BARSANTI, Eugenio
Padre scolopio, studioso di fisica e inventore del motore a scoppio, nacque a Pietrasanta il 12 ottobre 1821 e morì a Liegi il 18 aprile 1864. Compì i primi studî nel cittadino istituto delle scuole pie, tenuto dai padri scolopî, e, a 17 anni, avendo espresso la sua vocazione religiosa, venne trasferito, per il noviziato, nel collegio S. Michele a Volterra. Per la sua eccezionale intelligenza si fece tosto notare. Lo troviamo infatti, appena ventenne, professore di filosofia, fisica e matematica. Il gabinetto di fisica a sua disposizione era ben povero di strumenti, ma il B. seppe trarne larghissimo profitto, creando, con ingegnosità manuale, più di un apparecchio che mancava. Ripetendo l'esperienza nota sotto il nome di pistola di Volta, ebbe la prima idea di utilizzare un miscuglio gassoso detonante per la produzione di forza motrice. Il problema aveva già attirato l'attenzione di altri studiosi, fra cui Volta, Lebon, Brown e specialmente il milanese De Cristoforis, ma la soluzione era restata fino allora teorica. Fu il B. a darle vero carattere pratico e industriale. A Firenze, ove nel 1849 era stato inviato professore di fisica al collegio di San Giovannino, il B. iniziò i suoi primi tentativi con la collaborazione di Felice Matteucci, buon fisico ed idraulico. Ottenne nel 1854 un primo brevetto dal titolo: Nuovo metodo perfezionato per impiegare le esplosioni di una mescolanza d'aria atmosferica e di gas infiammabile od in generale di un fluido detonante per conseguire una forza utile. Il primo motore a scoppio Barsanti-Matteucci, costruito nelle officine Benini di Firenze, diede alla prova ottimi risultati. Il 19 settembre 1860 si costituì una società per lo sfruttamento della nuova invenzione, e, l'anno dopo, un motore della potenza di 20 cavalli figurava in funzione all'esposizione di Firenze, e trovò acquirenti. Esso era a due cilindri. Lo scoppio avveniva senza compressione. Il ciclo era composto di aspirazione, scoppio, espulsione dei prodotti della combustione. Valvole comandate da un eccentrico assicuravano l'ammissione del gas e lo scappamento. Il miscuglio detonante, aria-gas d'illuminazione, era ottenuto da un ingegnoso carburatore. L'accensione era per scintilla elettrica o a contatto di fiamma; il raffreddamento dei cilindri a circolazione d'acqua. Benché il carburante usato fosse il gas, il B. indicò chiaramente la possibilità di far uso di carburanti liquidi: petrolio o benzina. Inoltre, in un successivo brevetto (9 ottobre 1861), preconizzò l'applicazione alla trazione del nuovo generatore d'energia, indicando, per primo, un sistema di avviamento e di frenatura pneumatica. La gioia della riuscita fu per gl'inventori non priva di crucci. Nel 1860 il noto volgarizzatore francese Figuier, ignorando probabilmente il motore già creato in Italia, annunciava, dandole il carattere di assoluta novità, la medesima invenzione attribuendola al franco-belga Lenoir, che aveva ottenuto in proposito un brevetto il 10 novembre 1859. Il B. e il Matteucci protestarono invano in Francia. In Italia ottennero però il riconoscimento della loro priorità per opera dell'Istituto lombardo di scienze, lettere ed arti, che decretò loro una medaglia d'argento il 23 luglio 1863. Difficoltà sorte nella costruzione in serie dei motori di piccola potenza, di cui vi era richiesta, decisero il B. a rivolgersi all'estero. Fu prescelta la nota società Cokeril di Seraing presso Liegi in Belgio. Recatosi colà, nel marzo 1864, per i necessarî accordi, dopo alcune riuscitissime esperienze B. s'ammalò di tifo, e il 10 aprile spirò. Morto il B., già da tempo ammalato il Matteucci, la società Barsanti-Matteucci periclitò e l'invenzione italiana cadde in dimenticanza. Tuttora la maggioranza dei testi continua ad attribuire l'invenzione al Lenoir, che per essa ebbe in Francia, nel 1873, il premio Montyon. A rivendicare e documentare i diritti spettanti al B. contribuirono poi gli scritti di padre Giovenazzi, del cardinale Pietro Maffi, del Savorgnan, e specialmente dell'illustre tecnico Giuseppe Colombo.