era molto) si manifestava nel regime fascista».
Gli sviluppi della guerra e l’invasione nazista dell’Unione Sovietica lo spinsero verso l’attività cospirativa e l’adesione al Partito comunista. Di particolare importanza per farlo uscire dal radicalismo «piccolo-borghese» fu il legame stabilito dai giovani del gruppo comunista romano con alcuni operai. Onofri fu inoltre incaricato del rapporto con i comunisti cristiani e, dalla primavera 1943, di mantenere il collegamento con i dirigenti del Centro interno del PCI, a Milano. All’indomani dell’8 settembre 1943 partecipò alla guerra di Liberazione, per la quale fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare. Come membro del Comitato militare cittadino romano (di cui faceva parte assieme a Trombadori e Valentino Gerratana) coordinò i Gruppi di azione patriottica (GAP) di zona, che affiancavano i GAP centrali del PCI. Partecipò a diverse azioni, fra cui l’attentato contro il maresciallo Rodolfo Graziani al teatro Adriano, fallito per la mancata esplosione dell’ordigno.
Dopo la liberazione della capitale, iniziò l’attività di funzionario del Partito comunista italiano, cercando di conciliarla con quella di scrittore, fin quando, nel 1946, capì che era necessario compiere una scelta e impegnarsi esclusivamente nel mestiere di «rivoluzionario professionale» (Esame di coscienza..., cit., pp. 103 s.), anche se, nel 1948, pubblicò un altro romanzo con Einaudi, con lo pseudonimo di Sebastiano Carpi: Manoscritto. Dal 1945 lavorò nella Sezione propaganda del PCI, della quale fu responsabile tra 1946 e 1947 e, da quando fu costituita nel 1948, fece parte della Commissione culturale, seguendo per il partito il rapporto con gli intellettuali e continuando a essere un interlocutore di Einaudi. Nel 1948 fu eletto membro del Comitato centrale del PCI.
Il suo ragionamento era fortemente indirizzato verso la necessità dell’impegno politico degli uomini di cultura, come scrisse apertamente nella critica al romanzo Uomini e no di Elio Vittorini sull’Unità (12 settembre 1945) e come ribadì sulla rivista Risorgimento (edita da Einaudi, della quale fu protagonista) in una lettera indirizzata ancora a Vittorini, in cui affermava che il compito degli «intellettuali progressivi» non poteva essere altro che quello di «mettersi al servizio della classe operaia» (Lettera a un intellettuale del Nord [1945], 4, p. 325). Convinto della necessità di un maggiore impegno del partito tra gli intellettuali, riteneva la loro organizzazione imprescindibile per la costruzione di un rapporto organico tra politica e attività culturale.
Si occupò anche di Antonio Gramsci: per Einaudi preparò nel 1951 una storia d’Italia ricostruita attraverso brani dei Quaderni del carcere, che non fu realizzata, poiché l’editore la ritenne di troppo difficile lettura (Togliatti editore di Gramsci, a cura di C. Daniele, introd. di G. Vacca, Roma 2005, pp. 114 s.).
Dal 1948 entrò a far parte della Segreteria regionale comunista dell’Emilia-Romagna e due anni dopo, fino al 1954, di quella lombarda, trasferendosi a Milano.
Qui iniziò a svolgere le sue inchieste sulle trasformazioni del lavoro in fabbrica, che pubblicò in alcuni volumi e negli articoli apparsi su Rinascita e sul Contemporaneo, il settimanale comunista nato nel 1954 di cui fu tra i più assidui collaboratori.
A Milano, nel 1955, in contatto con Emilio Sereni della direzione del PCI, partecipò alla nascita della casa editrice Feltrinelli, della quale fu direttore editoriale, fin quando, per divergenze con Giangiacomo Feltrinelli, lasciò l’incarico e tornò a Roma, dove riprese il lavoro nella sede della Direzione del PCI e nella Commissione stampa e propaganda. In quei mesi, all’indomani del XX Congresso del PCUS e del rapporto segreto di Chruščëv, era in corso tra i militanti del Partito comunista, in particolare tra intellettuali e studenti universitari, un vivace dibattito nel quale gli organismi dirigenti del partito erano messi sotto accusa per la loro reticenza. Le polemiche si fecero ancora più critiche quando fu pubblicato integralmente su Rinascita (luglio 1956, pp. 365-369) l’intervento di Onofri al Comitato centrale del PCI di fine giugno, nel quale denunciava il processo di «degenerazione», «burocratizzazione», «opportunismo di fatto», culto dell’«unità formale» nella vita interna del partito, iniziato nel 1947, con la nascita del Cominform.
Per Onofri infatti era stata allora abbandonata la linea politica della «via italiana al socialismo», non solo per l’accettazione passiva della nuova linea, ma perché lo stesso PCI aveva fatto propria l’interpretazione del Cominform sui «rapporti di forza su scala internazionale» e sulla «minaccia della guerra». Di conseguenza, in quegli anni iniziò «un nostro distacco dalla realtà, e quindi un nostro processo di burocratizzazione che si farà via via più grave». All’articolo seguì una dura replica di Togliatti (pp. 369-372), in cui questi bollava le posizioni di Onofri come disfattiste (i testi sono ripubblicati in appendice al volume di Onofri Classe operaia e partito, Bari 1957, pp. 201-222).
La situazione di Onofri all’interno del PCI divenne ancora più difficile dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, tanto che non fu delegato all’VIII Congresso (dicembre). In contatto con altri dirigenti in dissenso con il partito, come Antonio Giolitti ed Eugenio Reale, senza però che questo portasse alla formazione di un gruppo organizzato, esplicitò le sue critiche in alcuni articoli, in particolare su Nuovi argomenti (novembre 1956-febbraio 1957, pp. 48-84), a seguito dei quali fu convocato dalla Commissione di controllo della Federazione di Roma. Rifiutando di presentarsi, rispose a sua volta (24 gennaio 1957) che, non potendo «più accettare la linea di condotta, i metodi e le forme statutarie di un partito che è capeggiato – non diretto – da un gruppo di uomini insensibili e incapaci», non avrebbe rinnovato la tessera. Come fu comunicato sull’Unità (26 gennaio 1956), la Commissione di controllo lo espulse, perché «indegno di appartenere al partito» (Classe operaia e partito, cit., pp. 17-21; in appendice i suoi articoli).
Nelle settimane successive offrì il suo appoggio all’unificazione socialista. Più avanti, assieme a Marco Cesarini Sforza fondò la rivista Tempi moderni dell’economia della politica della cultura, che, dopo la crisi del 1956 – come scrissero nel primo numero «di consultazione» (luglio 1957, pp. 1 s.) – si poneva l’obiettivo di compiere una «revisione metodologica generale» dell’esperienza della sinistra e di tutti quegli istituti – partiti, sindacati, commissioni interne, parlamento ecc. – la cui azione si era dimostrata insufficiente rispetto «agli sviluppi e alle modificazioni strutturali della società italiana».
Diretta da Onofri, la rivista – che accompagnò la propria attività con l’organizzazione di dibattiti e convegni – uscì dal marzo 1958 all’inizio del 1977 in quattro diverse serie editoriali, inizialmente come mensile presso la Nuova Italia. Grazie ai rapporti con la sinistra socialdemocratica che faceva capo a Matteo Matteotti, Onofri ebbe i finanziamenti per costituire il Centro italiano di ricerche e documentazione (CIRD), che dall’aprile 1960 fu editore della seconda serie del periodico, divenuto trimestrale. Il CIRD svolse ricerche, riprodotte in parte sulla rivista, sulle trasformazioni strutturali e politiche dei partiti e dei sindacati e sui temi connessi alla programmazione economica. Sostenitore dei governi di centrosinistra, ne seguì le vicende con le cronache raccolte nell’Annuario politico italiano (1963-68). Particolare attenzione Tempi moderni prestò anche al federalismo europeo. Nel 1968 si esaurì questa serie ed ebbe fine l’esperienza del CIRD. La rivista uscì dal proprio specialismo, aprendosi a diversi ambiti culturali. Le ultime due serie furono edite da Dedalo, fin quando, dopo tre fascicoli autogestiti, nel gennaio 1977 cessarono le pubblicazioni.
Nel corso degli anni Sessanta Onofri fu attivo nella stesura di saggi e volumi di indagine sociologica e politica della realtà italiana, appassionandosi poi sempre più ai movimenti spontanei e collettivi, sui quali condusse un’ampia ricerca nella convinzione che essi – dopo il fallimento «di un modello di rivoluzione di tipo sovietico», della socialdemocrazia e del comunismo – costituissero «gli unici canali e strumenti di mutamento delle società burocratiche» (Controcultura e rivoluzione. Movimenti spontanei e poteri controrivoluzionari, Firenze 1974, pp. 14, 33).
Di carattere non facile, personalità litigiosa, che «rifiutava di “vendersi” a chi cercava di dargli una mano» (Pirani, 2010, p. 247), intellettuale poliedrico, oltre a riprendere a scrivere romanzi, collaborò a diverse sceneggiature per la televisione e il cinema: tra queste, Tiro al piccione (1961) e Sacco e Vanzetti (1971) di Giuliano Montaldo, I cannibali (1969) di Liliana Cavani, Progetto Norimberga (1971) di Gianni Serra. Nel 1980, quando Mario Pirani divenne direttore dell’Europeo, vi curò per breve tempo una rubrica.
Si sposò due volte, con Michela Bucci e Lou Leone, separandosi da entrambe.
Trasferitosi a Fregene (Roma), morì in solitudine l’8 maggio 1982.
Opere: Roma 31 dicembre, Torino 1961; In nome del padre, Firenze 1968; Pene d’America, Bari 1972. Saggistica: La condizione operaia in Italia, Roma 1955; Relazioni umane, con M. Spinella, Roma 1956; Socialismo e potere, Milano 1963; Potere e strutture sociali nella società industriale di massa, Milano 1967; L’uomo e la rivoluzione, Bologna 1968.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Istituto Gramsci, Raccolte, biografie memorie testimonianze, f. F. Onofri (dove è conservato il dattiloscritto del Sommario della storia d’Italia). Necr.: l’Unità, 10 maggio 1982 (A. Trombadori); la Repubblica, 11 maggio 1982 (G. Rocca); La Stampa, 11 maggio 1982. P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, IV, Torino 1973; V, ibid. 1975, ad ind.; N. Ajello, Intellettuali e PCI 1944-1958, Roma-Bari 1979 (nuova ed. 1997), ad ind.; O. F., in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza, IV, Milano 1984, ad vocem; A. Di Virgilio, Politica e scienze sociali in Italia nel secondo dopoguerra: l’esperienza di «Tempi moderni», in Il Politico, L (1985), 2, pp. 257-297; A. Vittoria, Togliatti e gli intellettuali. Storia dell’Istituto Gramsci negli anni Cinquanta e Sessanta, Roma 1992, ad ind.; Id., Nascita della democrazia e impegno degli intellettuali in «Politecnico», «Risorgimento» e «Società» (1945-1948), in Storia contemporanea, XXVII (1996), 6, pp. 1121-1163; G. Gozzini - R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano, VII, Torino 1998, ad ind.; L. Mangoni, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni Trenta agli anni Sessanta, Torino 1999, ad ind.; M. Pirani, Poteva andare peggio. Mezzo secolo di ragionevoli illusioni, Milano 2010, ad ind.