TONINI, Ersilio
– Nacque a Centovera, frazione di San Giorgio Piacentino (Piacenza), il 20 luglio 1914, terzo di cinque figli, da Cesare, mezzadro e capo-bifolco, e da Celestina Guarnieri.
Un ruolo centrale nella sua prima formazione spirituale e umana lo ebbe la madre, per lui modello esemplare di trasmissione della fede e divenuta nel tempo, assieme al richiamo ai valori della vita contadina, un tipico contenuto simbolico del suo stile comunicativo (ben evidente nell’autobiografia Il gusto della vita, a cura di P. Gambi, Milano 2012).
Le umili origini ebbero riflessi nel suo percorso educativo: entrato nel seminario vescovile di Piacenza nel 1925, poté completarvi il ciclo di studi superiori solo grazie agli aiuti economici di alcuni parenti e della locale Azione cattolica. Ancora diacono venne nominato vicerettore del seminario dal vescovo Ersilio Menzani che lo ordinò poi sacerdote il 18 aprile 1937. Dall’ottobre del 1939 si trasferì a Roma per studiare diritto civile e canonico presso la Pontificia Università Lateranense. Il suo iter di studi, pur non completato con la laurea, fu caratterizzato dalla passione per la filosofia e il diritto (fu specialmente vicino a Salvatore Riccobono) e dall’impegno per l’apprendimento delle lingue: negli anni acquisì la padronanza del tedesco e del francese e, già ottantenne, iniziò a studiare per acquisire anche i rudimenti dell’inglese.
Rientrato nel 1943 a Piacenza e nominato cappellano del carcere durante l’occupazione della città, profittò della conoscenza del tedesco per mediare con i nazifascisti la salvezza di alcuni partigiani comunisti (Severini Melograni, 2013, pp. 27 s.). Con l’immediato dopoguerra assommò una pluralità di incarichi (insegnante in seminario, assistente della FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana, del Movimento laureati di Azione cattolica e dell’Unione cattolica italiana insegnanti medi) e manifestò una chiara propensione a sperimentare l’uso pastorale dei mass media: alla direzione del periodico diocesano Il Nuovo giornale (dal 1947), rivitalizzato sotto la sua guida da un anticomunismo militante e da una forte attenzione al mondo del lavoro, unì l’impegno per la diffusione dei cineforum e, nel 1951, l’avvio dell’esperienza del giornale parlato (Pasquali, 2001, pp. 82-84). Nominato nel 1953 parroco di San Vitale a Salsomaggiore Terme, dove rimase un quindicennio, vi trovò una realtà di forte radicamento comunista, vivacizzata dal turismo termale e dal fenomeno mediatico di Miss Italia. A diretto contatto con i rapidi mutamenti dei costumi sociali proprio negli anni che condussero al rinnovamento conciliare, si impegnò in una pastorale a tutto campo (la costruzione dell’oratorio, la mensa ACLI, Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani, per gli operai, l’assistenza agli universitari) che affinò nelle relazioni intessute con varie influenti personalità assidue frequentatrici della stazione termale (tra cui Francesco Carnelutti, Gian Andrea Gavazzeni, Giovanni Leone, Giovanni Spadolini).
Il poliedrico attivismo di Tonini convinse Paolo VI – già da lui conosciuto negli anni romani – a designarlo, il 28 aprile 1969, vescovo di Macerata e Tolentino e amministratore apostolico di Treia, Cingoli e Recanati (poi unite nel 1976). Alla breve esperienza di rettore del seminario piacentino (iniziata nel settembre del 1968), seguì dunque la consacrazione episcopale officiata dal vescovo di Piacenza Umberto Malchiodi il 2 giugno 1969. Le Marche permisero a Tonini di misurarsi con un ambiente di ben solida tradizione cattolica: con i venti del dissenso postconciliare che giunsero smorzati, poté guidare con piglio sicuro la delicata fase di transizione ecclesiale. Tra gli atti rilevanti del suo episcopato, indice del suo personale approccio alle metamorfosi in corso, vi fu nel 1970 la scelta di vendere ai mezzadri alcuni terreni di proprietà della diocesi di Cingoli per motivi economici e, soprattutto, sociali. Una decisione che gli portò l’appoggio dei comunisti marchigiani e una risonanza sulla stampa nazionale e internazionale (Lugaresi, 2017, pp. 37 s.).
Ben più arduo il compito che gli affidò papa Montini destinandolo a capo dell’arcidiocesi di Ravenna e Cervia (22 novembre 1975), profondamente lacerata dalla complessa situazione innescata dal vescovo Salvatore Baldassarri.
Quest’ultimo si era mosso in aperta divergenza alla linea di Paolo VI che mirava a guidare un’uniforme recezione del Concilio nella Chiesa italiana. L’apertura verso i cattolici del dissenso e la presa di distanza da molti capisaldi dell’agenda vaticana per l’Italia (tra cui la mobilitazione per la Democrazia cristiana e per un fronte antidivorzista) avevano posto Baldassarri in rotta di collisione con la S. Sede e con la Conferenza episcopale italiana, determinando la clamorosa richiesta di Montini per un suo dimissionamento e la scelta di una figura che gli garantisse fedeltà (Riccardi, 2000).
La pesante eredità fu gestita da Tonini anche attraverso scaltre scelte anticonvenzionali. Da un lato la decisione (poi mantenuta fino alla sua morte) di risiedere presso l’Istituto S. Teresa del Bambin Gesù, una sorta di Cottolengo ravennate, destinando l’appartamento in episcopio al ricovero dei tossicodipendenti. Dall’altro la rinuncia ai tradizionali strumenti della comunicazione episcopale (la lettera pastorale e il bollettino diocesano), per intavolare un dialogo più immediato con i fedeli attraverso interventi diretti sulla stampa diocesana (oggi raccolti, in parte, in Romagna mia, Ravenna 2004): prima su Il Romagnolo, poi sui nuovi media da lui avviati, quali Ravegnana Radio nel 1978 e il periodico Risveglio 2000 nel 1985, sul quale curò settimanalmente l’editoriale e la rubrica Colloqui in famiglia.
Lo stretto rapporto con i media divenne il segno distintivo del ministero dell’arcivescovo di Ravenna. Anche in tale percorso il ruolo di Paolo VI fu essenziale: nel 1976 cooptando Tonini come membro della Pontificia commissione per le comunicazioni sociali; poi, nel 1978, chiamandolo alla presidenza del consiglio di amministrazione della Nuova editoriale italiana, editrice del quotidiano Avvenire (carica che mantenne fino al 1989). In una sorta di documento programmatico per la Chiesa ravennate Essere pastori oggi (Forlì 1977), Tonini, citando il teologo Karl Barth, chiarì che l’evoluzione dei costumi imponeva ai vescovi la necessità di «tenere in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale» (p. 6). Un orientamento esemplificato al meglio con la rubrica che cominciò a curare nel 1976, dalle colonne di Avvenire, sotto lo pseudonimo di Guido Vescovo: egli si propose di divenire, scrisse nel suo primo intervento, «un Vescovo a portata di mano dei lettori, entro l’intreccio della vita reale» (1° gennaio 1976). Fedele a questo mandato, commentando i più svariati fatti di attualità, si rivelò uno dei maggiori interpreti della prospettiva montiniana mirante a concepire un quotidiano che fosse coscienza critica della Chiesa e pungolo dei cattolici impegnati nella sfera pubblica (Versace, 2013). Lo si vide bene in occasione del sequestro di Aldo Moro, quando gli editoriali di Tonini, se si inserirono sulla scia dell’appello del papa alle coscienze dei brigatisti, mantennero comunque una vigile vicinanza alla sofferta linea della fermezza promossa dalla segreteria DC del faentino Benigno Zaccagnini (a cui Tonini fu legato da sincera amicizia), spronando al contempo a ricercare in profondità le cause sociali e culturali del fenomeno brigatista. Prese di posizione che gli garantirono una crescente autorevolezza, riconosciuta dalla stampa nazionale quando si cominciò a parlare insistentemente del «vescovo-editore» (Il Corriere della sera, 30 novembre 1978) come principale candidato alla successione del cardinale Giovanni Colombo sulla cattedra di S. Ambrogio a Milano.
In quegli anni, a Ravenna e a Cervia (ma anche a Rimini, di cui Tonini fu amministratore apostolico dall’ottobre del 1988 al giugno del 1989) trovarono concretezza pastorale molti dei temi su cui l’arcivescovo interveniva sulla stampa: il calo delle vocazioni sacerdotali con la riapertura nel 1978 del seminario ravennate (chiuso dal 1971); la battaglia antiabortista con l’istituzione a Cervia nel 1982 del Centro per l’aiuto della vita; i fenomeni della tossicodipendenza e dell’AIDS con il varo nel 1984 del Centro ravennate di solidarietà; la campagna di solidarietà, promossa nel 1988 sulla pagine di Famiglia cristiana e Avvenire, per impedire l’esproprio delle terre degli indigeni brasiliani, sostenuta anche da Giovanni Paolo II. Ma la Chiesa ravennate divenne per Tonini anche il primo pulpito da cui rilanciare i più svariati temi per un dibattito nazionale: dalle stragi del sabato sera al problema delle mucillaggini marine (che gli valse l’epiteto di «Monsignor Adriatico»: Panorama, agosto 1989, pp. 52 s.), dalla questione del rispetto del riposo domenicale alla disoccupazione e alle morti bianche. I giorni (8-11 maggio 1986) che papa Wojtyla dedicò alla visita pastorale in Romagna (tra le più lunghe del suo pontificato) sanzionarono l’interesse del pontefice verso l’operato di Tonini, il quale solo pochi mesi dopo si trovò, come mai prima, al centro dell’attenzione mediatica.
Nel marzo del 1987 la dura reprimenda lanciata da Tonini in occasione del grave incidente nei cantieri navali Mecnavi di Ravenna, che costò la vita a tredici operai, ebbe un’eco vastissima: la sua omelia Uomini o topi (19 marzo) di denunzia sulle condizioni lavorative, venne rilanciata da tutta la stampa nazionale. Fu in quell’occasione che Tonini conobbe Enzo Biagi, presente come inviato RAI: un incontro da cui scaturì una solida amicizia e che segnò l’avvio di un nuovo corso nella sua vita. A pochi mesi dalla rinuncia al governo della diocesi di Ravenna per raggiunti limiti di età (27 ottobre 1990) due eventi infatti prelusero alla grande notorietà mediatica nazionale raggiunta da Tonini: se nel febbraio del 1991 venne chiamato da Giovanni Paolo II (che già lo aveva omaggiato di una nuova visita a Ravenna nel settembre del 1990) a predicare gli esercizi spirituali per la Curia romana (riflessioni raccolte nel volume Le ragioni della speranza, a cura di P. Gambi, Casale Monferrato 2009), nel marzo dello stesso anno divenne ospite fisso della trasmissione Dieci comandamenti all’italiana condotta su RAI Uno da Biagi.
Non era la prima volta che Tonini appariva in TV (già il ravennate Sergio Zavoli lo aveva invitato nei suoi programmi), ma il successo di quella partecipazione determinò una svolta. Editorialisti e critici televisivi ne misero in risalto l’efficacia dello stile comunicativo («È umano, pronto a capire anche le piccole cadute dei suoi peccatori, fra i quali non esclude gli uomini di Chiesa. E non cede un filo sui principi»: G. Calcagno, La Stampa, 28 aprile 1991), facendogli acquisire l’inedito ruolo di opinionista e lo status di «monsignore della tv» (A. Grasso, Il Corriere della sera, 27 dicembre 1995).
Quella di Tonini diventò una voce ricercatissima dalle reti generaliste e dalla grande stampa: un impegno solennemente riconosciuto da Wojtyla che nel Concistoro del 26 novembre 1994 lo creò cardinale esaltando il «proficuo dialogo pastorale» intrattenuto con un «vasto pubblico» attraverso «gli strumenti della comunicazione sociale» (discorso del 29 novembre 1994, https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1994/november/documents/hf_jp-ii_spe_19941129_cardinale-tonini.html, 17 novembre 2019). A questa missione Tonini dedicò l’ultimo denso scorcio della sua vita conclusasi alle soglie dei cent’anni, senza evitare contesti apparentemente distanti o inopportuni: fu così editorialista su Epoca (dal 1992 al 1995) e Donna moderna (dal 1996 al 2004), ospite fisso in trasmissioni come Domenica in (stagione 2003-04) e Unomattina (2004) e di frequente invitato nei talk show di Maurizio Costanzo, Bruno Vespa, Giuliano Ferrara, Piero Chiambretti e Fabio Fazio (contributi raccolti in parte in Cronaca di un cardinale, Roma 2004).
Ma la sua presenza nell’arena mediatica – un contesto ritenuto decisivo nella prospettiva wojtyliana del confronto serrato con la postmodernità – si intonò su precise coordinate. Egli divenne tra i più ascoltati alfieri di una Chiesa che rivendicava spazio alle istanze cattoliche, concentrata soprattutto sui temi ‘eticamente sensibili’ (famiglia, sessualità, bioetica), ma protesa a un rafforzamento tout court dell’identità cattolica ribattendo colpo su colpo alla cultura del ‘laicismo’: da qui l’attenzione di Tonini ai temi della finanza etica, della riforma scolastica, del degrado del linguaggio televisivo, della spersonalizzazione del lavoro e, non ultimo, degli squilibri della globalizzazione.
La sensibilità verso i temi del sottosviluppo dal 1999 lo portò più volte in Burundi per promuovere iniziative umanitarie sostenute dalla S. Sede, suggellate nel 2003 con l’avvio della Fondazione Pro Africa.
Morì a Ravenna il 28 luglio 2013, all’età di 99 anni.
Fonti e Bibl.: Le carte di Tonini sono conservate a Ravenna presso l’Istituto S. Teresa del Bambin Gesù, dove è appena iniziata la trascrizione dei circa duecento quaderni di meditazioni e riflessioni da lui scritti a partire dagli anni Cinquanta.
Le opere biografiche sono per lo più di taglio giornalistico e encomiastico: G. Zois, E. T. Comunicare col cuore, Clusone 1994; P. Severini Melograni, E. T. Comunicatore di Dio, Cinisello Balsamo 1999; S. Pasquali, E. T. Un piccolo grande comunicatore, Cinisello Balsamo 2001; E.F. Piacentini, E. T. cardinale piacentino, Piacenza 2004; G. Corrao, T. il grande, Piacenza 2013; P. Severini Melograni, E. T., Bologna 2013; N. Lugaresi, E. T. Il vescovo giornalista, Ravenna 2017 (che si segnala per un primo tentativo di ricostruzione critica) e il documentario in DVD Ersilio. Il Cardinal Tonini, i media come pulpito, di R. Vecchi, Ravenna 2017. Utili rimandi anche in: A. Riccardi, Vescovi d’Italia, Cinisello Balsamo 2000, pp. 155-173; E. Versace, Paolo VI e Avvenire, Roma 2013, pp. 102-113.