epatite
Come si contrae e come si cura l’epatite virale
La trasmissione del virus dell’epatite A (HAV) avviene per via oro-fecale, ovvero mediante l’assunzione di acqua o cibo contaminati da materiale fecale di soggetti infetti. La sorgente più frequente di infezione è rappresentata da frutti di mare contaminati, che in Italia rendono conto di circa il 40% dei casi di epatite A. I viaggi in aree ad alta endemia sono responsabili di circa il 17% dei casi. Meno frequente, ma comunque possibile, la trasmissione per contatto diretto con un soggetto infetto. Il periodo di incubazione di HAV è di 25÷30 giorni. Il virus dell’epatite B (HBV) può essere trasmesso per via parenterale apparente (attraverso il sangue), per via parenterale inapparente (penetrazione di virus proveniente da materiali biologici infetti attraverso microlesioni di cute o mucose), per via sessuale e per via verticale (da madre a figlio in epoca perinatale). Il serbatoio d’infezione è costituito da malati in fase acuta e dai portatori cronici. Il periodo di incubazione per HBV varia da 15 a 180 giorni (in media 2÷3 mesi).
Le modalità di trasmissione del virus dell’epatite C (HCV) sono sovrapponibili a quelle di HBV: anch’esso si trasmette per via parenterale (apparente e inapparente): in partic., lo scambio di siringhe tra tossicodipendenti, gli interventi chirurgici ed altre esposizioni parenterali (piercing, tatuaggi, agopuntura, manicure, pedicure, ecc.) senza adeguata disinfezione degli strumenti sono le modalità più frequenti di trasmissione di HCV. Anche la trasmissione perinatale e la trasmissione sessuale sono state accertate, benché il rischio di trasmissione sessuale sia comunque molto inferiore a quello che si verifica per l’HBV o per l’HIV. Il serbatoio dell’infezione è costituito in gran parte dai portatori cronici. Il periodo di incubazione dopo l’esposizione al virus varia da 15 a 150 giorni.
L’epatite acuta A è in genere una malattia benigna che guarisce completamente senza lasciare esiti, anche se raramente può avere un decorso protratto. Non esiste una terapia specifica, ma soltanto sintomatica e di supporto. Sono consigliati il riposo e un’alimentazione varia e nutriente. L’ospedalizzazione è necessaria qualora insorga un deficit funzionale epatico severo.
Anche l’epatite acuta B solitamente non richiede trattamento specifico ma solo terapia sintomatica. Negli ultimi tempi sono stati tentati trattamenti specifici con analoghi nucleosidici anche in pazienti affetti da epatite acuta da HBV, con l’obiettivo di negativizzare rapidamente la replicazione del virus e favorirne l’eliminazione, ma mancano ancora studi che ne dimostrino l’efficacia nel migliorare l’evoluzione clinica e nel ridurre la mortalità. In corso di epatite acuta C, vista l’elevata tendenza alla cronicizzazione, può essere consigliata la terapia con interferone.
Raramente l’epatite acuta evolve verso una forma fulminante con insufficienza epatica irreversibile. In questi casi l’unica terapia possibile è il trapianto di fegato; è pertanto molto importante uno stretto monitoraggio clinico e laboratoristico (enzimi epatici, ammoniemia e fattori protidosintetici epatici) per individuare l’evoluzione verso le forme fulminanti. È necessaria la completa astensione dagli alcolici e da farmaci epatotossici.
Nei pazienti positivi all’antigene HBeAg del virus e in assenza di evoluzione cirrotica, la terapia di scelta per l’epatite cronica da HBV è l’interferone peghilato alfa-2a o alfa-2b. Gli interferoni peghilati sono interferoni modificati attraverso l’inserimento di una catena di polietilenglicole (PEG), che permette di allungare l’emivita del farmaco consentendo una sola somministrazione settimanale. La durata della terapia è di almeno 12 mesi, prolungabile in caso di risposta favorevole anche a 18÷24 mesi. Nei pazienti HBeAg negativi o nei pazienti con cirrosi in fase iniziale e compensata, insieme agli interferoni sono consigliati come trattamento di prima linea anche gli analoghi nucleosidici e nucleotidici. Oggi esistono cinque farmaci approvati per il trattamento dell’epatite B cronica. Tutti questi farmaci si sono dimostrati efficaci nel sopprimere la viremia, nel determinare la normalizzazione dei valori delle transaminasi e il miglioramento istologico. La lamivudina è stato il primo farmaco approvato, ma il suo utilizzo è accompagnato frequentemente dallo sviluppo di ceppi virali resistenti. Adefovir dipivoxil ha un profilo di resistenza superiore ed è attivo contro i virus che hanno sviluppato resistenza alla lamivudina. Farmaci entrati successivamente in uso (tenofovir, entecavir, telbivudina) presentano una potenza antivirale maggiore rispetto alla lamivudina e all’adefovir. Telbivudina ed entecavir hanno una diminuita efficacia contro i virus HBV resistenti alla lamivudina. Tenofovir è altamente efficace sia nei pazienti non ancora trattati sia nei pazienti con pregresso trattamento e sviluppo di resistenza. La strategia terapeutica con gli analoghi nucleosidici e nucleotidici tende a massimizzare la soppressione della replicazione virale, al fine di ridurre il più possibile lo sviluppo di resistenze.Il trattamento dell’epatite C cronica prevede l’utilizzo di interferone peghilato alfa-2a o alfa-2b associato a ribavirina. I pazienti infettati dal genotipo 2 o 3 hanno maggiore probabilità di rispondere alla terapia rispetto a soggetti infettati dal genotipo 1. La durata del trattamento varia da 24 settimane per i pazienti con infezione HCV da genotipo 2 e 3 a 48 settimane per i pazienti con infezione da genotipo 1.