evitamento
In psicoanalisi, meccanismo di difesa (➔) simile al diniego, per cui un individuo si rifiuta di fronteggiare situazioni, oggetti o persone che generano angoscia in quanto simboleggiano impulsi sessuali o aggressivi inconsci. Secondo l’approccio psicoanalitico ai disturbi d’ansia, l’e. è perciò il meccanismo principale di formazione delle fobie (➔). In modo molto simile, anche nella psicologia sperimentale e in psicoterapia cognitiva l’e. descrive quelle reazioni comportamentali o cognitive di allontanamento, fuga o rifiuto emesse in previsione di stimoli dolorosi; in quest’ultima accezione, l’enfasi è posta sul fatto che, siccome l’e. impedisce il riprodursi di condizioni spiacevoli per il soggetto, i comportamenti di e. sono appresi e memorizzati per mezzo del rinforzo negativo: in altre parole, qualunque comportamento o stile di pensiero che riesce a evitare il confronto con uno stimolo ansiogeno o doloroso, poiché produce sollievo e gratificazione sarà più frequentemente e intensamente riprodotto in futuro. Secondo la teoria bifattoriale elaborata dallo psicologo Hobarth Mowrer negli anni Sessanta del 20° secolo, infatti, la risposta di e. è rinforzata perché riduce lo stato di paura o ansia associato a uno stimolo ‒ per altri versi affettivamente neutro ‒ che, grazie al condizionamento (➔) classico, ha acquisito la funzione di segnalare un evento avverso incondizionato. In tal modo è possibile spiegare la persistenza e il mantenimento di molti fenomeni psicopatologici come il disturbo di panico o le fobie, nei quali il paziente apprende a evitare oggetti o situazioni che sa non essere pericolosi di per sé (per es., certi animali nelle fobie specifiche, o i luoghi aperti o molto stretti nell’agorafobia associata al disturbo di panico) soltanto perché, così facendo, riduce notevolmente l’ansia anticipatoria scatenata dall’aspettativa di imbattersi in tali oggetti o situazioni e di poter avere perciò un attacco di panico.