ereditarietà
Insieme dei processi e delle modalità relativi alla trasmissione dei caratteri genetici da un organismo alla sua progenie e, quindi, da una generazione alla successiva; è detta talvolta eredità. Lo studio dei fenomeni ereditari in biologia è compito della genetica.
I meccanismi fondamentali dell’e. furono identificati da G. Mendel che formulò le tre leggi (dette della dominanza, della segregazione e dell’assortimento indipendente dei caratteri), tuttora alla base della genetica classica. Mendel per primo postulò la natura particolata delle unità ereditarie e introdusse il concetto di allele, di dominanza e di recessività dei caratteri. Oggi le modalità della trasmissione dei caratteri sono state spiegate a livello molecolare; si conosce non solo la localizzazione fisica delle unità ereditarie (i geni), ma anche la loro composizione biochimica e la loro sequenza nucleotidica. Ogni organismo appartenente alle specie che si riproducono sessualmente eredita due copie di ciascun gene, dette alleli, ciascuna proveniente da uno dei due genitori. Un individuo, i cui due alleli determinanti un carattere sono uguali, si dice omozigote, se diversi tra loro, si dice eterozigote. Quando in un individuo si originano le cellule sessuali, ciascuno dei risultanti gameti riceve un membro di ciascuna coppia allelica. Ogni genitore trasmette metà dei suoi geni alla generazione successiva, e figli degli stessi genitori ricevono differenti combinazioni di geni, grazie al fenomeno della ricombinazione.
Il concetto di e. comprende due aspetti apparentemente contraddittori fra loro. Si può infatti osservare negli organismi viventi la costanza delle specie da una generazione all’altra, e la variabilità tra individui all’interno della stessa specie. Costanza e variabilità della specie sono in realtà entrambi aspetti dell’e. che possono essere spiegati simultaneamente dalla funzione dei geni, le unità funzionali di materiale genetico che si trovano in tutte le cellule degli esseri viventi. Ogni membro di una specie ha un assetto di geni specifici che forniscono le caratteristiche di quella specie (➔ genoma), e le mantengono attraverso le generazioni. Tuttavia, tra gli individui della stessa specie possono avvenire variazioni all’interno di ciascun gene, che sono alla base del fatto che nessun individuo (fatta eccezione per i gemelli identici) ha esattamente gli stessi caratteri di un altro. Dunque, la maggior parte dei geni esiste in una popolazione sotto forma di numerose varianti alleliche, e molti caratteri sono poligenici (ossia influenzati da più di un gene). La natura poligenica e la molteplicità di alleli di molti caratteri sono all’origine del vasto potenziale di variabilità fra le caratteristiche ereditarie.
Il set di geni che la prole eredita da entrambi i genitori, come combinazione del materiale genetico di ciascuno di essi, viene chiamato genotipo. Il fenotipo, ossia le caratteristiche osservabili di una cellula o di un organismo, è invece il risultato dell’espressione genica (➔). Il fenotipo comprende la struttura fisica di un organismo, i processi fisiologici e il comportamento. Sebbene il genotipo determini i limiti delle caratteristiche che un organismo può sviluppare, il fenotipo dipende da interazioni complesse fra i geni e il loro ambiente. Il genotipo rimane costante attraverso tutta la vita dell’organismo, invece, poiché l’ambiente interno e esterno cambiano continuamente, anche il fenotipo cambia. Negli studi genetici, è fondamentale comprendere in che misura le caratteristiche osservabili siano dovute al pattern dei geni presenti nelle cellule, e quanto invece siano derivate dall’influenza ambientale.