PISTELLI, Ermenegildo
PISTELLI, Ermenegildo. – Nacque a Camaiore (Lucca) il 15 febbraio 1862, da Alfonso e da Clelia Benedetti.
Il padre era stato volontario con gli studenti pisani nella campagna del 1848, divenendo poi ‘camarlingo’ dell’ospedale camaiorese. Sulla formazione di Pistelli lasciò una forte impronta lo zio Venanzio: uomo vivace e bizzarro, fervente patriota e cospiratore, dopo la morte della moglie si era fatto scolopio, senza rinunziare al suo risentito patriottismo e al suo temperamento polemico (su di lui i ricordi di Pistelli in Le memorie di Omero Redi, Firenze 1933, pp. 55-92).
Nella Versilia lucchese e fiorentina (un istituto fu attivo a Pietrasanta dal 1819 al 1872), era molto viva la tradizione scolopia: significava attaccamento alla cultura classica, interesse per le scienze esatte, apertura educativa, antigesuitismo, ‘italianismo’, ‘conciliatorismo’ fra scienza e fede, patria e religione. Così Pistelli fu mandato a studiare a Firenze, nelle Scuole pie di S. Giovannino, finché gli scolopi non ne furono sfrattati nel 1878, con una decisione del prefetto Cesare Bardesono che suscitò proteste e polemiche. Pistelli prese allora, da privatista, la ‘patente’ governativa di maestro elementare, cominciando a insegnare giovanissimo nelle prime classi elementari nella nuova sede di via Ghibellina. Sempre da privatista, terminò il liceo, per poi iscriversi all’istituto di studi superiori di Firenze, con molti docenti con i quali avrebbe stretto un legame profondo: soprattutto con Girolamo Vitelli, cui la sua carriera di filologo e di grecista rimase sempre legata.
Laureatosi nel 1884, nello stesso anno fu ordinato sacerdote: compiuto il servizio militare all’ospedale di S. Gallo, entrò definitivamente nel ginnasio scolopio di Firenze in qualità di docente di lettere. Dal 1903 al termine della vita, insegnò grammatica greca e latina nell’istituto di studi superiori: dapprima come incaricato, quindi – dopo essere stato ‘ternato’ nel 1907 in un concorso bandito dall’Università di Pisa – come straordinario e infine come ordinario.
Il suo Fach accademico fu dunque la filologia, in particolare quella greca, e lavori di grande mestiere furono le edizioni critiche di Giamblico: del Protrepticus (1888) e del commento filosofico all’aritmetica pitagorica di Nicomaco (1894), entrambe pubblicate a Lipsia dal celebre editore Teubner. Per Pistelli la cultura classica fu lo sfondo della vita: curò numerose edizioni scolastiche di classici, partecipò alla fondazione, nel 1898, e poi alla conduzione della rivista Atene e Roma, promossa dalla Società italiana per la diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici, allo scopo di favorirne la divulgazione al di fuori della cerchia accademica; in difesa degli studi classici condusse numerose polemiche contro le varie proposte ministeriali di ridimensionarne il ruolo nella scuola italiana. Quando nel 1908 fu costituita a Firenze la Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto, acconsentì a dirigere gli scavi italiani in Ossirinco (el-Bahnasa), la prima volta nell’inverno 1909-10 e poi dal 1911 al 1914.
Eppure fu molto più che un classicista. In lui è da vedere uno dei più significativi esponenti di quella cultura toscana caratterizzata da Giovanni Gentile (si veda Gino Capponi e la cultura toscana del secolo decimonono, Firenze 1922, ad nomen): un cattolicesimo liberale postrisorgimentale che diventa riformismo religioso, il culto di Savonarola e di Galileo (nel Pistelli anche di Caterina de’ Ricci e Filippo Neri), la programmatica conciliazione fra fede e scienza, il riferimento costante a Tommaseo, a Manzoni, al padre Luigi Tosti, al cardinale Alfonso Capecelatro, e soprattutto (nonostante condanne e persecuzioni) ad Antonio Rosmini. Pistelli fu molto attivo nelle forme di socialità culturale che quel mondo produsse, come le conferenze dantesche di Orsanmichele e le Lecturae Dantis dei primi anni del Novecento: membro della Società Dantesca, curò inoltre il testo delle epistole, delle egloghe e della Quaestio de aqua et terra per l’edizione delle Opere di Dante (Firenze 1921).
Ricorrendo anche a molti pseudonimi, dal 1888 collaborò intensamente con la Rassegna nazionale, che del cattolicesimo conciliatorista era l’organo più autorevole. Il suo conciliatorismo estremo lo mise spesso in sospetto, talora in urto con la gerarchia e i suoi orientamenti. La feroce polemica antigesuitica in difesa di Rosmini, le originali posizioni sul problema dell’insegnamento religioso nelle scuole, l’approccio critico al pensiero di Toniolo, qualche sommesso dubbio sul dogma dell’infallibilità pontificia, gli attacchi agli ‘intransigenti’, le amicizie ebraiche e valdesi gli crearono non poche difficoltà all’interno del suo ordine: così alla fine del 1899, forse su sollecitazione della Civiltà cattolica, gli fu proibito di continuare la collaborazione alla rivista (cfr. O. Confessore, Conservatorismo politico e riformismo religioso. La «Rassegna Nazionale» dal 1898 al 1908, Bologna 1971, pp. 194 s.).
Il suo riformismo religioso non si tradusse tuttavia in un atteggiamento filomodernistico, anche se i due interventi ospitati fra il 1906 e il 1907 dagli Studi religiosi di Salvatore Minocchi e alcune sue amicizie (come quella con Umberto Fracassini) lo esposero a diverse accuse: il visitatore apostolico padre Germano di S. Stanislao, nella sua relazione dopo l’ispezione della diocesi fiorentina nel 1906, indicava Pistelli e il suo amico padre Giovanni Giovannozzi come «sospetti di modernismo», denunciando i loro rapporti con il biblista valdese Giovanni Luzzi, con il quale essi avrebbero discusso perfino sull’unione delle Chiese (L. Bedeschi, Padre E. P. Scrittore e critico dalla vena inesauribile, in Vita pastorale, XCIV (2006), 5, pp. 44-46).
Dopo aver rarefatto (ma non interrotto) la sua collaborazione alla Rassegna nazionale, Pistelli trovò nel settimanale fiorentino Il Marzocco una nuova tribuna per i suoi interventi militanti in campo letterario, religioso e civile. Dal 1906, poi, iniziò la collaborazione al neonato Giornalino della domenica diretto da Vamba (Luigi Bertelli), che divenne popolarissimo fra bambini e adolescenti della borghesia italiana, creando il personaggio di Omero Redi.
Si trattava di un ragazzo che stava sempre con il suo professore, un prete attempato e paziente: uno sdoppiamento liberatorio del lato fanciullesco e ribaldo della sua personalità, che gli permetteva un estraniamento critico e benevolmente ironico verso le istituzioni scolastiche, le pedagogie ufficiali, il mondo politico dell’Italia giolittiana. Le lettere inviate da Omero Redi a Vamba furono pubblicate nella rubrica Le Pìstole d’Omero dal 1906 al 1911 e raccolte una prima volta in volume nel 1917 con una prefazione dello stesso Vamba, poi ancora, in edizioni accresciute, negli anni successivi, fino alla postuma e definitiva del 1933. Temi ricorrenti in quelle Pìstole (come in tutto il Giornalino della domenica) erano il patriottismo e l’irredentismo, tanto più persuasivi «perché in esse il sentimento nazionale faceva parte di un contesto assai scanzonato, dove si insegnava ai ragazzi quanto sana fosse una bella risata e, lungi dal portare ad esempio i primi della classe, si faceva più spesso una garbata apologia dei discoli. Insomma si insegnava che i buoni sentimenti possono convivere con l’allegria e la spensieratezza» (R. Vivarelli, Fascismo e storia d’Italia, Bologna 2008, pp. 68 s.). Dopo il 1908, anche in Pistelli questo patriottismo di origine risorgimentale cominciò ad acquistare accenti nuovi di tono più propriamente nazionalistico: ne sono sintomi evidenti già le sue corrispondenze dall’Egitto per Il Marzocco e per la Gazzetta di Venezia del 1911-14 (ripubbl. in In memoria di E. P., 1928, pp. 3-61).
Nel giugno del 1911, alla vigilia della guerra di Libia, Pistelli aveva inaugurato il sottocomitato giovanile fiorentino della Società Dante Alighieri, di cui fu il vero ispiratore nel decennio successivo: i 654 iscritti del 1911, per lo più studenti delle scuole superiori (ma anche trentotto universitari), erano praticamente raddoppiati nel 1915 e non piccola risultava anche la componente femminile, sia nella base sia nel gruppo dirigente. Egli rivendicò più volte a quel gruppo il merito di avere riproposto nella Firenze giolittiana e socialista le tematiche più vivacemente patriottiche, anche con gesti di sfida verso le autorità e le roccaforti socialiste, e di avere poi preso parte alla lotta per l’intervento, in una città in maggioranza neutralista (si veda I ragazzi della ‘Dante’ (1916), in Eroi, uomini e ragazzi, con prefazione di B. Mussolini, Firenze 1927, pp. 3-13). Dopo la Settimana rossa, Pistelli si legò più strettamente al gruppo nazionalista fiorentino, collaborando al numero unico Propaganda nazionalista (luglio 1914) e iniziando a collaborare all’Idea nazionale come poi anche a Resistenza, il periodico dei Fasci di mobilitazione civile: nel dopoguerra fu tra i relatori al convegno nazionalista di Roma del marzo 1919 (per cui si veda Il nazionalismo e i problemi del lavoro e della scuola, Atti del 2° convegno nazionalista… 1919, Roma 1919, pp. 133-143).
Il suo interventismo non si tradusse, però, in ‘germanofobia’ culturale (come in tanti intellettuali di parte democratica): anzi, durante la guerra, condusse una polemica, al solito vivace e aggressiva, in difesa della filologia germanica e della scuola vitelliana che l’aveva acclimatata in Italia, a fianco dello stesso Vitelli e di Giorgio Pasquali. Il comune interventismo e l’interesse per la scuola lo avvicinarono in quegli anni a Gentile, che il 28 agosto 1918 recensiva con grande favore la prima edizione delle Pìstole d’Omero (poi in Id., Educazione e scuola laica, Milano-Roma 1932, pp. 359-365), mentre il suo continuo lavoro intorno all’opera dell’amico Giovanni Pascoli (nel 1917, su richiesta della sorella Maria, ne aveva raccolti e pubblicati i Carmina) lo spinsero, già nel 1919, a una polemica pubblica con Benedetto Croce, che del poeta offriva una lettura decisamente limitativa.
Il suo ingresso nella politica attiva fu ancora più marcato negli anni seguenti: alla fine del 1920, il Blocco nazionale vinse le elezioni amministrative di Firenze e fu eletto sindaco il fisico Antonio Garbasso, nella cui giunta Pistelli entrò alla fine del 1922. Pochi mesi dopo pubblicò un’edizione scolastica dei Promessi sposi (Firenze 1923), aprendola con un’epigrafe di Mussolini, e nel giugno iniziava a collaborare con Gerarchia, rivista personale del duce. Scrivendo a Croce il 3 maggio 1923, ormai si dichiarava «fascista». Le divisioni politiche produssero, dopo il delitto Matteotti (1924), anche irreparabili rotture personali.
Un fedelissimo del Giornalino della domenica come Giovanni Ansaldo gli indirizzò una lettera durissima in cui lo accusava di avere additato, in occasione della solenne inaugurazione del rinnovato ateneo fiorentino, «a certe squadre di bastonatori gli studenti sospetti di essere ascritti alla Unione Goliardica per la Libertà» (Pìstola ad Omero, in La rivoluzione liberale, IV (1925), 6, p. 27). La notizia non era vera: per smentirla intervenne Gaetano Salvemini (Rettifica alla ‘Pìstola ad Omero’, ibid., 7, p. 29); seguirono il ritiro della querela da parte di Pistelli e la composizione della vertenza (G. Ansaldo - E. Pistelli, Dichiarazioni, ibid., 14, p. 60).
Dopo una lunga malattia, da cui sembrò per breve tempo che si fosse risollevato, Pistelli morì a Firenze il 14 gennaio 1927.
Fonti e Bibl.: Ciò che resta del carteggio di Pistelli è conservato in Firenze, presso la Biblioteca Medicea Laurenziana, Fondo Pistelli, docc. 1881-1926. La maggior parte dei suoi libri sono conservati invece a Bolzano, presso la Biblioteca civica Cesare Battisti. Le lettere a lui dirette da Pascoli (ventinove) sono conservate nella Biblioteca nazionale Centrale di Firenze, Carteggi Vari, 466.18, ma sono state quasi tutte pubblicate, con le responsive di Pistelli, in P. Vannucci, Pascoli e gli scolopi, con molte lettere inedite del Pascoli e al Pascoli, Roma 1950, pp. 139-243. Il carteggio con Croce, a cura di S. Miccolis - A. Savorelli, è in Gli archivi della memoria. Bibliotecari, filologi e papirologi nei carteggi della Biblioteca Medicea Laurenziana, a cura di R. Pintaudi, Firenze 1996, pp. 93-126; quello con Salvemini, a cura di R. Pintaudi, in Gli archivi della memoria e il carteggio Salvemini - Pistelli, Firenze 2004, pp. 159-164. Le lettere al confratello Luigi Pietrobono sono in A. Vallone, Dante e Pascoli nelle lettere inedite di Pistelli a Pietrobono, in Id., Capitoli pascoliano-danteschi con inediti, Ravenna 1967, pp. 37-70. Data l’ampiezza delle relazioni personali di Pistelli, le sue lettere inedite vanno rintracciate in numerosi epistolari e fondi documentari.
Un’eccellente bibliografia su Pistelli è quella a cura di T. Lodi, in In memoria di E. P., Firenze 1928, cit., pp. 65-112, che svela anche i moltissimi pseudonimi cui fece ricorso nella sua attività pubblicistica. Su Pistelli sono ancora molto utili le commemorazioni successive alla sua morte: G. Giovannozzi, Il padre Pistelli delle Scuole pie, Firenze 1927; G. Pasquali, E. P. (1927), in Id., Pagine stravaganti, I, Firenze 1968, pp. 26-39. G. Vitelli, E. P., in In memoria di E. P., cit., pp. XI-XXIV. Sulla tradizione scolopia in Toscana, cfr. A. Gaudio, Educazione e scuola nella Toscana dell’Ottocento, Brescia 2001, pp. 32-34, 67-96, 281-286. Su Pistelli classicista, molte notizie in P. Treves, Tradizione classica e rinnovamento della storiografia, Milano-Napoli 1992, ad nomen. Sull’associazionismo culturale fiorentino e sul ruolo che vi svolse Pistelli, cfr. L. Cerasi, Gli ateniesi d’Italia. Associazioni di cultura a Firenze nel primo Novecento, Milano, 2000, ad nomen. Su Pistelli dantista, cfr. la voce di N. Mineo, in Enciclopedia dantesca, IV, 1970, ad nomen. Sul ruolo di Pistelli nel Giornalino della domenica di Vamba e la pedagogia delle Pìstole d’Omero, cfr. L. Cerasi, «Nato maestro». L’antipedagogia vitalistico-patriottica di padre Pistelli, in Ead., Pedagogie e antipedagogie della nazione. Istituzioni e politiche culturali nel Novecento italiano, Brescia 2012, pp. 101-130.