Serafin, Enzo (propr. Vincenzo)
Direttore della fotografia e documentarista, nato a Venezia il 16 aprile 1912 e morto a Roma il 27 dicembre 1995. Dotato di fine sensibilità artistica, fu capace come pochi di fare proprie le idee personali dei registi, traducendole in una fotografia dalla precipua funzione di suggeritrice del particolare clima caratterizzante ogni opera. Una sessantina i film in cui fu coinvolto, incluse le collaborazioni. Nel 1953 ricevette dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici il Nastro d'argento per il complesso della sua opera. A partire dai primi anni Settanta si dedicò esclusivamente alla realizzazione di documentari, in qualità di produttore oltreché di responsabile della regia e della fotografia.
Dopo un anno (1937) trascorso a Parigi lavorando in un laboratorio fotografico, frequentò per due anni a Berlino il corso per operatori presso la Film Akademie e, tornato in Italia, entrò a Cinecittà, prima nel laboratorio fotografico di Antonio Bragaglia e poi nel reparto operatori in qualità di assistente. I suoi primi film come direttore della fotografia risalgono all'inizio degli anni Quaranta (il primo, Cercasi bionda bella presenza di Pina Renzi, uscì nel 1942). Nell'estate del 1943, nei giorni della caduta del fascismo, S. si trovava in Spagna per girare Piruetas juveniles (Romanzo a passo di danza) di Giancarlo Cappelli e Salvio Valenti, e vi rimase per sei anni riuscendo ad affermarsi nell'ambiente cinematografico spagnolo nonostante la disponibilità di apparecchiature obsolete e di soggetti cinematografici triti. Una volta rientrato in Italia, iniziò per S. il periodo d'oro della sua carriera grazie alla collaborazione con Michelangelo Antonioni in tre film: Cronaca di un amore (1950), I vinti e La signora senza camelie, entrambi del 1953. Cronaca di un amore era il primo lungometraggio a soggetto di Antonioni ma la novità del suo stile, propenso in particolare alle riprese dal vero, fu subito evidente. Conseguenza prima fu l'abbandono dei grandi, ingombranti proiettori e l'uso della luce diffusa ottenuta conmediante le photofloods, piccole lampade comandate a distanza per variare l'intensità della luce: di qui la famosa scena dell'incontro dei due amanti protagonisti (Lucia Bosè e Massimo Girotti) sul ponte, avvolti da una luce grigia, pesante come la loro anima inquieta, e incalzati dalla cinepresa, senza stacchi, esempio tra i più celebri di piano-sequenza. Ancora uno stile fotografico perfettamente aderente alle situazioni narrate e dominato da forti contrasti caratterizza i tre episodi di I vinti e Processo alla città (1952) di Luigi Zampa.
Un altro regista con il quale S. ebbe modo di lavorare negli anni Cinquanta fu Roberto Rossellini. Entrambi attenti al dato documentario, erano portati a riprodurre senza artifici ciò che passava loro davanti agli occhi. Come in Viaggio in Italia (1954) nella scena della processione, girata tutta senza comparse a Maiori, presso Amalfi, o nella scena della scoperta archeologica, a Pompei. Di stile totalmente diverso Vestire gli ignudi (1954) di Marcello Pagliero, film che evidenzia la grande sensibilità di S. per i valori tonali dell'immagine, e il documentaristico Vertigine bianca (1956) di Giorgio Ferroni, ottima prova delle qualità di S. nell'uso del colore; e soprattutto La steppa (1963) di Alberto Lattuada, girato nella regione serba della Vojvodina, la cui costruzione delle scene, sempre al limite fra realtà e fantasia, fu paragonata a quella delle seicentesche tele fiamminghe di J. Vermeer (cultore, del resto, di studi sull'ottica): un'antologia di paesaggi, volti, usi tradizionali che restituiscono la Russia dell'originale romanzo čechoviano.
La produzione documentaristica comprende una quarantina di cortometraggi di soggetto vario (etnonaturalistico, artistico e altro) girati, a partire dal 1973, oltreché in Italia, in Thailandia, Indonesia, Sri Lanka e Kenya. L'ultimo, L'arte del suono (1992), mostra, con la stessa delicatezza di toni del soggetto trattato, la costruzione di un violino secondo il metodo tradizionale della scuola di liuteria di Cremona: epilogo forse non tanto casuale se si pensa alla consonanza tra il linguaggio della luce e dei colori, con la sua forte potenzialità simbolica, e quello della musica.
S. Chiolo, Inchiesta sugli operatori. Fotografia e linguaggio fotografico, in "Filmcritica", 1954, 41, pp. 154-58.
F. Savio, Cinecittà anni Trenta, 3° vol., Roma 1979, pp. 993-97.
S. Masi, Storie della luce, Roma 1983, passim.
A. Bergala, "Voyage en Italie", Crisnée 1990, pp. 129-35.
I. Jachini, R. Ligori, I sentimenti della luce, in "Rivista del cinematografo", marzo 1993, 3, pp. 27-29.