Termine usato dalla critica letteraria per indicare un tipo di scrittura che ricorre liberamente a realtà linguistiche periferiche e irregolari, attingendo ai dialetti, alle lingue straniere, ai gerghi, ai diversi linguaggi tecnici e settoriali, non riprodotti mimeticamente, ma ricreati dagli scrittori con invenzioni personali; presente con intensità diversa in quasi tutti i momenti della letteratura italiana, caratterizza in modo particolare le esperienze di alcuni scrittori italiani del Novecento (C.E. Gadda, G. Testori, P.P. Pasolini, B. Fenoglio).