FOPPA PEDRETTI, Ezio
Imprenditore nel settore del giocattolo e dell’arredo in legno, Ezio Foppa Pedretti nacque a Telgate (Bergamo) il 3 giugno1927, da Luigi (di professione falegname) e Matilde Magni (insegnante di scuola elementare). Fu il terzo di quattro fratelli: Giuseppe (1923), Tito (1925) e Letizia (1930).
Fin da piccolo cominciò a manifestare attitudini e doti caratteriali che ne avrebbero segnato la vita e decretato il successo. Già attorno ai sei- sette anni la precoce vocazione a lavorare con il legno gli consentiva di realizzare sorprendenti costruzioni, come piccoli carretti con dettagli ingegnosi che ne mettevano in luce le capacità e insieme la creatività. Per costruirli utilizzava ritagli e scarti e manici di ombrello difettosi recuperati dalla fabbrica dello zio Pierino.
Proprio per via dell’intraprendenza e del temperamento vivace una zia lo aveva soprannominato ‘grè de pier’ (granello di pepe).
Dopo la scuola elementare Ezio e il fratello Tito frequentarono un istituto di avviamento professionale a Palazzolo sull’Oglio. Al termine del ciclo triennale Ezio completò il percorso di formazione con un corso presso un istituto tecnico industriale di Bergamo.
Terminati gli studi, Tito si inserì nella fabbrica dello zio Pierino, Ezio, invece, all’epoca quindicenne, venne mandato alla Fervet (Fabbricazione e Riparazione Vagoni e Tramway) di Seriate. Ma la società, che si occupava di riparazione e trasformazione di carri e carrozze ferroviarie, non era per Ezio il luogo ideale dove lavorare. Il metallo non esercitava su di lui lo stesso fascino che gli trasmetteva il legno. Insoddisfatto del nuovo impiego, avviò in quel periodo una piccola compagnia teatrale, alla quale si dedicava nelle ore libere. Pur non essendo particolarmente portato per la recitazione, quell’attività gli consentiva di esprimere passione e inventiva.
Col passare del tempo il lavoro alla Fervet divenne per lui sempre meno piacevole e, complice il drammatico periodo del conflitto, decise di lasciarlo poiché gli divenne chiaro che doveva assecondare la sua innata passione per il legno, cominciando in tal modo a dare forma al futuro della sua vita professionale. Con fatica convinse il padre, mentre trovò nella madre l’appoggio sperato.
Benché sentisse il forte desiderio di lavorare con il legno, non aveva ancora ben chiaro cosa realizzare. Non avendo a disposizione attrezzature appropriate gli sembrò troppo azzardata l’idea di avviare un’attività per produrre mobili, così come era stato per il nonno paterno Paolo. Di conseguenza, avendo all’epoca solo 17 anni (1944), pensò di iniziare dalla passione che aveva avuto fin da bambino di costruire giocattoli in legno. Chiese allora allo zio Pierino di poter utilizzare i suoi macchinari alla sera, una volta smesso il lavoro degli operai. Cominciò così a dare forma e ad assemblare diversi modelli tra piccoli animali, semplici carriole e locomotive trainabili su ruote. Per colorarli e rifinirli, rendendoli diversi uno dall’altro, come tanti pezzi unici, coinvolse gli amici e soprattutto i fratelli Tito e Letizia, iniziando a evidenziare una delle caratteristiche fondamentali del futuro modello imprenditoriale di tipo famigliare che poi metterà in campo.
L’immediato successo delle vendite di questi primi prodotti lo spronarono a proseguire, corroborato anche dalla famiglia. Il passo successivo fu di esporli ai mercati della zona (a Palazzolo di Sarnico e Palosco). Anche questo secondo banco di prova diede esiti positivi, confermando l’attitudine al commercio che caratterizzava i discendenti della famiglia Foppa Pedretti: dal nonno Paolo che aveva una fabbrica a conduzione famigliare di prodotti per l’arredo, carri agricoli e casse in legno, al padre Luigi proprietario di una falegnameria, allo zio Pierino – con il quale lavorò Luigi, padre di Ezio, una volta chiusa la sua falegnameria nel 1926 – a sua volta titolare di quell’attività per la lavorazione di manici d’ombrello che Ezio aveva utilizzato nelle sue prime costruzioni.
A quel punto si rese conto che sarebbe stato necessario attrezzare un vero e proprio laboratorio per i suoi giocattoli, che stavano superando la semplice fase sperimentale per approdare a quella di veri e propri prodotti di vendita. Sul finire del 1945 fu lo stesso zio Pierino a segnalargli la possibilità di rilevare dal deposito di un’altra attività, il Colorificio Sebino, delle macchine per la lavorazione del legno: una piccola sega a nastro, una pialla a filo, una pialla a spessore, un piccolo trapano e una fresatrice.
Con l’ausilio della famiglia li acquistò per 150.000 lire, avviando in tal modo nel 1946 il suo primo laboratorio artigianale (allestito in un locale dell’abitazione famigliare), con la denominazione Fabbrica giocattoli dei fratelli Ezio e Tito Foppa Pedretti, con sede a Telgate, in via Marenzi (Ezio aveva chiesto al fratello Tito di associarsi con lui nell’attività lasciando il lavoro che aveva presso l’azienda dello zio).
Prese avvio a quel punto una vera e propria produzione di giocattoli, organizzata in modo sempre più adeguato in risposta al piccolo mercato che andava allargandosi rapidamente. Proprio per questo chiese l’aiuto di alcuni amici, ma soprattutto alla sorella Letizia che diventerà una delle sue più valide collaboratrici.
Con impegno ed entusiasmo, aiutato dai fratelli e dagli altri collaboratori, Ezio cercava di rispondere alle crescenti richieste che in breve tempo portarono verso una prima diversificazione dell’offerta, come nel caso di un bauletto in legno per la merenda destinato ai bambini dell’asilo, che creò dotandolo di fori laterali, con la maniglia studiata per le piccole mani dei bambini e personalizzato con disegni e colori per distinguerli tra maschi e femmine.
Intuì abbastanza rapidamente attraverso quali canali pubblicizzare e vendere i suoi prodotti: il primo fu il fruttivendolo di Telgate, poi allestì un banchetto ai mercati di Sarnico, Palazzolo e Palosco; seguirono poco dopo altri negozi a Bergamo: non solo i giocattoli (di cui cercava continuamente di aumentare l’assortimento), ma anche il bauletto, che entrò stabilmente nella produzione, come testimonia il primo catalogo illustrato che arrivò a comprendere intere camerette per le bambole.
Intanto, sul finire degli anni Quaranta, si liberarono i capannoni dove c’era stata l’attività dello zio Pierino. Ezio ne occupò subito una parte perché era già pressante la necessità di ingrandire il laboratorio iniziale.
Fu sempre interessato e disponibile a mettere in produzione nuove tipologie di prodotto in legno. Nonostante i giocattoli, inclusi i trenini, rimanessero il punto forte del catalogo, cercò di procurarsi fin dall’inizio (1946-47) commesse per articoli in legno che con i primi non avevano nulla a che fare (come un apposito bastone usato dai cacciatori per richiamare le allodole o aste flessibili in legno di acacia per una tessitura locale), ma che in quel momento risultavano fondamentali per consentire all’attività di svilupparsi.
Con l’avvicinarsi degli anni Cinquanta quella dei fratelli Foppa Pedretti tese a diventare una vera attività industriale, in concomitanza con il più generale sviluppo del tessuto italiano delle piccole e medie imprese, epigoni di botteghe e laboratori artigiani diffusi sul territorio, che videro l’affermazione, tra gli altri, dei settori dell’arredo e delle attrezzature per la casa.
A dare ragione in quelle circostanze dell’andamento positivo della società furono da un lato l’attenzione meticolosa posta nelle diverse fasi di lavorazione – Ezio aspirava alla massima qualità di ogni pezzo eseguito –, dall’altro la particolarità della fase storica che stava attraversando il Paese, segnata dalla rapidità della crescita, da forti cambiamenti economici in campo imprenditoriale, nella distribuzione, a livello sociale e, di conseguenza, nella vita domestica e lavorativa. E mentre l’Italia andava creando le coordinate esatte per avviarsi verso la fase di benessere tanto atteso, la cultura del disegno industriale cominciava a dare forma al suo specifico modello che portò a oggetti allo stesso tempo di alto livello estetico e molto spesso esemplificativi di innovazioni tecniche.
Ezio, tuttavia, per formazione – forse anche per casualità – rimase estraneo dal quel contesto e dalle sue dinamiche. Non ebbe mai espliciti contatti con le molte figure che si muovevano sulla scena del design (architetti, designer, artisti-designer, o imprenditori appartenenti al mondo del mobile e del complemento d’arredo, in particolare in ambito brianzolo e milanese). Probabilmente non era a conoscenza degli sviluppi della tipologia del giocattolo, che aveva già visto importanti passaggi nella storia della progettazione, come per gli studi compiuti alla Scuola del Bauhaus durante gli anni Venti.
Col crescere del lavoro durante la prima metà degli anni Cinquanta crescevano anche le ore a esso dedicate durante la giornata e senza saperlo Ezio e i fratelli stavano realizzando una serie di giocattoli distintivi dell’epoca (ne fu conferma, sul finire degli anni Ottanta, la partecipazione di alcuni suoi pezzi alla Mostra del giocattolo d’epoca e sua cultura, allestita a Palazzo Strozzi a Firenze nel 1988). Già in quella fase il tipo di produzione era tra le più qualificate a livello nazionale e il nome Foppa Pedretti (che solo dagli anni Ottanta diventerà Foppapedretti) era ormai conosciuto come un marchio di qualità sul mercato di Bergamo e provincia, al punto che Ezio decise di espandere le vendite spingendosi fino alla piazza milanese, riuscendo in breve tempo a stipulare un contratto di fornitura con i grandi magazzini La Rinascente – luogo strategico, come noto, in quegli anni, al centro della scena della nascente cultura del design italiano. È chiaro allora che quella della Foppa Pedretti andò definendosi come una delle tante strade alternative con cui prese identità il modello del design nel nostro Paese. Risulta sorprendente infatti la coincidenza di date tra questa esperienza imprenditoriale e i significativi avvenimenti del periodo, come l’istituzione nel capoluogo lombardo del Compasso d’oro nel 1954, la nascita dell’Associazione per il disegno industriale (ADI) nel 1956 e le edizioni delle Triennali milanesi tra il 1951 e il 1960.
Per rispondere all’espansione dell’azienda, Ezio, Tito e Letizia attrezzarono un nuovo laboratorio con macchinari all’avanguardia, anche di importazione. L’innovazione del sistema produttivo era finalizzata a lavori sempre più dettagliati e complessi, come svuotare o scontornare vari pezzi sagomati impiegati poi per la realizzazione dei diversi articoli. Nello stesso periodo venne acquistato anche un impianto di verniciatura a velo d’acqua per limitare l’inquinamento dell’aria provocato dalle esalazioni dei solventi utilizzati. Divenne indispensabile creare anche un reparto di montaggio nel quale erano levigate e assemblate le varie componenti dei giocattoli.
Sempre a Milano si presentano a Ezio due nuove significative occasioni: la prima fu l’incontro con Cesare Mapelli, proprietario della Mapelli & C., in quel momento prestigioso grossista di giocattoli e casalinghi sul territorio nazionale (che dal 1948 era diventato fornitore ufficiale de La Rinascente), con sede in zona Ticinese; nel secondo caso entrò in contatto con i titolari della Braglia, impresa produttrice del ‘meccano’, per la quale iniziò a realizzare dei contenitori per i numerosi e diversificati componenti del celebre gioco.
Verso la fine del 1951 iniziò la collaborazione con Franco Lamperti, esperto venditore milanese del comparto dei giocattoli, che da lì in avanti si occupò del settore delle vendite consentendo a Ezio di concentrarsi maggiormente sul fronte dell’ideazione degli articoli. Lamperti ebbe inoltre un ruolo significativo nel mettere Ezio in contatto con altri professionisti che entrando successivamente in relazione con l’azienda l’aiutarono a crescere.
Dal punto di vista progettuale, intanto, andò costituendosi abbastanza presto un ufficio interno di disegnatori tecnici che lavoravano a stretto contatto con Ezio nella definizione e ingegnerizzazione dei nuovi prodotti.
In tale contesto risultò determinante per molti anni la figura di Franco Andreoli, già proprietario di un piccolo stabilimento che produceva prodotti per la casa, da lui stesso disegnati. Una volta cessata l’attività, Andreoli fece il primo passo nell’offrire la sua collaborazione a Ezio, entrando in modo stabile in azienda a partire dalla fine degli anni Sessanta e rimanendovi fino al 1980.
Nel 1952, su suggerimento di Lamperti, Ezio cominciò a rivolgere la sua attenzione al settore della prima infanzia. Scoprì che la produzione di seggioloni in legno era ancora poco diffusa sul territorio nazionale. Decise quindi di impegnarsi nella progettazione anche di questo articolo, senza grandi problemi dal momento che l’azienda era ormai dotata di attrezzature che consentivano facilmente la loro messa in produzione.
Lo studio del Seggiolone in faggio, pensato fin dall’inizio in numerose varianti, portò nel 1958 a un modello di notevole successo. Questo fu il primo significativo prodotto realizzato in grande serie dalla Foppa Pedretti e per molto tempo ne fu il punto di forza, l’articolo più rappresentativo. Il progetto, in questo caso, nacque per mano di Andreoli, che lo perfezionò a più riprese nei dettagli, depositandone i brevetti d’invenzione; venne poi ridisegnato e perfezionato nel 1977 assumendo il nome di Sediolone. Questa nuova versione pieghevole confermò il successo di un articolo che continua ancora oggi a essere tra i prodotti più iconici dell’azienda.
L’esito favorevole di questo primo prodotto per l’infanzia convinse Ezio a metterne a punto un ulteriore modello, ancora più funzionale perché costituito da due parti assemblabili tra loro, una delle quali fungeva da girello.
La seconda metà dei Cinquanta rappresentò un momento di passaggio cruciale per la produzione, ovvero per le tipologie di prodotto che cominciarono a caratterizzare il catalogo delle vendite; quello fu anche il momento in cui andò trasformandosi il ruolo di Ezio come ideatore unico degli articoli. Infatti, se fino al momento in cui si era trattato di dare forma ai soli giocattoli tutto il processo che possiamo definire progettuale era stato di suo appannaggio, da quando cominciò la produzione di tipologie di prodotto più complesse (prima le attrezzature per l’infanzia, poi complementi d’arredo per la casa), Ezio ebbe via via necessità di essere affiancato da disegnatori tecnici (come Andreoli) per arrivare a definire i nuovi articoli in tutta la loro complessità. Nonostante ciò, la creatività ma soprattutto l'ingegnosità di Ezio lo rendono paragonabile alla figura degli anonimi inventori americani del XIX secolo, che si impegnarono per primi con la meccanizzazione del mobile e sperimentarono in anteprima i requisiti di variabilità e trasformabilità, attenti inoltre a coprire con brevetti d’invenzione i loro oggetti, proprio come fece nella maggior parte dei casi Ezio.
Allo stesso modo, per questo schivo imprenditore di Telgate immaginare prodotti innovativi per l’infanzia fu principalmente una questione di funzionalità, di soluzione di un problema d’uso pratico; in altri casi persino di multifunzionalità (quando si trattò di articoli trasformabili e/o pieghevoli che nacquero successivamente per la casa) insieme alla qualità dei dettagli, la cura realizzativa e l’implicito aspetto estetico.
Addentratosi nel territorio merceologico delle attrezzature per la prima infanzia, che dimostrava avere un buon potenziale di mercato, l’articolo che ebbe maggiore successo verso la metà dei Cinquanta fu un seggiolino a dondolo pensato per la massima sicurezza dei bambini più piccoli.
Il crescente impegno con le diversificate linee produttive portò l’azienda, fra il 1953 e il 1955, a fare un ulteriore salto dimensionale, mentre si consolidò vieppiù la relazione commerciale con La Rinascente-Upim che continuava a essere una delle più importanti vetrine per Ezio e per la Foppa Pedretti, nonostante la distribuzione riguardasse già molte altre città italiane oltre a Milano.
Intanto, nel giugno del 1955, Ezio sposa Bianca Brevi (figlia di Giovanni ed Emilia Vavassori) con la quale si era fidanzato cinque anni prima. Come già era stato per altri componenti della famiglia, inserì la moglie in azienda affidandole l’incarico di segretaria che era stato della mamma Matilde. Bianca rivestì quindi un nuovo compito collaborativo e direzionale al fianco del marito, confermando l’idea che la fabbrica rappresentasse per i Foppa Pedretti una seconda famiglia. Un anno dopo il matrimonio nacque la prima figlia, Pinangela, seguita due anni dopo da un’altra bambina, Enrica.
Il passaggio verso le categorie tipologiche del giocattolo-didattico, delle attrezzature e dell’arredo per l’infanzia, rispetto alla produzione del solo giocattolo, si rivelò propizio quando verso la metà del decennio Ezio dovette affrontare la forte concorrenza dei prodotti in plastica, il materiale d’avanguardia che da lì in avanti rivoluzionò il panorama domestico con oggetti innovativi e con costi di produzione notevolmente inferiori a quelli del legno. Per farvi fronte Ezio pensò allora di lavorare a un piccolo Banco per la scuola ma a uso casalingo: ancora una volta si trattò di un modello pieghevole in faggio e corredato da una piccola lavagna. Presentato nell’aprile del 1956 alla Fiera Campionaria di Milano, venne molto ben accolto dal pubblico, nonostante in quella stessa edizione della manifestazione fosse stata allestita, per la prima volta, la Mostra internazionale dell’estetica delle materie plastiche. Il piccolo banco, assecondando le necessità del mercato, venne seguito in breve tempo da un prodotto per certi aspetti complementare, una Lavagna uso famiglia. Ezio ne disegnò una versione con cavalletto pieghevole che venne chiamata Dello studente, poi un’altra a tavolino che poteva venire usata come scrittoio, a conferma della filosofia produttiva di estrema funzionalità degli oggetti proposti.
Mentre il fratello Tito si occupava dell’aggiornamento delle macchine e delle attrezzature e la sorella Letizia della verniciatura e carteggiatura, Ezio proseguì a scandagliare le possibilità del settore legato all’infanzia: nel 1958 iniziò con la progettazione dei primi lettini in legno, compresa una variante pieghevole, come valida soluzione da viaggio. Da quel momento il catalogo andò cambiando progressivamente e i giocattoli rivestirono un sempre minore peso. Lo confermò, sempre nel 1958, la costruzione dei primi recinti di forma quadrata, denominati Box, a loro volta pieghevoli per ridurne l’ingombro.
Tra il 1959 e il 1960, riprendendo il progetto del banco per la scuola, Ezio arrivò a dare forma alla scrivania chiamata Dello studente, ancora a uso domestico e maggiormente curata e dettagliata del modello precedente. Con questo prodotto, ancora una volta la Foppa Pedretti incrociò senza saperlo una tappa significativa della cultura del design: la presentazione sul mercato di questo banco, infatti, avvenne in concomitanza della mostra allestita alla XII Triennale di Milano del 1960, in cui era presente una sezione dedicata alla scuola, con prototipi di banchi caratterizzati da piani in legno e struttura portante costituita dal classico tubolare metallico, secondo il linguaggio ormai sedimentato della cultura razionalista.
Alla metà degli anni Sessanta venne data un’ulteriore opportunità all’azienda di espandere il catalogo delle vendite: a seguito di attente ricerche (frutto degli studi tra Ezio e Andreoli), sempre in chiave di multifunzionalità, si arrivò alla messa in produzione di mobili per giardino, tra sedie sdraio, poltroncine, tavoli pieghevoli e valigie per picnic. Questa linea merceologica diventò prioritaria per gli introiti della Foppa Pedretti e per quanto riguarda la distribuzione sul mercato nazionale. La maggiore acquirente, anche in questo caso, fu La Rinascente-Upim.
Mentre l’azienda di Telgate andava trasformandosi in una realtà industriale – contribuendo a rilanciare la lavorazione del legno in tutta l’area e in particolare a definire una sorta di distretto del ‘settore della prima infanzia’ con prodotti dedicati che ne facevano in contemporanea un importante centro di produzione a livello europeo –, cresceva in contemporanea la famiglia di Ezio con l’arrivo nel 1961 della terzogenita Anna Maria.
Anche a livello sociale e politico l’impegno professionale di Ezio – che fu sempre un moderato, dando la sua preferenza a partiti di centro – trovò un corrispondente: tra il 1960 e il 1965 fu consigliere comunale di Telgate.
Nel frattempo il sistema produttivo si fece più sofisticato e richiese crescenti forniture di legno. Venne quindi realizzata, sempre a Telgate, una seconda unità produttiva, chiamata ‘segheria’, o ‘deposito’, attrezzata con macchine necessarie alla lavorazione del materiale e forni per l’essiccazione.
Sul fronte progettuale, invece, attorno alla metà del decennio venne messo a punto un nuovo modello di lettino per bambini, questa volta con sponde ribaltabili per una maggiore funzionalità. Il riscontro positivo portò anche in questo caso a depositarne il brevetto d’invenzione.
Gli ultimi anni Sessanta misero a dura prova la forza di carattere di Ezio. La sua azienda, come molte altre in quel periodo, venne travolta dalle lotte sindacali e dagli scioperi. Le tensioni furono tanto forti da spingere Ezio a pensare seriamente di cedere l’attività pur di salvaguardarne il futuro e quello degli stessi dipendenti, che all’epoca erano circa un centinaio e per i quali fin dagli anni Cinquanta la Foppa Pedretti rappresentava un posto di lavoro sicuro. Tutto ciò accadde proprio mentre nasceva, nel 1969, Gianluigi, il tanto atteso figlio maschio.
Nonostante il difficile periodo di tensioni nel mondo del lavoro che avevano portato all’occupazione dell’azienda per tre giorni, nel 1976 accadde un fatto che ne determinò il futuro: l’ingresso di Luciano Bonetti, giovane ingegnere elettrotecnico laureato al Politecnico di Milano e marito di Pinangela, la maggiore delle figlie di Ezio.
Dotato di particolari attitudini manageriali, Bonetti entrò a far parte dell’organico della Foppa Pedretti come responsabile della produzione, ruolo che mantenne fino al 1978 quando venne nominato direttore commerciale. Ma già nel 1977 Bonetti si trovò anche a dirigere un piano di organizzazione delle vendite, con forte incremento su tutto il territorio nazionale: a tale scopo, sulla scia di quanto aveva sempre fatto Ezio, scelse professionisti qualificati esterni all’azienda e provenienti, nel caso in questione, da altre realtà imprenditoriali.
Intanto, gli ultimi anni del decennio posero ancora la necessità di un ampliamento degli spazi di lavoro – nel 1979 aprì il nuovo stabilimento, sempre a Telgate, per circa 95 dipendenti – e insieme cominciò il processo di orientamento dell’azienda verso una dimensione di livello internazionale. Contemporaneamente Ezio, sempre convinto del modello di impresa a conduzione famigliare, cominciò ad affidare importanti incarichi ai figli: a Pinangela il settore vendite e marketing; a Enrica quello dell’amministrazione, la finanza e la gestione delle risorse umane; ad Anna Maria gli acquisti e programmazione della produzione; molti anni più tardi (2004) a Gianluigi venne affidata la gestione dei rapporti con le partecipate operanti nel settore industriale.
Tutti i componenti della famiglia – compreso Clemente Preda, marito di Anna Maria– sono a oggi (2020) i membri del consiglio di amministrazione dell’azienda, sempre sotto la guida di Bonetti.
A fronte di un sistema aziendale sempre più articolato, con l’inizio degli anni Ottanta Bonetti decise sia di sviluppare ulteriormente il fronte della comunicazione pubblicitaria, sia di precisare i settori di produzione che nel tempo erano andati definendosi: attrezzature per la prima infanzia, complementi per la casa e arredi da giardino.
Nel frattempo Ezio rivestiva ancora il ruolo di protagonista, supervisionando ogni aspetto o questione insieme al fratello Tito. Ma già nel novembre del 1981 decise di lasciare la carica di amministratore unico della società a Bonetti, poiché risultò chiaro a quel punto che il genero rappresentasse la continuità.
Con la nuova dirigenza Bonetti spinse ancora di più sulla leva del marketing e sull’incentivazione della comunicazione, a partire da un’innovazione di prodotto fondata, secondo la tradizione dell’azienda, su ricerche mirate sulle esigenze del pubblico. La situazione era inoltre condizionata dalla dilagante forza di mercato della plastica che si era ripresentata – questa volta impiegata per mobili da giardino in resina immessi sul mercato in quegli anni – come la grande antagonista dell’azienda di Telgate.
In risposta a quella seconda fase critica nacquero altri prodotti per la casa destinati al successo duraturo. Tra i molti: l’asse da stiro Asso e lo stendibiancheria Gulliver, entrambi brevettati e nuovamente disegnati da Franco Andreoli.
A Bonetti si devono, nello stesso periodo, lo slogan L’albero delle idee diventato, anche dal punto di vista grafico, l’emblema dell’azienda e il cambiamento del doppio cognome nel più conciso marchio Foppapedretti.
Per tutti gli anni Ottanta Ezio e Tito – senza la sorella Letizia che era mancata improvvisamente nel 1975 a soli 44 anni – rimasero accanto a Bonetti, supportandolo ma guardando allo stesso tempo con timore agli adeguamenti decisi dal nuovo amministratore, come per il rinnovamento nel 1986 dell’ufficio progetti. Quest’ultimo assunse maggiore peso: internamente affidando il ruolo che era stato di Andreoli fino al 1980 (anno in cui andò in pensione) a Edilio Zilioli, proveniente dalla ditta bresciana Reguitti, autore, tra altri, di un lettino con sistema per il bloccaggio delle sponde delle culle per neonati (brevettato nel 2002); avviando, in parallelo, consulenze esterne come nel caso di Remo Semenzato, designer con studio a Brescia, incaricato di ampliare la gamma degli articoli. In contemporanea, in funzione del potenziamento della struttura progettuale interna, venne allestito un reparto di falegnameria dedicato alla realizzazione dei prototipi. Questo fu inoltre il periodo in cui venne stabilito il definitivo trasferimento nella nuova sede di Grumello del Monte (1987), in spazi adeguati alle dimensioni che ormai aveva assunto la realtà imprenditoriale Foppapedretti (con un organico di circa 107 persone e in vista della futura crescita).
L’importanza data alla progettazione dei prodotti fu confermata dall’apertura a ulteriori stimolanti consulenze esterne. Dal 1990 iniziò la collaborazione con designer architetti: il primo fu Giandomenico Belotti (collezione di mobili da giardino in legno plein air), seguito negli anni da Luca Trazzi (collezione di complementi d’arredo Trax, 2012), Toshiyuki Kita (complementi d’arredo Goro e Granteatro, 2009), Adriano Design (fornello a gas portatile Mizzica! e Dino, lavandino per bambini, 2003), lo Studio Talocci Design (collezione da giardino Atelier, 2009) e lo studio Whynot (collezione di arredi per l’infanzia Mammamia, 2018).
Nonostante l’impegno profuso con le collaborazioni ‘firmate’, è andata tuttavia confermandosi la caratteristica di fondo di questa azienda, il cui successo resta strettamente dipendente da un ingegno e una forza progettuale soprattutto interni.
Gli anni Novanta però si aprirono per Ezio con un evento molto triste, perché il 30 dicembre 1990 perse la moglie Bianca, compagna di vita e di lavoro per oltre 30 anni. Ma il suo legame con l’azienda non si interruppe e quando il genero Bonetti avanzò l’idea, nel 1992, di incentivare la crescita del marchio attraverso la sponsorizzazione in ambito sportivo, Ezio accolse con entusiasmo la proposta. Nel 1992 iniziò la sponsorizzazione della squadra di pallavolo femminile di Bergamo, che assunse il nome dell’azienda.
Oltre a Bonetti, a metà anni Novanta Ezio volle portare a compimento il suo ideale di azienda-famiglia inserendo nell’organico direzionale i mariti delle altre figlie: Claudio Cattozzo, marito di Enrica e Clemente Preda marito di Annamaria.
Nonostante la difficile decisione di lasciare il passo ai famigliari Ezio, considerando gli ottimi risultati raggiunti in cinquant’anni di lavoro, riconobbe tuttavia di aver avuto fortuna nella vita per aver incontrato e nell’essere riuscito a coinvolgere «gli uomini giusti, da inserire nel posto giusto al momento giusto» (Magni, Foppa Pedretti, 1995, p. 86).
Negli ultimi quindici anni circa della sua vita Ezio, che in fondo era sempre stato un imprenditore semplice e schivo «tutto casa, famiglia, lavoro e parrocchia» (Un ritratto di Ezio Foppa Pedretti. Quell'incontro con Silvio che cambiò quasi tutto, in ilSole24ore, 28 settembre 2010), si allontanò gradualmente dall’azienda, ma solo dal punto di vista operativo, dal momento che la sua presenza di persona non mancò mai del tutto. Nonostante non avesse più incarichi effettivi, fu presente ogni giorno, compiendo un giro dei vari spazi della fabbrica e ritrovando i dipendenti, molti dei quali erano figli o nipoti di quelli che con lui avevano iniziato a collaborare fin dal dopoguerra.
Dedicò l’ultimo periodo della vita tornando a coltivare le passioni che non si erano mai spente: dal teatro alla lettura e allo sport come tifoso (per la squadra femminile di pallavolo che portava il nome dell’azienda). Confermò attenzione, generosità verso gli altri e il credo religioso concretizzato attraverso la beneficenza. Piuttosto attivo fisicamente, viaggiò trascorrendo lunghi periodi al mare e in montagna, in Val Seriana. Mantenne fino alla fine le doti di convivialità con i familiari (soprattutto i nipoti) e gli amici.
Nominato cavaliere del lavoro il 1° giugno 2005, Ezio Foppa Pedretti (che nel 2001 aveva perso il fratello Tito) morì a Bergamo il 28 settembre 2010.
Grumello del Monte (Bergamo), Foppapedretti, Archivio aziendale.
R. Magni, E. Foppa Pedretti, Alle radici dell’albero. La storia di una vita. Cinquantesimo di fondazione 1945-1995, Elcograf, Bergamo 1995; Un ritratto di Ezio Foppa Pedretti. Quell'incontro con Silvio che cambiò quasi tutto, in ilSole24ore, 28 settembre 2010, https://st.ilsole24ore.com/art/economia/2010-09-28/ritratto-ezio-foppa-pedretti-180610.shtml?refresh_ce=1 (25 ott. 2020); F. Tinaglia, Dai giocattoli ai mobili al Macef. Una mostra sulla Foppapedretti, in L’Eco di Bergamo, 15 gen. 2013, https://www.ecodibergamo.it/stories/Economia/343256_dai_giocattoli_ai_mobili_al_macef_una_mostra_sulla_foppapedretti/ (25 ott. 2020).