DOLET, Étienne
Erudito, filologo, stampatore francese, nato a Orléans il 3 agosto 1509, morto a Parigi il 3 agosto 1546. Dopo avere studiato nella sua città natale e quindi a Padova, divenne segretario del vescovo di Limoges e l'accompagnò in un'ambasceria a Venezia. Si stabilì poi a Tolosa e vi studiò giurisprudenza. Quivi manifestò le sue tendenze di pensatore eterodosso, tenne discorsi violenti, subì la prigione e fu cacciato dalla città. Si recò allora a Lione, ove pubblicò, in dodici anni, una quindicina di opere, lavorando nel frattempo come lettore e correttore di bozze presso varî stampatori. Prese parte violentemente alle dispute intorno a Cicerone che divampavano in quegli anni, e pubblicò contro Erasmo un Dialogus de imitatione Ciceroniana, seguito a breve scadenza dalla sua opera maggiore, i Commentariorum linguae latinae libri duo (1536-38), dedicati a Francesco I. Questi gli condonò la pena che avrebbe dovuto subire come uccisore in rissa del pittore Compaing, ma il D. fu imprigionato ugualmente e liberato solo dopo alcuni mesi. Nel 1538 egli ottenne il brevetto di stampatore, e l'esercizio di questa professione fu causa della sua rovina, poiché, dopo aver pubblicato qualche trattato di medicina, il Gargantua del suo amico Rabelais e varî scritti del Marot, stampò una dopo l'altra diverse opere prettamente eretiche, libri calvinisti, ecc. Fu allora per due volte arrestato e per due volte riuscì a liberarsi: la prima ottenendo grazia dal re, la seconda fuggendo in Piemonte. Commise però l'imprudenza di tornare in Francia (1544), e qui fu nuovamente arrestato, quindi processato e condannato al rogo (1546). Il D. affrontò stoicamente il supplizio; gli viene anche attribuito un curioso pentametro, ch'egli avrebbe composto mentre si recava alla Place Maubert, dove la sentenza fu eseguita e dove nel 1889 gli fu eretta una statua: Non dolet ipse Dolet sed pia turba dolet.
L'opera del D. è stata giudicata in modi varî e contraddittorî; non si può misconoscere il suo valore come erudito (i suoi Commentarii sono tuttora una fonte preziosa d'informazioni etimologiche), e come assertore di quei diritti del pensiero che dovevano costituire la più alta rivendicazione del Rinascimento; ma non si può stabilire con certezza se le sue intime convinzioni fossero calviniste o addirittura ateo-razionaliste, come alcuni hanno sostenuto. Calvino condannò i suoi libri, e d'altra parte certe esortazioni del D. in favore della lettura della Bibbia sembrerebbero escludere ch'egli fosse quello che oggi si chiamerebbe un "libero pensatore". Fu ad ogni modo uomo di vivacissimo ingegno, di carattere orgoglioso, audace, volontaristico: il suo miglior biografo, il Copley-Christie, lo chiamò "martire del Rinascimento".
Come stampatore, il D. lasciò bellissime edizioni, tipograficamente assai corrette e ornate; la sua marca era un'ascia tenuta da una mano uscente da una nube, in atto di colpire un ceppo nodoso; egli adottò varie divise, a seconda dei volumi pubblicati: Scabra et impolita adamussim dolo atque perpolio; Durior est spectatae virtutis quam incognitae conditio; Préservez-moi, Seigneur, des calomnies des hommes.
Bibl.: J. Boulmier, E. D., savie, ses œuvres et son martyre, Parigi 1857; R. Copley-Christie, E. D., le martyr de la Renaissance, sa vie et sa mort, Parigi 1886, 2ª ed. 1889; O. Galtier, E. D., Parigi 1908.