Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nella seconda metà del Settecento in Francia, dopo le prese di posizione contro lo stile Luigi XV e la diffusione degli scritti di Rousseau, Burke e Le Camus de Mézières, molti architetti elaborano progetti improntati a una visione ideale della società. Tra questi Boullée e Ledoux si caratterizzano per la teorizzazione di una “architettura parlante”, in grado di comunicare e produrre valori morali e virtù civili attraverso simboli e allusioni suggestive.
Boullée e Ledoux rivoluzionari prima della Rivoluzione
Nella storia dell’architettura francese Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux sono uniti nella comune definizione di “architetti rivoluzionari”. Se la loro vita e il loro lavoro si svolgono nello stesso luogo – Parigi e dintorni – e nello stesso arco di tempo, le affinità stilistiche e progettuali che li accomunano non sono tuttavia maggiori di quelle che si possono riscontrare con altri architetti loro contemporanei, tra i quasi duecento attivi dal 1789 al 1889. Nel decennio della Rivoluzione francese sono innumerevoli i progetti che rivelano, per la formazione e le frequentazioni degli autori, una circolazione di idee condivise da molti. Basti ricordare quelli di Brongniart, De Wailly, Fontaine, Verly, Sobre, Molinos e Durand, tra i maggiori, ed eventualmente cercare tra i disegni presentati ai concorsi dagli allievi dell’Accademia di architettura per contare la varietà delle ramificazioni dei progetti, derivati dalle radici delle invenzioni originali. È innegabile che l’impatto visivo dell’opera di Boullée e Ledoux come è rappresentata nei disegni e nelle incisioni, la suggestione per la carica simbolica della rappresentazione e l’evocazione di un paesaggio architettonico possibile ma improbabile, quindi utopico, procurano nell’osservatore un coinvolgimento emotivo molto affine e producono quel certain je ne sais quoi che fa la fortuna di categorie quali il sublime e il pittoresco, colpendo le corde della sensibilità più che lo sguardo della Ragione. Boullée e Ledoux pensano in grande perché credono che l’uomo del XVIII secolo sia capace di esprimere un’umanità degna delle virtù degli antichi. La loro visione etica del destino del mondo li porta a considerare l’architettura una disciplina in grado di promuovere, non solo affiancare, il riscatto dalla servitù dell’ignoranza, del pregiudizio e dell’oscurantismo: essi vedono l’architetto come strumento privilegiato della civiltà e del progresso, in quanto poeta, filosofo e artista, non solo costruttore. Boullée e Ledoux vivono in un periodo storico in cui l’idea di rivoluzione sociale alimenta il dibattito culturale quotidiano, ma non sono per questo rivoluzionari più di quanto il Partenone sia neoclassico; lo diventano, invece, nel giudizio dei posteri, che li associano alla Rivoluzione francese per una coerenza estetica tra due ordini di rappresentazioni: la Rivoluzione come azione drammaturgica grave, severa, rigorosa, crudele, e l’architettura “rivoluzionaria” come scenografia austera, colossale, cupa e cavernosa. Qualunque sia stata la loro tipologia architettonica, Boullée e Ledoux non sono uomini per tutte le stagioni e gli architetti che sul finire del secolo spiegano le vele al vento della gloria napoleonica trovano ingombrante e scomoda la loro eredità. Con il colpo di stato del 9 novembre 1799 (18 brumaio) per la Francia finisce l’esperienza rivoluzionaria: cade il Direttorio, entra in vigore la nuova Costituzione e Napoleone Bonaparte diventa primo console. I tempi sono ormai mutati insieme ai gusti e alle virtù dei sudditi: Louis Combes, che disegna una piazza in onore di Luigi XVI a Bordeaux e nel 1789 a Parigi una sala per l’Assemblea nazionale, nel 1802 progetta poi un monumento a Napoleone e nel 1816 una fontana per la restaurazione dei Borbone.
Charles-François Viel in Decadenza dell’architettura alla fine del XVIII secolo auspica un ritorno al classicismo delle “nobili proporzioni” e, alludendo a Ledoux e a Boullée, scrive che il secolo verso il suo termine “ha visto apparire due architetti troppo celebri, l’uno per la dimensione delle sue imprese rovinose, l’altro per la moltitudine dei suoi disegni frutto di una immaginazione incostante e disordinata. Lo spirito capriccioso di questi due architetti si è impossessato di un grande numero di artisti, li ha distolti dal solo studio cui avrebbero dovuto applicarsi, quello dello stile puro degli antichi e ha operato una vera rivoluzione nell’ordine degli edifici”. La conclusione di Viel è apodittica: “il successo degli innovatori non avrà durata maggiore di quella del secolo che è giunto alla sua fine”. Ibernata per più di un secolo, l’opera grafica dei due “innovatori” viene riscoperta solo a partire dagli anni Venti del Novecento, provocando la sorpresa di una modernità profetica: sono chiamati in causa Le Corbusier, Adolf Loos e Frank Lloyd Wright per l’architettura, Fourier, Howard, Owen e Bemperton per l’urbanistica e l’opera di Ledoux e a Boullée viene intesa quasi come una premonizione dei progetti di regime di Shchusev, Tatlin e Speer.
Boullée: l’architettura come poesia
Il manoscritto di Boullée Architettura. Saggio sull’arte, con i disegni che lo illustrano, viene pubblicato solo nel 1953. Lo stile della scrittura è lirico e appassionato, talora enfatico; il taglio è pedagogico e l’intento morale.
All’autore non interessa comporre un trattato per costruire edifici, bensì dimostrare che l’architettura è poesia. Il rigore geometrico, l’articolazione dei volumi, il gioco di luci e ombre, l’ambientazione e il paesaggio valgono per quello che l’immagine riesce a portare dalla percezione al sentimento. Boullée si serve di concetti codificati ma li arricchisce di senso metaforico, come se ogni loro definizione vibrasse oltre il proprio limite per cercare vibrazioni contigue, così da stabilire analogie tra materiale e immateriale, tra corpi geometrici regolari e sensi umani: questo è ciò che egli chiama “carattere”. La regolarità intesa come bellezza delle forme, la simmetria come loro ordinata organizzazione e la varietà come diverso modo di apparire determinano la “proporzione” quale valore primario dell’architettura, prodotto della natura e armonia di corpi perfetti, come perfetta per antonomasia è la sfera, sintesi di simmetria, regolarità e varietà.
Inoltre, se regolarità e simmetria si devono considerare come l’essenza stessa della natura, l’architettura è per Boullée l’unica arte che può metterla in opera.
Quindi se Natura e Dio coincidono e la grandezza ne è un attributo, la loro perfezione è tautologicamente non perfettibile: natura e architettura non possono essere costruite, possono essere solo create, la loro grandezza oltrepassa l’idea di misura e supera l’idea di scala. Così il monumento – tale è necessariamente ogni edificio – può essere soltanto colossale, smisurato, esorbitante: nel Progetto del cenotafio per Newton (1784) la sfera, che esternamente rappresenta la Terra, all’interno contiene la volta celeste. Scrive Boullée nella dedica a Newton: “Se per l’estensione dei tuoi lumi e la sublimità del tuo Genio tu hai determinato la figura della terra, io ho concepito il progetto di avvolgerti nella tua scoperta”.
Nella sfera progettata da Boullée si entra attraverso un’apertura nello zoccolo che conduce all’urna, unico oggetto materiale e centro di gravità dell’immenso edificio. Se fuori è notte, dentro è giorno per un sole artificiale sospeso nel vuoto della volta; se fuori è giorno, dentro è notte e infinite stelle punteggiano la cavità per la forza della luce che penetra attraverso i fori praticati nella parete. Convessità e concavità interagiscono per risolvere figurativamente un paradosso: la mente umana chiusa nel suo limite può comprendere ciò che contiene l’infinità dell’universo. Nei disegni di Boullée la grandiosità delle costruzioni e la terribilità dei cieli, percorsi da nubi incombenti, condividono una stessa sostanza che trascende uomo e paesaggio: nelle visioni prospettiche le piccolissime figure che affollano scalinate, androni, vestiboli e terrapieni e che si dispongono solitarie o a gruppi in un minutissimo brulichio a perdita d’occhio abitano idee, non spazi, ed entrano nei sogni (o negli incubi) di chi guarda. Nel testo del programma per il concorso dell’Accademia reale di architettura (1786) agli allievi sono categoricamente vietati, sia negli schizzi sia nei disegni finiti, “i cieli, i paesaggi, le prospettive e in generale tutto ciò che esula da un disegno puramente geometrico”. Boullée non solo si serve di questi effetti, ma ne fa sostanza emotiva e li usa come mezzo per produrre un sentimento.
Ledoux: l’architettura come impegno
Ledoux, come Boullée, si disinteressa della fruibilità e abitabilità degli edifici che progetta, ma mentre Boullée nel suo Saggio sull’arte vuole dimostrare come l’architettura possa attingere il sublime, Ledoux vive il fervore programmatico del riformatore che si dà mete politiche, morali, educative, legislative e di governo e che vuole affermare il ruolo sociale dell’architetto, illustrando a volte in modo oscuro e prolisso cosa intende per varietà, convenienza, decoro, simmetria e gusto. Mentre Boullée vuole che l’architetto sia poeta, Ledoux lo vuole filosofo; entrambi lo pretendono pittore.
Molto più di Boullée Ledoux costruisce, oltre che teorizzare, e ipotizza nei suoi progetti situazioni realistiche che tengono conto dell’ordine sociale, dei terreni e dei costi (“convenienza”), senza perdere di vista le esigenze della committenza (“gusto e decoro”). Il suo programma (“per la prima volta si vedrà la magnificenza della bicocca e del palazzo”) è totalizzante, punta sull’estensione più che sullo sviluppo verticale delle costruzioni e nell’utopia urbanistica di città ideali inscrive tipologie tanto caratterizzate sotto il profilo della funzione (“architettura parlante”) da toccare il paradosso, come nell’invivibile Casa delle guardie campestri di Maupertuis, sfera senza finestre collegata al terreno da quattro rampe di scale, nella Casa laboratorio dei bottai a forma di doppia botte con cerchioni concentrici e nella Casa per i sorveglianti del fiume Loüe che è ponte e canale insieme. Le guardie fluviali dovrebbero vivere nello spessore della parete di un cilindro adagiato sul letto del fiume, lungo il cui asse scorrono le acque che escono a valle come getto di fontana. Il progetto per la nuova città di Chaux prevede la distribuzione dei corpi di fabbrica su una grande estensione di forma ellittica: gli edifici amministrativi nella fascia interna, le officine e la casa del direttore sull’asse diametrale; all’esterno sono disposti l’ospizio, il cimitero, il mercato, la fonderia dei cannoni e il ponte sulla Loüe, con i piloni a forma di triremi. Il progetto risponde a un’esigenza di organizzazione razionale (e in questo anticipa l’architettura urbana industriale), ma fa posto a una visione utopica della funzione sociale degli edifici, destinati a celebrare la Concordia, l’Unione, la Memoria, la Vita Comune, l’Educazione, l’Amore, la Morale ecc. A Chaux si può ancora oggi apprezzare la severa semplicità delle costruzioni che gravano sul terreno con la pesantezza di strutture segnate da aggetti forti, si può subire la suggestione prodotta dall’artificio delle anfore che rovesciano acqua pietrificata o assecondare la finzione teatrale della grotta ciclopica all’ingresso della Salina. Grande attenzione è riservata da Ledoux alla possibilità di avere sempre la massima e simultanea visione dell’orizzonte che nel caso della città industriale deve garantire ovunque il controllo dell’attività produttiva.
Applicato al teatro, lo stesso principio diventa regola ottica, emblematica nel Colpo d’occhio sul Teatro di Besançon che inscrive la cavea nell’iride e nella pupilla di un grande occhio senza ciglia, la cui palpebra superiore coincide con la curva dell’arco di proscenio. Il fascio di luce che esce dall’occhio appartiene tanto al soggetto quanto all’oggetto della visione e conferisce un elemento surreale ed esoterico all’immagine architettonica che è contemporaneamente contenuta e riflessa. Ledoux, discepolo di Jean-Jacques Rousseau e di Bernardin de Saint-Pierre, non vedrà la società armoniosa che ha sognato, non vedrà realizzata la sua città ideale, non avrà il riconoscimento per l’immane fatica della sua opera teorica. “Ciò che avrebbe potuto contribuire maggiormente a far valere la mia opera non è stato portato a termine”, questo aveva detto per il grande progetto delle Saline di Chaux e alla fine della vita è costretto a ripetere: “Eventi, travolgenti nella loro natura, hanno tagliato il filo della mia opera prima dell’autunno dei miei giorni”. A lui, che è costretto ad assistere alla demolizione della maggior parte dei suoi propilei della cinta daziaria di Parigi agli inizi della Rivoluzione, è almeno risparmiato il destino di sapersi definito rivoluzionario, visionario e megalomane.
Étienne-Louis Boullée: vita e opere
Étienne-Louis Boullée nasce nel 1728 a Parigi, dove morirà nel 1799. Con Nicolas Lancret e Jean-Baptiste Marie Pierre inizia presto lo studio della pittura, per la quale nutre una grande passione e di cui resta traccia nell’impiego suggestivo di effetti scenografici che caratterizza i suoi lavori. Il padre, architetto di successo ed esperto giurato per le costruzioni del re, gli impone quasi a forza di dedicarsi esclusivamente all’architettura. Suoi maestri sono successivamente Jacques-François Blondel, Jean-Laurent Legeay e Germain Boffrand; da loro e dagli scritti di Marc-Antoine Laugier apprende il rigore geometrico e il rispetto per il classicismo di tradizione nazionale, ma anche la ricerca della funzionalità e il gusto per l’innovazione. Nel 1747, a diciannove anni, Boullée comincia a insegnare; gli allievi lo seguiranno sempre con devozione ed egli li ricambierà anche con aiuti materiali nelle situazioni di bisogno.
La sua prima opera nota è l’altare per la cappella del Calvario nella chiesa di Saint Roch a Parigi, dove è già riconoscibile il suo stile rigoroso; la scelta di una sezione di colonna dorata per il tabernacolo viene criticata da Denis Diderot e il giudizio dispiace non poco al giovane architetto. Nel 1762 Boullée si occupa della decorazione dell’Hôtel de Tourolle: la modernità delle sue scelte gli procura un’immediata notorietà e accresce il numero di coloro che sanno valutarne la raffinata e sobria eleganza. Lo stesso anno diventa membro di seconda classe dell’Accademia di architettura e fino al 1778 progetta prevalentemente residenze per ricchi clienti a Parigi e dintorni: l’Hôtel de Tourolle, la casa del banchiere Alexandre (unica opera di Boullée tuttora esistente, in Rue de la Ville-l’Évêque), gli Hôtels de Monville, de Perron, de Thun, de Villeroy, de Brunoy, de Beaujon. Interviene nell’ampliamento e nella decorazione del Palazzo Bourbon, dello Château de Chaville, dell’Hôtel d’Évreux (oggi Palais de l’Elysée), degli appartamenti del fratello del re, conte d’Artois, nel Palais du Temple. Lo stesso conte d’Artois lo nomina intendente alle costruzioni; in seguito Boullée diventa controllore generale per le opere architettoniche dell’Hôtel des Invalides e dell’École militaire. L’insegnamento gli procura grandi soddisfazioni: in undici anni i suoi allievi riscuotono numerosi riconoscimenti accademici e la sua maniera fa proseliti anche fra gli ingegneri dell’École de ponts et chaussées. Amareggiato per controversie legali con Nicolas Beaujon, segretario e banchiere di Luigi XVI, per onorari non pagati, Boullée accantona la committenza privata e si rende disponibile per eventuali incarichi pubblici. Fra il 1778 e il 1782 costruisce una prigione che gli merita riconoscimenti anche fuori Francia, per i criteri di umanità che sono tenuti in considerazione nel progetto. Nel 1780 è nominato professore di prima classe all’Accademia; viene dunque consultato per grandi opere pubbliche sia nella capitale sia nelle province ed è richiesto per importanti progetti a Stoccarda e Coblenza. Nel 1786 riceve l’incarico di commissario responsabile per l’ultima fase della politica di abbellimento di Parigi. Disegna vaste composizioni per i grandi monumenti che il re intende riedificare: il castello di Versailles, un teatro tra il Louvre e le Tuileries e la Biblioteca Reale. Progressivamente rinuncia poi agli onerosi impegni di sovrintendenza, per potersi occupare con più libertà della definizione teorica della sua arte, cui dedica gli ultimi dieci anni di vita. Nel 1793 lascia per testamento i suoi manoscritti e i suoi disegni alla nazione.
Claude-Nicolas Ledoux: vita e opere
Claude-Nicolas Ledoux nasce a Dormans (Marna) da famiglia modesta, ma la sua vivacità di apprendimento gli merita una borsa di studio nel collegio di Beauvais. A quindici anni abbandona gli studi classici per seguire i corsi di Jacques-François Blondel sulla decorazione, la distribuzione e la costruzione degli edifici e comincia a guadagnarsi da vivere come incisore di scene di battaglia. Incoraggiato dall’architetto Louis-François Trouard si applica con passione allo studio dell’opera di Giovanni Niccolò Servandoni, l’architetto di Luigi XV che con la facciata per la chiesa di Saint-Sulpice preannuncia il neoclassicismo.
Ledoux studia i trattati di Vitruvio, Andrea Palladio e Sebastiano Serlio, ammira Giulio Romano, Giambattista Piranesi ed è affascinato dalle tracce che l’antichità gallo-romana ha lasciato nella Franca Contea e in Provenza; si interessa, poi, alle scoperte archeologiche della Sicilia, di Ercolano e di Paestum attraverso relazioni e disegni. Nel 1762 a Ledoux viene offerta la prima importante occasione di lavoro: la decorazione interna del Café Militaire di Parigi.
L’apprezzamento che ne ricava diffonde la sua notorietà negli ambienti dell’aristocrazia facoltosa e del clero. Gli incarichi si susseguono e Ledoux lavora al coro della cattedrale di Auxerre, progetta e trasforma piccole chiese in Borgogna e costruisce residenze parigine quali gli Hôtels d’Hallwyl, d’Uzès e di Montmorency, il padiglione Guimard e i castelli di Eaubonne e di Bénouville. Nel 1771 diventa architetto di fiducia di Madame du Barry che gli commissiona l’esecuzione del castello di Louveciennes e lo fa nominare ispettore generale delle saline reali.
Nel 1773 viene nominato architetto del re ed eletto membro dell’Accademia reale d’architettura; l’ambizione di Ledoux può finalmente aprirsi a realizzazioni di grande respiro quando riceve l’incarico di progettare la salina di Chaux, tra i villaggi di Arc e Senans, per cui immagina una “città ideale” come estensione urbanistica delle proprie idee sull’architettura. La monumentalità del piano suscita però polemiche e resistenze che ne ritardano l’approvazione fino al 1774. Nel frattempo Ledoux continua a lavorare per la committenza privata, si occupa dell’Hôtel Hocquart e dell’Hôtel Thélusson a Parigi e della casa Mannery a Salins. Del 1776 è il progetto per un arco di trionfo e una biblioteca per il langravio di Kassel, del 1779 il teatro di Besançon.
Tra gli altri lavori eseguiti tra il 1780 e il 1785 sono rilevanti gli Hôtels de Jarnac, d’Espinchal e Tabary a Parigi, il magazzino del sale a Compiègne, il palazzo episcopale a Sisteron, il castello di Eguière, il complesso di Aix-en Provence comprendente il palazzo di giustizia, le prigioni e il palazzo del governatore, il municipio di Neuchâtel, un teatro a Marsiglia, oltre al piano per un villaggio ideale a Maupertuis, con originali e bizzarri progetti di dimore rurali organizzate per tipologie. Nel 1782 Ledoux riceve l’incarico per la costruzione di edifici da porre a presidio delle vie d’accesso alla capitale; è un’iniziativa dell’ancien régime che provoca ostilità nel popolo, conseguenti sospensioni temporanee dell’incarico, rinvii nell’approvazione dei progetti e nell’esecuzione dei lavori. Tanto è mal sopportato il controllo di polizia implicito nell’esistenza stessa della cinta daziaria che alcune delle barrières sono le prime costruzioni a essere demolite dalla folla in tumulto all’inizio dei disordini rivoluzionari. Dei sessanta propilei originali ne restano oggi solo quattro: la Rotonde de La Villette, la Rotonde de Monceau, la Barrière du Trône e la Barrière d’Enfer. La Rivoluzione segna la fine della carriera attiva di Ledoux, che finisce in carcere e rischia la ghigliottina; i suoi ultimi progetti per lavori commissionatisi riferiscono alle case Saisseval e Hosten. Amareggiato e inasprito impiega gli anni di vita rimasti nell’ordinare i disegni e gli scritti per la stesura del suo trattato, L’architettura considerata in rapporto all’arte, ai costumi e alla legislazione, che pubblica a proprie spese e di cui riesce a pubblicare soltanto il primo volume con dedica ad Alessandro I di Russia. Claude-Nicolas Ledoux muore a Parigi nel 1806, povero e deluso, dopo aver inutilmente atteso per due anni un riconoscimento ufficiale alla sua fatica. Si ignora il luogo della sua sepoltura.