MONTEMURRO, Eustachio Martiniano
MONTEMURRO, Eustachio Martiniano. – Nacque a Gravina di Puglia il 1° gennaio 1857 da Giuseppe, notaio, e da Giulia Barbarossa. Vissuto in un ambiente familiare profondamente religioso, ebbe l’infanzia segnata da alcuni lutti: a dieci anni, a causa di un’epidemia di colera, perse la madre, il fratello Federico e la sorella Maria Francesca.
Frequentò il liceo classico «Emanuele Duni» di Matera (1872-1875) e nel 1875 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Napoli, conseguendo il diploma speciale in matematica e scienze naturali (1879) e la laurea in medicina (1881). Terminati gli studi universitari ed espletato il servizio militare, il 16 aprile 1882 tornò a Gravina, dove si dedicò a un’intensa attività non solo professionale, ma anche politico- amministrativa e di impegno nel sociale. Il 5 marzo 1883 fondò, con altri cinque colleghi, un’associazione medico-chirurgica impegnata nell’assistenza sanitaria alla popolazione. Dal 1883 al 1891 fu consigliere comunale tra le file del cosiddetto «partito del popolo», impegnandosi soprattutto nella promozione dell’istruzione scolastica, in attività caritativo-assistenziali e nel miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie delle popolazioni. Sovrintendente scolastico dal 1884 al 1895, tra il 1882 e il 1893 insegnò egli stesso, a titolo gratuito, diverse discipline (in particolare matematica e scienze) nel seminario vescovile, nel ginnasio e nelle scuole tecniche di Gravina (di cui, nell’anno scolastico 1892-1893 fu anche direttore). Fece parte di diverse commissioni comunali (da quella per combattere la filossera a quella per la costruzione di un ospizio) e nel settembre 1884 divenne membro direttivo della Congregazione di carità, di cui fu presidente dal 6 giugno 1895 al 17 febbraio 1897. Nel 1902 si iscrisse al neocostituito Circolo democratico cristiano «Benedetto XIII» di Gravina.
Ordinato sacerdote il 24 settembre 1904, fu nominato sostituto parroco della chiesa di S. Nicola e S. Cecilia, dove si dedicò con zelo alla catechesi, alla predicazione, all’assistenza agli infermi e alla direzione spirituale. Al contempo, intraprese – anche con il consiglio e la guida di diversi religiosi – una riflessione intima sulla propria vocazione, riproponendosi un problema già affiorato nel corso degli esercizi spirituali in preparazione al sacerdozio: e cioè se restare nel clero diocesano o entrare in un istituto religioso. Nel corso di questa riflessione maturò l’idea di fondare un nuovo istituto femminile per l’educazione delle fanciulle del popolo e un istituto maschile specificamente dedito alla formazione dei parroci.
Nominato il 12 febbraio 1906 cappellano della congrega del Sacro Monte dei Morti, tra l’estate e l’autunno successivi stese una prima bozza di costituzioni per l’istituto maschile, la congregazione dei Piccoli fratelli del Ss. Sacramento (Abbozzi di costituzione e istruzione per i Piccoli fratelli del Ss. Sacramento, a cura di A. Marranzini - D. Trianni, Roma 1986).
In una realtà ecclesiale ancora profondamente segnata dalla larga diffusione (malgrado la soppressione formalmente decretata nel 1867 dallo Stato italiano) della chiesa ricettizia – cui normalmente corrispondeva un clero parassitario e scarsamente impegnato nella cura pastorale – Montemurro indicava come fine di tale istituto la riqualificazione della formazione e delle modalità di esercizio della funzione del parroco, prevedendo che l’una e le altre venissero condotte comunitariamente e che i parroci fossero sottoposti ad una forma di «regime regolare». I religiosi della congregazione avrebbero dovuto infatti ricevere una specifica formazione ai compiti parrocchiali e rendersi disponibili ad accorrere ovunque fossero stati richiesti nelle parrocchie, in supporto del parroco o, dove questo fosse venuto a mancare, in sua sostituzione. Prevedeva l’istituzione di «speciali case parrocchiali», aperte giorno e notte e gestite da comunità di Piccoli fratelli, con la funzione specifica di amministrare i sacramenti, assistere i moribondi, insegnare la dottrina cattolica e svolgere tutti gli altri uffici inerenti al ministero parrocchiale. La fondazione di tali case doveva essere disposta dal generale, dietro richiesta dei vescovi o dei loro vicari. Il rettore della casa (un padre della congregazione), benché pienamente responsabile del ministero parrocchiale, doveva, limitatamente a quest’ultimo, essere sottoposto a completa obbedienza al vescovo o al suo vicario. Il riferimento al Ss. Sacramento nel nome dell’istituto è indicativo della centralità assegnata da Montemurro al culto eucaristico nella spiritualità e nella vita della nuova congregazione: un culto che legava strettamente non solo (secondo un orientamento all’epoca diffuso) alla devozione al Sacro Cuore, ma anche alla meditazione del costato trafitto di Cristo quale fonte della forza e delle motivazioni dell’impegno apostolico.
Il progetto di Montemurro aderiva al modello di prete che Pio X – irrigidendo alcuni aspetti di quello di più lontana matrice tridentina – aveva già abbozzato nei primi anni del suo pontificato e che assunse un profilo più preciso dopo la condanna del modernismo: un prete che doveva essere in primo luogo ‘uomo di Dio’, per il quale la vita di pietà e l’esercizio delle tradizionali attività pastorali dovevano avere un assoluto primato sulla cultura ed essere praticati nella totale obbedienza alla gerarchia. Per il pontefice tale modello era il più adeguato non solo alla preservazione del clero e dei credenti dall’assorbimento di dottrine erronee, ma anche al riavvicinamento alla Chiesa di quanti se ne erano allontanati e alla ricristianizzazione della società. Questo orizzonte era condiviso da Montemurro, il quale nelle sue predicazioni esprimeva l’auspicio «che il Buon Signore, placato, ritorni nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle nostre officine », «che la società torni a vivere di quella vita santa e cristiana, che i primi discepoli e seguaci di Cristo menavano» (Predicazione della Parola di Dio, Roma 1990, p. 121). Lo stesso orizzonte si può cogliere nella sua spiritualità che, pur non mancando di fare riferimento a una pluralità di figure divine (Maria, la Sacra Famiglia, l’Angelo custode) e al modello di alcuni santi (Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Francesco d’Assisi, Alfonso Maria de’ Liguori) si sviluppò secondo un crescente ancoraggio alla Passione di Cristo, individuando tra i peccati degli uomini che continuavano a far soffrire quest’ultimo «tutti i funesti errori delle eresie, delle miscredenze, dell’ateismo nelle sue varie forme » (ibid., p. 25).
Malgrado i fini e la spiritualità del nuovo istituto fossero coerenti con le linee di fondo del pontificato di Pio X, le modalità previste da Montemurro per la nomina dei parroci e l’esercizio del loro ministero ponevano oggettivi problemi di compatibilità con la tradizione canonica. Tali problemi furono rilevati dall’assessore del S. Uffizio (e dall’ottobre 1908 prefetto della congregazione del Concilio) card. Casimiro Gennari, cui il redentorista Antonio Maria Losito, vicino a Montemurro, aveva inviato una seconda bozza delle costituzioni non molto diversa dalla prima. Il testo definitivo, redatto tra il luglio e l’ottobre 1907 da Montemurro insieme a don Saverio Valerio secondo le correzioni suggerite da Losito e Gennari, perdeva i caratteri più originali della prima versione. Tramontava del tutto l’idea della congregazione che trasformava in regolare lo statuto del parroco. Scopo precipuo dell’istituto diveniva invece la pratica e la promozione del culto eucaristico attraverso la predicazione, la catechesi, la confessione, nonché il supporto ai parroci nella cura pastorale dietro richiesta dei vescovi. A ogni modo, con riferimento a queste nuove costituzioni, e dopo avere ottenuto un’autorizzazione verbale del nuovo vescovo di Gravina Nicola Zimarino, Montemurro e Valerio diedero inizio alla congregazione dei Piccoli fratelli del Ss. Sacramento, cominciando a condurre vita comune a Gravina il 21 novembre 1907 e trasferendosi nel dicembre 1910, con un primo gruppo di aspiranti, nel seminario di Bisceglie.
Nel corso del 1907 Montemurro aveva anche abbozzato il profilo dell’istituto religioso femminile, che avrebbe dovuto dedicarsi alla preparazione di ostie e di cibo per i poveri e all’insegnamento della dottrina ai bambini. Tale istituto nacque il 1° maggio 1908 con il nome di Figlie del Sacro Costato, a sottolineatura della centralità che doveva avere nella spiritualità delle religiose una devozione al Sacro Cuore strettamente intrecciata (come per il ramo maschile) alla meditazione della ferita del costato di Cristo.
Entro questa spiritualità il fine espiatorio e riparatorio si collegava ancora una volta alla volontà di riqualificare la vita religiosa: le suore dovevano offrire al Cuore di Gesù le proprie fatiche apostoliche e sofferenze per espiare e riparare le offese a lui inflitte specialmente dalle anime consacrate. Al contempo dovevano impegnarsi nei compiti di apostolato con una dedizione totale, con spirito di umiltà, povertà, carità e nell’obbedienza ai propri superiori. L’esempio di Cristo, che per obbedire al Padre si era fatto squarciare il costato, indicava loro fino a che punto doveva arrivare la sequela Christi nell’adempimento dei compiti del proprio apostolato.
I progetti montemurriani incontrarono nell’episcopato meridionale e nella curia romana apprezzamenti, ma anche una certa diffidenza, che determinò la scomparsa del ramo maschile e creò tensioni interne al ramo femminile. Sebbene la storiografia non abbia ancora chiarito a fondo le ragioni di tale diffidenza, un ruolo significativo sembra avere avuto il legame stabilito da Montemurro – con l’iniziale favore di Zimarino – con il gesuita Gennaro Maria Bracale, che tra il 1909 e il 1910 cercò di assumere la direzione spirituale effettiva delle congregazioni. Personaggio dalla spiritualità improntata alla ricerca dello straordinario e del miracoloso, egli imponeva alle sue penitenti – alcune delle quali erano entrate a far parte delle Figlie del Sacro Costato – forme penitenziali inconsuete e sollecitava Montemurro ad avere «comunicazioni» dall’alto. Di fatto i provvedimenti contro le congregazioni montemurriane procedettero di pari passo con quelli assunti contro il gesuita. Poco dopo l’istituzione da parte del vescovo di Gravina (31 marzo 1910) di una commissione d’inchiesta sulla casa diocesana delle Figlie del Sacro Costato, Bracale per ordine dei suoi superiori lasciò Grottaglie (2 maggio) e venne trasferito nel noviziato di Napoli. A conclusione di tale inchiesta Zimarino, nell’agosto 1910, dispose lo scioglimento delle congregazioni montemurriane: provvedimento sospeso su istanza di Montemurro, il quale chiese che sulla questione si pronunciassero i dicasteri competenti della Curia romana. Questi finirono per riproporre lo scioglimento con un decreto del febbraio 1911 della congregazione dei religiosi, che imputava agli istituti l’esercizio di un pericoloso «pseudomisticismo », confermato il 31 maggio successivo dal S. Uffizio. Al contempo quest’ultimo prese ulteriori provvedimenti contro Bracale, richiedendone l’allontanamento da Napoli e la stretta vigilanza.
La resistenza dei vescovi delle diocesi meridionali (in particolare quelle di Venosa, Andria, Trani, Potenza) nelle quali si erano insediate comunità montemurriane che svolgevano utili servizi (quelle femminili erano impegnate, tra l’altro, nella catechesi parrocchiale e nella promozione e conduzione di scuole di lavori muliebri per giovinette e orfanotrofi), fece sì che la decisione romana riguardante tali comunità non venisse attuata e si trovasse una soluzione di compromesso: ai nuovi istituti fu consentito di sopravvivere a condizione che il fondatore rinunciasse alla loro direzione spirituale. Di quest’ultima, dall’agosto 1911, si fece carico Annibale Maria Di Francia, con la sola eccezione della casa femminile di Potenza, che restò sotto la diretta dipendenza del vescovo Ignazio Monterisi. Di Francia istituì le suore di Montemurro in provincia autonoma «aggregata» alle sue Figlie del divin Zelo e, falliti alcuni tentativi di fusione con queste ultime, continuò a dirigerle fino alla morte. Tensioni interne alla congregazione femminile ne determinarono nel maggio 1930 la divisione in due istituti: il ramo di Spinazzola e Gravina, che assunse il nome di Suore missionarie del Sacro Costato e di Maria Santissima Addolorata, e il ramo di Potenza e Marsiconuovo che assunse il nome di Figlie del Sacro Costato - missionarie catechiste, mutato nel 1949 in Suore missionarie catechiste del Sacro Cuore. Il ramo maschile invece fu sciolto nell’autunno 1912 da Di Francia, confluendo nei rogazionisti.
Allontanato dalle sue opere, nell’agosto 1911 Montemurro rientrò, insieme con Valerio, nella diocesi di Gravina, dove svolse il suo ministero nella chiesa di S. Emidio. Nel gennaio 1914, previa autorizzazione pontificia, i due sacerdoti furono incardinati nella diocesi di Nola e si traferirono a Valle Pompei, dove tentarono inutilmente di ridare vita ai Piccoli fratelli e si dedicarono a un intenso lavoro pastorale e assistenziale.
Montemurro morì a Pompei per una broncopolmonite il 2 gennaio 1923.
Opere: Epistolario, I-II, a cura di A. Marranzini, Roma 1986; Diario spirituale 1904- 1905, a cura di A. Marranzini - D. Trianni, ibid. 1988; Epistolario. Supplemento, a cura di A. Marranzini - D. Trianni, ibid. 1989; Predicazione della Parola di Dio, a cura di A. Marranzini - D. Trianni, ibid. 1990; Diario spirituale 1908-1912, a cura di A. Marranzini - D. Trianni, ibid. 1990; Piccolo Regolamento di vita, a cura di D. Trianni, ibid. 2005.
Fonti e Bibl.: L’avvio, nel 1992, della causa di canonizzazione di Montemurro ha sollecitato la pubblicazione di fonti e studi, come pure di numerosi testi di impianto agiografico. Le fonti sono conservate in larga parte nell’Archivio storico delle Suore missionarie del Sacro Costato a Roma. Per l’avvio del processo di canonizzazione si veda il dossier di documenti a cura del Tribunale ecclesiastico regionale campano per le cause dei santi, in Ianuarius. Rivista diocesana di Napoli, LXXVI (1995), 7-8, pp. 419-424. Fra gli studi: L. Morena, E. M., in Dizionario degli istituti di perfezione, IX, Roma 1973, pp. 95-98; G. Rocca, Missionarie del Sacro Costato e di Maria Ss. Addolorata, ibid., V, ibid. 1978, pp. 1067-1070; E. M. Un protagonista del Mezzogiorno tra poveri ed emarginati, a cura di P. Borzomati, Torino 1994; A. Marranzini, E. M.: medico, promotore sociale, sacerdote e fondatore, in Chiesa e società nel Mezzogiorno moderno, a cura di A. Cestaro, Napoli 1995, pp. 383-412; P. Borzomati, E. M. medico e prete. Un mistico del Novecento, Torino 1997; D. Trianni, Carisma e spiritualità di E. M. e dei suoi istituti, Roma 1997; Id., Centralità di Cristo nella vita e nell’insegnamento di E. M., Roma 1997; U. Parente, E. M. fondatore dei Piccoli fratelli del Ss. Sacramento e delle Figlie del Sacro Costato, in Campania sacra, XXXI (2000), 1-2, pp. 229-292; D. Trianni, Amore riparatore. Essenza del carisma della Congregazione del Sacro Costato, Roma 2003; M. Cornacchia, E. M. nella spiritualità del clero meridionale del Novecento, in Rivista di scienze religiose, XVIII (2004), 1, pp. 100-114; D. Trianni, E. M. Servo di Dio, Roma 2004; Id., E. M. dalla contemplazione del Cristo crocifisso all’azione apostolica a servizio dell’uomo, Roma 2004; Id. L’Eucaristia nell’esperienza religiosa e apostolica di E. M., Roma 2004; Id., I consigli evangelici nella vita e nell’insegnamento di E. M., Roma 2005; Id., E. M. e la sua esperienza degli esercizi spirituali, Roma 2005.