ETNOMETODOLOGIA
Il termine e., coniato dal sociologo statunitense H. Garfinkel, designa una teoria dell'azione sociale ispirata alla fenomenologia e, in particolare, all'opera di A. Schütz. Costruito sulla base di termini simili, come etno-scienza, etno-botanica, ecc., il termine si riferisce all'insieme dei ''metodi'' impiegati dagli attori per creare e sostenere, nei confronti del mondo sociale, la quotidianità e la naturalità (nel senso fenomenologico della parola) del vissuto sociale. L'e. studia in particolare i fenomeni cosiddetti ''microsociali'' (relazioni interpersonali, micropratiche locali) non oggettivabili in sistemi di regole (Garfinkel 1974).
Per Garfinkel, come per Schütz, l'interrogativo principale riguarda il modo in cui l'oggettività e l'intelligibilità del mondo sociale sono prodotte da chi agisce; alla pari dei fenomenologi, egli ritiene che una risposta possa essere fornita solo distaccandosi dall'atteggiamento naturale. Nonostante questa affinità di fondo, vi sono tuttavia due importanti differenze tra l'orientamento fenomenologico e quello dell'etnometodologia. La prima è che l'e. considera l'oggettività e l'intelligibilità del mondo sociale non come il prodotto di processi psicologici opachi alla coscienza ordinaria, come fa la fenomenologia, ma come il risultato di pratiche sociali messe in atto dai soggetti nella loro vita quotidiana. La seconda è che Garfinkel trasforma l'interesse di Schütz per una ricostruzione filosofica della logica delle scienze sociali in un programma di ricerche empiriche sulle caratteristiche dell'atteggiamento naturale.
La raccomandazione centrale dell'e. è quella di ribaltare il famoso detto di E. Durkheim secondo cui bisogna studiare i fatti sociali come cose; al contrario, si deve considerare come un prodotto di attività metodiche da parte dei membri tutto ciò che, nell'ambito dell'atteggiamento naturale, appare come un fatto. Attraverso tali attività per l'e. si realizza la cosiddetta accountability, cioè l'intelligibilità di qualsiasi evento o fatto particolare, facendolo apparire come un'istanza ovvia e familiare. Tuttavia, proprio in virtù del loro successo, l'operare di queste pratiche è, nelle parole di Garfinkel, seen but unnoticed (visto ma non percepito) da parte degli attori nel loro atteggiamento naturale.
La riflessività e l'indessicalità delle pratiche di accountability. − Il modo più semplice per abbordare il tema della riflessività è partire da quello che Garfinkel, sulla scorta di K. Mannheim, chiama "metodo documentario d'interpretazione". Con tale termine egli intende un processo interpretativo che tratta ogni particolare concreto come un ''documento'' di una configurazione sottostante come qualcosa che rimanda ad essa: "non solo la configurazione sottostante è derivata da questi particolari documenti concreti, ma essi a loro volta sono interpretati sulla base di ''ciò che sappiamo'' della configurazione sottostante. Ognuno dei due è usato per elaborare l'altro" (Garfinkel 1967, p. 78).
Questa circolarità riflessiva tra parte e tutto è ovviamente tutt'altro che ignota alla riflessione metodologica nel settore delle scienze umane. Per fare qualche esempio, si ritrova nella tesi fenomenologica dell'integrazione da parte della coscienza di diverse presentazioni sensoriali in un insieme unitario; nelle teorie della psicologia della gestalt; in tutta la tradizione ermeneutica; e, sebbene le sue implicazioni non siano sempre valutate a fondo dalla teoria sociale, è un argomento affrontato specificamente da una branca della sociologia, la sociologia della conoscenza. Ma Garfinkel non si limita a sostenere che il metodo documentario è un elemento invariante di ogni atto percettivo e cognitivo; egli afferma qualcosa di più, cioè che la riflessività è una caratteristica non solo dei processi cognitivi, bensì della stessa azione sociale.
Dire che l'azione è riflessiva significa dire che in ogni momento del suo svolgersi essa costituisce, cioè mantiene, altera o, comunque, elabora, il senso del contesto in cui si dispiega ed è a sua volta costituita da esso. Da un lato, la sua realtà e oggettività dipendono dall'essere vista come inserita in un contesto, in un ordine sociale stabile e oggettivo; dall'altro, il senso che le caratteristiche di un contesto sono oggettive e reali è un effetto dell'azione.
La tesi dell'indessicalità è strettamente connessa a quella della riflessività: essa si riferisce al fatto che ogni descrizione è legata al contesto della sua produzione: quindi indica molto di più di quanto esprime ''letteralmente'' e il suo significato non può essere pienamente delineato astraendo dai particolari contestuali della situazione. Garfinkel non intende semplicemente riferirsi al tradizionale problema del referente dei termini deittici, ma sottolineare che, poiché un enunciato è in primo luogo un'azione, non se ne può capire il senso prescindendo dal tipo di attività, inevitabilmente situata, che esso compie.
Tutto questo però non significa che nella vita quotidiana gli attori incontrino ordinariamente problemi di comprensione reciproca. Al contrario, all'interno dell'atteggiamento naturale riflessività e indessicalità sono fenomeni privi d'interesse. Le proprietà riflessive dell'azione non sono neppure notate, a meno che non vengano evidenziate con l'aiuto di esperimenti di rottura o altre procedure che consentano di vedere il metodo documentario al lavoro (Garfinkel 1967, pp. 79-88). E, per quanto riguarda l'indessicalità, da un lato gli attori riescono a circoscrivere il senso dei termini ordinari del linguaggio mediante un continuo compromesso e aggiustamento tra la generalità dei descrittori e la specificità di ciò che viene descritto; dall'altro, a livello di cornice metacomunicativa dell'atto linguistico, l'azione compiuta da un enunciato è chiarita riflessivamente dalla struttura sequenziale della conversazione.
Il problema della intelligibilità della realtà sociale. − A livello teorico più generale, la critica che l'e. rivolge alla sociologia è di disinteressarsi del problema cognitivo dell'ordine, cioè dare per scontata la questione dell'intelligibilità della realtà sociale invece di tematizzarla come importante oggetto di ricerca. Se questo esaurisse il problema, la critica potrebbe essere intesa come una proposta di divisione del lavoro, nel senso che l'e. potrebbe dedicarsi a studiare i presupposti cognitivi dell'organizzazione sociale integrando i suoi risultati con quelli ottenuti dalla sociologia, la cui validità resterebbe intatta. Ma le cose non sono così semplici. Non solo, infatti, la sociologia non analizza i presupposti cognitivi dell'ordine sociale, ma è costretta a basarsi su di essi nelle sue indagini. E ciò, secondo il parere degli etnometodologi, comporta serie difficoltà sia a livello di raccolta e analisi dei dati che a livello di teorizzazione dell'azione.
Il secondo tipo di critiche riguarda la teoria normativa dell'azione. Malgrado le numerose varianti di questa teoria, che occupa un ruolo egemone nella disciplina sociologica, il suo nucleo centrale è estremamente chiaro: l'ordine sociale è il prodotto di azioni coordinate guidate da norme o regole condivise dagli attori. Ora, è facile vedere come questa affermazione teorica riposi su due presupposti.
Il primo è che, per poter agire in maniera coordinata, è necessario non solo che gli attori ottemperino a norme comuni, ma anche che siano in grado d'identificare nello stesso modo le situazioni a cui le norme si applicano. Tuttavia l'esistenza di questo consenso cognitivo, assolutamente indispensabile per la struttura deduttiva della teoria normativa, è teoricamente problematica. Le situazioni e i contesti non si presentano infatti agli attori già suddivisi in classi prefissate a cui applicare le regole: al contrario, le regole devono essere applicate a specifiche configurazioni di circostanze, ognuna delle quali può non essere identica all'altra e che, in ogni caso, possono essere costruite dagli attori in modi diversi. Naturalmente ciò non vuol dire che l'applicazione consensuale di una regola sia sempre particolarmente difficoltosa. Ma i numerosi casi in cui una regola è efficacemente ''seguita'' in comune non devono far dimenticare i casi di disaccordo nell'interpretazione delle regole, cioè i casi in cui non vi è consenso sul fatto che un'istanza ricada sotto la regola. Ciò significa che non esistono implicazioni logiche di una regola: in ogni situazione concreta, è logicamente possibile sia assimilare un nuovo caso alla regola argomentando la sua analogia con esempi precedentemente accettati dell'applicazione della regola, sia rifiutare tale assimilazione, sottolineando l'unicità del caso nuovo. Secondo quanto afferma lo stesso Garfinkel, usando un'espressione che avrebbe potuto essere sottoscritta da Wittgenstein (il quale, in un contesto filosofico, ha anticipato completamente la problematica etnometodologica su questo punto), una regola è sempre applicata "per un'altra prima volta" e la sua applicazione va necessariamente giustificata in base a valutazioni specifiche, locali e contingenti.
Il secondo presupposto della teoria normativa criticato dall'e. è che essa tratta le circostanze in cui si trova l'attore come essenzialmente immutate dal suo corso di azione, cioè trascura sia la riflessività dell'agire che la dimensione temporale inerente al suo svolgimento. Invece di concepire l'attore come un individuo che, nel dispiegarsi di una sequenza di azione, compie inevitabilmente delle scelte e in ogni momento ricostituisce riflessivamente il contesto del suo agire, lo considera una sorta di cultural dope che applica meccanicamente una norma a circostanze pre-definite.
In breve, secondo gli etnometodologi, il determinismo della teoria normativa è basato su un'illusione ottica che, partendo dal risultato dell'azione, lo imputa retrospettivamente a norme concepite come cause necessarie e sufficienti, trascurando i fenomeni dell'indessicalità e della riflessività. L'alternativa che essi propongono non consiste ovviamente nel contestare l'esistenza di regole e massime di condotta in quanto tali, ma nel riformulare il loro ruolo, che da regolativo diviene costitutivo. Esse cessano cioè di essere considerate come qualcosa che determina l'azione e sono invece viste come risorse impiegate dagli attori per dare un senso alla condotta, per costituire riflessivamente le circostanze e le attività cui sono applicate. All'interno di questo paradigma interpretativo, si può dire, con la vecchia metafora del gioco, non tanto che il gioco segue le regole, ma che le regole, attraverso le attività interpretative degli attori, seguono il gioco e rendono i suoi eventi normali e comprensibili.
Bibl.: E. Husserl, Cartesianische Meditationen, L'Aia 1950 (trad. it., Meditazioni cartesiane, Milano 1960); H. Garfinkel, The perception of the other. A study in social order, dissert. di dottorato non pubblicata, Cambridge (Mass.) 1952; A. Schütz, Collected papers, 1, L'Aia 1962 (trad. it., Saggi sociologici, Torino 1979); H. Garfinkel, A conception of and experiment with ''Trust'' as a condition of stable concerted actions, in Motivation and social interaction, a cura di O. J. Harvey, New York 1963, pp. 187-238; D. Sudnow, Normal crimes, in Social problems, 12 (1965), pp. 255-76 (trad. it. in P. P. Giglioli e A. Dal Lago, Etnometodologia, Bologna 1983, pp. 145-76); H. Garfinkel, Studies in ethnomethodology, Englewood Cliffs (N. J.) 1967; A. Cicourel, The social organization of juvenile justice, New York 1968; H. Garfinkel, H. Sacks, On formal structures of practical actions, in Theoretical sociology, a cura di J. McKinney e E. Tiryakan, ivi 1970, pp. 337-66; H. Sacks, Notes on police assessment of moral character, in Studies in social interaction, a cura di D. Sudnow, ivi 1972, pp. 280-93 (trad. it. in P. P. Giglioli e A. Dal Lago, Etnometodologia, cit., pp. 177-96); A. Cicourel, Cognitive sociology, Harmondsworth 1973; H. Garfinkel, The origins of term ethnomethodology, in Ethnomethodology, a cura di R. Turner, ivi 1974, pp. 15-18; D.L. Wieder, Language and social reality, L'Aia 1974; J. M. Atkinson, Discovering suicide: studies in the social organization of sudden death, Londra 1978; The theory of social action: the correspondence of Alfred Schütz and Talcott Parsons, a cura di R. Grathoff, Bloomington 1978; N. Gilbert, M. Mulkay, Opening Pandora's box: an analysis of scientists' discourse, Cambridge 1984; J. Heritage, Garfinkel and ethnometodology, ivi 1984; J. Wiedmer, Langage et action sociale, Friburgo 1986; M. Pollner, Mundane reason: reality in everyday and sociological discourse, Cambridge 1987; P.P. Giglioli, Rituale, interazione, vita quotidiana, Bologna 1990.