ETRUSCHI (XIV, p. 510; App. II, 1, p. 882)
Un'indagine che combini i problemi e i risultatì di discipline specializzate della scienza dell'antichità - archeologia, topografia, storia, epigrafia, linguistica, ecc. - è l'unica che possa dare un quadro organico della civiltà etrusca. È questo difatti il principio che presiede alle più recenti opere di sintesi, mentre le questioni particolari sono affrontate da una serie di ricerche analitiche.
Origini. - Le tre tesi tradizionali sulle origini - quella orientale, quella settentrionale, quella autoctona - sono state sottoposte a critiche fondate. Esse dànno infatti del problema un'impostazione e, di conseguenza, una risoluzione globale che prescinde da una valutazione oggettiva dei dati archeologici, linguistici, letterarî utilizzabili ai fini di una ricostruzione della realtà storica. Le direttive metodologiche per una nuova impostazione sono state indicate da M. Pallottino, il quale ha sostituito al vecchio concetto di provenienza l'altro più modemo di formazione: si tratta non di affermare donde sia arrivata la compagine etnico-linguistica etrusca, ma di spiegare come si sia formata.
La documentazione artistica e linguistica consente di asserire che con il periodo orientalizzante (7° sec. a. C.) l'Etruria acquista una fisionomia inconfondibile e peculiare: comunque accanto alle nuove aperture sono interessanti i legami col periodo precedente, il Villanoviano, dal punto di vista antropologico, da quello topografico dei varî centri, da quello tipologico della ceramica e dei bronzi. D'altra parte sono anche evidenti i rapporti del Villanoviano attestato in Etruria con quello attestato nelle altre regioni d'Italia e con culture dell'Europa centro-orientale. La difficoltà sta nella definizione, dal lato etnico e linguistico, delle correnti culturali che nell'età del Ferro si sono progressivamente livellate in Etruria con quelle appenniniche dell'età del Bronzo. Stando così le cose, non si potrà negare che la compagine etrusca sia nata da un processo non di derivazione ma di sintesi tra correnti culturali preesistenti e altre nuove arrivate. Viene così a stabilirsi fin dalla protostoria etrusca un "dialogo" tra elementi indoeuropei e preindoeuropei, che avrà come risultato la facies villanoviana, primo capitolo, per così dire, nella storia della civiltà etrusca.
Scavi e arte. - Il materiale archeologico restituito in questi ultimi anni da scavi sistematicamente organizzati o da rinvenimenti fortuiti non solo ha arricchito le nostre conoscenze, ma in alcuni casi è stato decisivo nella risoluzione di questioni agitate da tempo.
Il dilemma tra Bolsena e Orvieto per l'ubicazione di Volsinii accenna a risolversi a favore di Bolsena dopo la scoperta dell'abitato etrusco e della cinta muraria in questa località. Gli stessi scavi di Bolsena, quelli di Fiesole e quelli di Pyrgi hanno accentuato la discussione sui rapporti del tempio tuscanico con la descrizione che di esso dà Vitruvio. A Fiesole sotto gli avanzi del tempio finora conosciuto è stato messo in luce un altro tempio più antico (3° sec. a. C.) a cella centrale ed ale laterali; a Bolsena uno identico per questo rispetto, senza podio, a diretto contatto con la roccia; a Pyrgi uno tripartito, databile tra il primo e il secondo quarto del 5° sec. stando al materiale di decorazione architettonica già restaurato e ricomposto. A questi si può aggiungere la sistemazione del cosiddetto tempio dell'Apollo a Veio. Questi ruderi consentono di riconoscere come tipica dell'architettura templare etrusca la tripartizione, con ogni probabilità a cella centrale ed ali laterali. I canoni struttivi assegnati da Vitruvio al tempio tuscanico spesso non trovano corrispondenza nei risultati di scavo: la tripartizione a cella centrale ed ale laterali, nota a Fiesole, a Bolsena e altrove, non s'accorda con la tripartizione a tre celle; il tempio di Bolsena è più esteso in larghezza che in lunghezza; il rapporto lunghezza-larghezza di quello di Pyrgi supera il rapporto canonico di 6 : 5; quello di Fiesole ha una sola fila di colonne nel pronao e le pareti laterali che continuano fino alla fronte. Questi dati impongono una revisione dei templi precedentemente pubblicati, in modo particolare quelli a tre celle, in quanto la ricostruzione può essere stata viziata dai canoni di Vitruvio.
Altri scavi hanno illuminato punti ancora oscuri alla scienza etruscologica: quelli di Vulci hanno messo in luce un lungo tratto della più antica Aurelia col cippo del 70° miglio e il centro della città etrusco-romana; quelli di Cosa il Capitolium e altri resti della colonia romana; quelli di S. Giovenale e di Tolfa hanno assicurato la gravitazione di questi centri nell'orbita ceretana; la tomba monumentale di Quinto Fiorentino combina dal punto di vista architettonico il tipo a tholos diffuso nella zona con l'altro tipo a falsa ogiva, diffuso nella Toscana meridionale (Cortona, Castellina in Chianti, ecc.). Sono stati iniziati anche scavi sistematici a Roselle con saggi lungo le mura e nella zona dell'anfiteatro romano, volti a stabilire l'antico abitato: la presenza di nuclei umani vi è garantita, almeno per il 7° sec., da frammenti ceramici. Col sussidio della fotografia aerea e col metodo di prospezione geofisica nuove tombe sono state esplorate nella necropoli Monterozzi di Tarquinia, alcune delle quali dipinte (Tomba delle Olimpiadi, della Nave, tombe G. Q. Giglioli, V. Cardarelli, R. Bartoccini).
Un'ulteriore acquisizione è segnata dall'edizione critica degli scavi dell'ultimo cinquantennio, ancora inediti o editi sommariamente. La pubblicazione del materiale di Tarquinia, di Veio (cosiddetto tempio dell'Apollo), di Capena (Le Saliere), di Caere - per ora solo in parte - si presenta feconda di risultati e promettente per l'avvenire. La conoscenza del materiale permetterà di cogliere con maggiore precisione di ogni centro etrusco l'effettivo aspetto culturale, lo sviluppo storico, i rapporti con altri centri.
La valutazione storica delle manifestazioni d'arte viene conseguendo risultati sempre più proficui. L'antefatto ellenico o orientale nel fatto artistico etrusco è affermato in quanto a tipologia e corrente stilistica, senza che questo significhi imitazione passiva; che anzi la "reazione" etrusca è evidente nell'esame di singoli motivi e soggetti. Va inoltre precisato che a volte la derivazione non è diretta ma mediata, come ad esempio nel periodo orientalizzante, quando alcune manifestazioni etrusche di origine orientale si spiegano solo con la mediazione dell'ambiente greco. Gli schemi relativi a scene della vita quotidiana (banchetto, caccia, esposizione del defunto) e, ancora più chiaramente, quelli relativi a soggetti della mitologia greca, tutti di chiara origine ellenica, subiscono in Etruria alterazioni tali che spesso l'essenza stessa del motivo viene falsata. La spiegazione sarà da trovare nel fatto che gli artisti etruschi hanno accolto lo schema decorativo senza essere passati attraverso l'esperienza religiosa, intellettuale, artistica che ha portato gli artisti greci all'elaborazione dello schema stesso. Questi soggetti, in quanto offrono un confronto diretto, sono i meglio indicati ad individuare le peculiarità del linguaggio figurativo etrusco, alcune delle quali diventano patrimonio della tradizione artistico-culturale etrusca per un certo periodo: così si qualifica una tradizione di gusto, che varia da centro a centro e nello stesso centro da periodo a periodo. Ovviamente queste peculiarità possono essere ravvisate da indagini analitiche, le quali costituiscono il presupposto logico e cronologico di una sintesi dell'arte etrusca informata ai nuovi criterî, tuttora inesistente.
Le monografie di M. Pallottino sulla pittura, di R. Herbig sui sarcofagi tardi, di P. J. Riis sull'arte in generale, di G. Becatti e F. Magi sulle pitture delle tombe degli Auguri e del Pulcinella, di L. Banti sui problemi della pittura arcaica, di M. Del Chiaro sulla ceramica a figure rosse del "gruppo Genucilia", di T. D0hrn sugli aspetti artistici fondamentali, di M. Demus-Quatember sull'architettura tombale fanno il punto su questioni particolari.
Alfabeto e lingua. - Il valore fonetico delle lettere usate nella scrittura etrusca non costituisce più un problema; ciononostante il deciframento rappresenta un campo d'indagine vivo ed efficiente in duplice senso: a) nella lettura delle epigrafi di recente rinvenimento; b) nella revisione di quelle già edite. Questa seconda attività si presenta non solo efficace, ma imprescindibilmente necessaria: il testo attualmente disponibile di molte iscrizioni etrusche non sempre è completo e corretto. Autopsie eseguite recentemente sui cimelî epigrafici oppure riproduzioni a raggi infrarossi nel caso specifico del liber linteus della mummia di Zagabria hanno consentito letture più sicure. L'interesse del fatto non è limitato all'ambito strettamente epigrafico, ma ne abbraccia uno più esteso, in quanto le stesse iscrizioni sono utilizzate in ricostruzioni storico-filologiche e linguistiche. La nuova lettura comporta nuovi tentativi d'interpretazione e nuove possibilità di confronto.
Il patrimonio epigrafico è sensibilmente aumentato in seguito agli ultimi ritrovamenti: oltre alle solite e brevi iscrizioni funerarie (considerevole per quantità la serie che proviene dalle tombe III e IV di Asciano) e vascolari, sono degne di particolare menzione, per la lunghezza, una di circa 100 lettere, mutila nella parte centrale, inserita nel corpo di un serpente inciso su un ariballo d'impasto bruno scuro buccheroide da Vulci, e un'altra a spirale di 157 lettere, la più lunga iscrizione vascolare etrusca, su un ariballo piriforme di bucchero sottile da Cerveteri: tutte e due sono in scriptio continua e databili alla prima metà del 6° secolo.
La "punteggiatura sillabica", frequente nelle iscrizioni dell'Etruria meridionale, della Campania e nella tegola di Capua, presenta la particolarità di differenze locali: ad esempio la vocale i all'inizio di parola solo in Campania è ininterpunta. Questo sistema di punteggiare nasce in un periodo in cui è affermata la moda della scriptio continua (metà del 6° sec.) e si esaurisce in un periodo in cui viene affermandosi l'interpunzione verbale (metà del 5° sec.); esso difatti si conserverà nella tradizione epigrafica venetica, che resterà fedele all'uso della scriptio continua. Le nuove spiegazioni prospettate prescindono dalle consuetudini grafiche e si riferiscono all'essenza del fatto: comunque è più probabile che questo debba spiegarsi come una reazione, un controllo al processo di sincope delle sillabe interne di una parola, processo dovuto all'accento intensivo sulla sillaba iniziale (K. Olzscha), piuttosto che come un'indicazione grafica della sonorità della sillaba (F. Slotty).
I Testimonia Linguae Etruscae di M. Pallottino offrono una scelta organica di iscrizioni, comprese quelle dei centri dell'Etruria meridionale, non ancora edite nei fascicoli del Corpus Inscriptionum Etruscarum.
Nell'ambito ermeneutico trova applicazione sempre più larga il metodo "bilinguistico", fondato sul possibile parallelismo di vocaboli o espressioni etrusche con vocaboli o espressioni latine, osche, umbre di presunto contenuto affine, a prescindere da una precisa corrispondenza verbale, morfologica, sintattica. I "calchi" che sono stati supposti hanno condotto a notevoli risultati nella terminologia rituale, funeraria e giuridica. Ma se da un lato è evidente il progresso delle cognizioni semantiche in sede quantitativa e qualitativa, dall'altro affiorano dei limiti imposti dalla natura stessa del metodo: a) la pertinenza esclusiva alla sfera semantica, mentre il vecchio metodo "combinatorio" può offrire sempre orientamenti per la determinazione di fatti morfologici e sintattici; b) l'impossibilità di cogliere qualche aspetto nuovo, tipicamente etrusco; c) l'applicazione ai casi particolari in cui la lingua è ridotta a formulario: caso frequente nei testi religiosi e giuridici. Ultimamente però l'indagine si sta allargando anche a espressioni di valore strettamente tecnico: può valere come esempio l'equivalenza stabilita tra etrusco ceriχu tésamsa = latino faciendum curavit = osco úpsannúm deded.
I rapporti dell'etrusco con le lingue indoeuropee circostanti si definiscono alla luce di un processo di livellamento reciproco che dal 7° secolo continua fino all'età romana: i prestiti indoeuropei non vanno considerati in blocco, ma riferiti ai singoli gruppi etnico-linguistici dell'Italia antica e a momenti particolari della loro storia; lo stesso ragionamento vale naturalmente per i prestiti etruschi nelle lingue indoeuropee. In ogni modo il vocabolario etrusco conosciuto può graduarsi in tre distinte categorie: una prima che comprende le parole di significato ormai definito (ad es.: clan = figlio; puia = moglie, ecc.); una seconda che comprende le parole di significato generale definito e di significato specifico incerto (ad es.: fler, vacl, indicanti azioni rituali non bene precisabili); una terza che comprende le parole di significato ancora indefinito. Vedi tav. f. t.
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