Eritrea
Geografia umana ed economica
di Anna Bordoni
Stato dell'Africa orientale. Secondo una stima delle Nazioni Unite, alla metà del 2005 l'E. aveva una popolazione di 4.561.600 ab., per il 19,5% urbana (percentuale molto bassa anche rispetto alla media africana). I contrasti di frontiera sorti tra l'Etiopia e l'E. tra il 1998 e il 2000 (e ancora nel 2006 non del tutto appianati) hanno avuto pesanti ripercussioni non solo sull'economia di questo Paese, già di per sé poverissimo, ma anche sulla distribuzione della popolazione: infatti, circa un milione di persone, che vivevano lungo la frontiera etiope, la regione più fertile dell'E., sono state costrette ad abbandonare le proprie terre e a trovare rifugio in campi allestiti all'interno del Paese o in Sudan. L'unica città, sia per funzioni sia per consistenza demografica, è la capitale Asmara; altro centro importante, soprattutto per le sue funzioni portuali, è Massaua.
L'economia eritrea continua a essere dipendente dall'agricoltura, i cui prodotti sono cereali e legumi, destinati al consumo interno, cotone e caffè, rivolti all'esportazione. A causa delle difficili condizioni climatiche, delle frequenti calamità e della guerra, la produzione alimentare non è più in grado di coprire il fabbisogno interno e il Paese è costretto a ricorrere agli aiuti internazionali. Le campagne hanno anche sofferto per la mancanza di manodopera, e le mine sparse sul territorio durante il conflitto con l'Etiopia hanno ostacolato il ritorno degli agricoltori alle loro terre. Il governo ha avviato progetti per l'esplorazione del sottosuolo ed è stata accertata la presenza di petrolio, gas naturale, zinco, magnesio, ferro e oro. Le attività manifatturiere hanno risentito del conflitto con l'Etiopia; i pochi impianti sono obsoleti e la crescita del comparto è ostacolata dalla scarsità di energia e dal suo costo sui mercati internazionali. Malgrado le difficoltà, il PIL nel 2003 era tornato a crescere (+5% secondo il Fondo monetario internazionale) e l'inflazione era scesa al 10% (2004).
Storia
di Emma Ansovini
Nel decennio successivo all'indipendenza, raggiunta nel 1991 dopo una lunga guerra di liberazione, il Paese subiva una progressiva e radicale involuzione autoritaria accompagnata da una militarizzazione della società e sostenuta da un'ideologia di tipo nazionalistico che alimentava tensioni con gli Stati confinanti, in particolare con l'Etiopia, ma anche con il Sudan. Il passaggio cruciale di questo percorso era costituito dalla guerra con l'Etiopia, scoppiata nel 1998 e conclusasi con un altissimo numero di vittime (ca. 70.000) nel dicembre 2000. Il trattato di pace, che applicava gli accordi di Algeri del giugno, prevedeva la creazione di una zona smilitarizzata di 25 km sorvegliata dalle truppe delle Nazioni Unite e l'istituzione di una commissione di arbitrato neutrale per la definizione dei confini. Nell'aprile 2002 i risultati dei lavori della commissione, che assegnavano all'Etiopia quattro delle cinque zone contestate, ma non il villaggio etiope di Badme, venivano accettati nelle linee generali ma con la richiesta di alcuni aggiustamenti da parte del governo di Addis Abeba, che aveva mantenuto nel corso dei due anni un atteggiamento più conciliante di quello eritreo nei confronti dell'ONU. Nel novembre 2004 la richiesta etiope venne rifiutata dal governo di Asmara confermando le tensioni non risolte tra i due Paesi, che continuavano ad ammassare truppe al confine in una sorta di 'pace armata', testimoniata dall'esteso acquisto di armamenti, nonostante l'embargo internazionale, e da qualche scontro nell'aprile 2005. Anche l'accordo con il Sudan stipulato nel gennaio 2005 appariva gravato da notevoli incognite, soprattutto perché il Sudan continuava a ospitare molti gruppi di opposizione, anche armata, al regime eritreo. Questa situazione aveva infatti già contribuito in modo rilevante al fallimento del precedente accordo, siglato nel 1999, che aveva ristabilito le relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Per quanto riguarda la politica interna, il governo guidato I. Afewerki, presidente della Repubblica dal 1993 e guida del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (FPDG), erede politico del movimento armato Fronte popolare per la liberazione dell'Eritrea, continuava a giustificare con lo stato di emergenza causato dalla guerra con l'Etiopia la mancata attuazione della carta costituzionale ratificata nel 1997, che prevedeva limiti ai poteri dell'esecutivo e l'adozione del multipartitismo. Le elezioni furono infatti ripetutamente rinviate, e fu attuata in modo sistematico una politica repressiva nei confronti di qualsiasi forma di dissenso. Nel settembre 2001, undici esponenti di rilievo del FPDG, che avevano reso pubblico per la prima volta il loro dissenso, rompendo una tradizione che celava i contrasti dietro l'unanimità ufficiale, vennero arrestati insieme a numerosi giornalisti mentre furono chiusi i giornali indipendenti. La stretta repressiva fu criticata con una lettera dall'ambasciatore italiano, portavoce in E. dell'Unione Europea, e il diplomatico venne immediatamente espulso dal Paese. La sua espulsione fu seguita dal ritiro per protesta di tutti i diplomatici della UE, che non interruppe però le relazioni economiche con la E. limitandosi a subordinarle a una ripresa del dialogo politico. Le relazioni diplomatiche tra la UE e l'E. furono comunque riprese l'anno successivo senza che le pressioni internazionali determinassero cambiamenti di linea da parte del governo, denunciato nel 2004 da un rapporto di Amnesty International che segnalava torture, detenzioni arbitrarie, sparizioni di oppositori politici, nonché il rifiuto da parte delle autorità di qualsiasi forma di controllo sulla situazione e di qualsiasi confronto sul merito dei problemi evidenziati. Nel novembre 2004 un tentativo di fuga dal centro di detenzione di Adi Abeito di alcuni giovani, arrestati perché renitenti alla leva, venne stroncato nel sangue provocando almeno 12 morti. Il problema della leva, unito alla campagna (warsay-ykaalo) di arruolamento al lavoro obbligatorio (rivolta agli uomini tra i 18 e i 40 anni) per la costruzione di infrastrutture e abitazioni, mentre accresceva il potere dei militari e il loro controllo sulla società civile, determinava la fuga dal Paese soprattutto dei giovani e costituiva un ulteriore elemento di crisi per l'economia già provata da anni di siccità, dalle ingenti devastazioni provocate dalla guerra - che aveva colpito le regione più importanti per la produzione agricola (Gash-Barka e Debub) -, da una crescente inflazione e da un eccesso di dirigismo. Nei primi mesi del 2005 vennero arrestati alcuni dirigenti sindacali. Sul piano internazionale, agli elementi di tensione nel contesto regionale e con i Paesi dell'UE, facevano riscontro i discreti rapporti con gli Stati Uniti, interessati, a partire dal 2001, a combattere il diffondersi del fondamentalismo islamico nel Corno d'Africa, con la Russia, principale fornitrice di armi, e con la Cina.
Bibliografia
D. Pool, From guerrillas to government: The Eritrean People's Liberation Front, Athens (OH)- Oxford 2001.
M. Wrong, I didn't do it for you: how the world betrayed a small African nation, New York 2001.