Ercole (Ercule, forma diffusissima nel sec. XIV)
Identificato dai Latini nel greco Heracles, E., dall'avo Alceo detto anche Alcide, è il più grande e famoso degli eroi della mitologia antica.
Figlio di Giove e di Alcmena moglie di Anfitrione, fin nella culla diede prova della sua forza prodigiosa quando Giunone, adirata per quella nuova testimonianza di tradimento coniugale da parte di Giove, inviò due serpenti che uccidessero il neonato, ed E. li strozzò con le sue stesse mani. Le imprese più notabili dell'eroe consistono nello sterminio di mostri e di uomini giganteschi, particolarmente temibili e crudeli, e culminano nelle famose dodici fatiche che gli furono imposte dal re Euristeo nella segreta speranza che egli soccombesse in una di quelle immani prove, superate invece tutte vittoriosamente (uccisione dell'invulnerabile leone Nemeo; uccisione dell'Idra di Lerna, dalle nove teste che, tagliate, ricrescevano moltiplicandosi; cattura del cinghiale di Erimanto, nel corso della quale impresa dovette anche lottare contro i centauri; cattura della cerva di Cerinea, sacra a Diana; cacciata degli uccelli Stinfalidi, da molti mitografi identificati nelle arpie; conquista del cinto di Ippolita regina delle amazzoni; pulizia in un solo giorno delle immense stalle di Augia, problema che E. risolse deviando un fiume; cattura del furioso toro di Creta; cattura delle cavalle del re di Tracia Diomede, antropofaghe; cattura dei buoi di Gerione, e conseguente uccisione del ladrone Caco, che gli aveva rubato parte dell'armento: e vari mitografi collegano a questa impresa l'uccisione del gigante Anteo, figlio della Terra; raccolta dei pomi d'oro delle Esperidi custoditi da un drago: E. sostenne sulle proprie spalle il peso del cielo mentre Atlante si recò per lui in quel giardino magico; cattura di Cerbero, che fu legato e trascinato a forza fuori dagli Inferi, con conseguente liberazione di Teseo e di Piritoo prigionieri nell'Averno); attorno a queste " fatiche " (registrate dai mitografi non senza qualche variante, ora dell'uno ora dell'altro) fiorirono altre avventure, come il servizio presso la regina Onfale, che mise E. a filare tra le ancelle, e la dura vendetta contro il re troiano Laomedonte, che si era fraudolentemente rifiutato di corrispondergli un compenso pattuito. Dopo aver lottato contro il fiume Acheloo, E. sposò Deianira, e poiché il centauro Nesso, fingendo di volersi prestare a traghettare Deianira sulla propria groppa, tentò di rapire la donna, della quale era innamorato, E. lo uccise con una delle sue frecce, intinte nel sangue avvelenato dell'Idra. Nesso prima di morire fece credere a Deianira che la sua camicia, che si era intrisa di sangue, avesse il potere di ricondurre a lei l'amore del marito, nel caso che questo venisse meno; e quando E. s'invaghì di Iole, Deianira, prestando fiducia a quelle parole, gliela fece indossare. Il veleno, sciolto dal sudore e penetrato nella pelle, rese talmente furioso di dolore l'eroe, che egli, pur di por fine a quella sofferenza, nel monte Oeta salì sul rogo; ma Giove lo assunse allora al cielo tra le divinità. E. è celebrato da moltissimi scrittori e poeti antichi. Virgilio lo collega alla storia di Roma riconducendo a E. il culto dell'Ara Massima; Seneca gli dedica due tragedie.
Durante il Medioevo, pur tra varie confusioni o sostituzioni, le favolose imprese di E. continuarono a essere notissime; e comunemente si riteneva l'eroe veramente esistito. Poiché non se ne riscontrano tracce in D. ancorché s'incontrino di frequente nelle chiose ai poemi classici, non si tocca qui di alcune curiose interpretazioni didascalico-allegoriche medievali (ad esempio, l'aver sostenuto il peso del cielo significherebbe il dedicarsi allo studio dell'astronomia); per avvertire invece che E. - come del resto l'altro grande eroe del mondo greco, Teseo (col quale in qualche caso E. venne identificato: forse per la lotta contro i centauri o per l'impresa contro il toro cretese, che poterono confondersi con le simili avventure occorse a Teseo) - fu ripetutamente accostato al Sansone biblico, di cui pareva costituire il pendant greco-latino: e come in Sansone si vide una prefigurazione di Cristo, così anche di E. si ebbe un'interpretazione figurale, assai diffusa (fa capolino anche dove meno la si attenderebbe: cfr. ad esempio Guido da Pisa Fiore d'Italia CIX " Seneca nell'ultimo libro delle sue tragedie pare che metta che li fatti d'Ercole siano figure divine, cioè che tengano figura di Dio "), che in alcuni casi diviene dichiaratamente cristiana. Troppi elementi concorrevano perché la fertile fantasia medievale non vedesse nell'eroe una figura significante in senso cristologico: figlio della divinità e allevato dal padre putativo; amico del genere umano e vincitore dei mostri (in cui si ravvisavano le forze demoniache); salito volontariamente al monte Oeta per il supremo sacrificio e assunto dal padre in cielo. Numerose significative testimonianze di questa ‛ cristianizzazione ' di E. sono in M. Simon, Hercule et le Christianisme, Parigi 1956; G. Padoan, Il mito di Teseo e il cristianesimo di Stazio, in " Lettere Italiane " XI [1959] 432-457.
In nessuno dei passi danteschi in cui l'eroe è nominato appare esplicitamente accolta da D. l'interpretazione di E. come prefigurazione di Cristo (ma certamente si allude a Cristo in If IX 98-99 accennando alla cattura di Cerbero: non è però ben chiaro se D. attribuisca quell'impresa invece a Teseo, o a E. e Teseo insieme: v. Teseo); tuttavia innegabile è l'inquadramento delle imprese di E. nella continua e incessante antitesi delle forze del Bene e di quelle del Male; e se già per il mondo classico Alcide impersonava le ragioni dell'umanità contro la brutalità crudele, la demonologia medievale non tardò a ravvisare nei mostri da E. combattuti e vinti emanazioni diaboliche. Non a caso dunque tra i demoni danteschi compare, con Cerbero, le arpie, Gerione, i centauri (questi tutti già presenti negl'Inferi virgiliani), Caco; e dannato nel pozzo con gli altri giganti è Anteo. Senza questa precisazione (per le cui implicanze v. DEMONOLOGIA) non si capirebbe come mai D. in Mn II VII 10 e IX 11 affermi che nella lotta contro Anteo E. fu sostenuto da Dio, come David nel duello contro Golia; né si valuterebbe esattamente l'importanza che D. annette alla proibizione di varcare le colonne poste da E. presso lo stretto di Gibilterra per comando divino acciò che l'uom più oltre non si metta, come ben sa Ulisse: perciò se per un pagano non tener conto del monito e violare follemente (cfr. Pd XXVII 82-83) quel limite posto dal volere della divinità all'uomo è certamente fatto peccaminoso (perché tale è la volontà che ispira l'atto: onde Ulisse e Diomede sono puniti dal Dio cristiano per aver toccato con mani sacrileghe il Palladio, ritenuto simulacro divino: cfr. If XXVI 63), nel contesto di questa interpretazione di E. come forza al servizio di Dio il divieto a varcare quella foce stretta / dov'Ercule segnò li suoi riguardi (If XXVI 108) è inevitabilmente esteso anche al cristiano.
Le fonti cui D. attinge per le imprese di E. sono esplicitamente dichiarate in Cv III III 7 si legge ne le storie d'Ercule, e ne l'Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti: dove le storie d'Ercule sarà indicazione generica di argomento, poi precisata appunto nelle Metamorfosi, nella Farsalia e in altri poeti, come Virgilio (ma non si può escludere che D. intendesse invece riferirsi a un'operetta di compilazione narrante le avventure dell'eroe; nel qual caso si spiegherebbe la curiosa diffrazione rispetto alla fonte virgiliana, di cui ora si dirà a proposito di Caco). Non più di due brevissimi cenni sono dedicati da D. all'ardore della passione che E. nutrì per Iole e alla morte procuratagli da Nesso con vendetta postuma (Pd IX 101-102, If XII 69; cfr. Met. IX 101-272); numerosi quelli alle lotte contro mostri e uomini bestiali: la cattura di Cerbero (If IX 98-99; cfr. Met. VII 410-415), l'uccisione di Caco (If XXV 31-33; cfr. Aen. VIII 184-275: dove però la morte del ladrone avviene per strangolamento, e non a colpi di mazza; v. Caco), il combattimento con Anteo (Cv III III 7-8, If XXXI 132, Mn II VII 10 e IX 11; cfr. Phars. IV 593-660). All'impresa contro l'Idra di Lerna D. accenna nell'epistola a Enrico VII, allorché esorta l'imperatore a muovere risolutamente contro Firenze, per colpire, come già fece contro l'Idra, il " glorioso " e " magnanimo " Alcide, vitae principium, la fonte della vita del mostro della ribellione, senza perder tempo a tagliare teste destinate a ricrescere (Ep VII 20; cfr. Met. IX 69-74, 192-193). Le " colonne d'Ercole " sono ricordate, oltre che in If XXVI 107-108 (e cfr. Pd XXVII 82-83), in De Situ (cioè nella Quaestio) 54; e v. Eg I 30.