PERDUCCHI, Enrico
PERDUCCHI, Enrico. – Nacque il 2 luglio 1873 a Perugia da Enrico (volontario con Giuseppe Garibaldi nel 1859-60 e a Custoza nel 1866, sottotenente nella presa di Roma nel 1870) e da Erminia Cavallini. La famiglia era originaria di Piacenza, nella cui campagna, nella frazione di Podenzana, trascorse la sua giovinezza nella casa paterna. Nel 1888 si licenziò con ottimi voti dalla Scuola tecnica comunale pareggiata di Piacenza; intenzionato a intraprendere la carriera militare all’interno della Regia Marina, ma essendo contrastato dalla madre che non gli permise di frequentare l’Accademia navale, l’anno successivo si imbarcò come mozzo prima sulla RN (Regia Nave) America, in seguito sulla RN Città di Genova alle dipendenze dell’allora tenente di vascello Paolo Thaon di Revel.
Qualche anno dopo si imbarcò sulla RN Staffetta al comando di Giorgio Sorrentino e partecipò ai lavori per determinare le coordinate geografiche di Itala, Merca, Brava e Mogadiscio. Nel 1894-95 ricoprì l’incarico di segretario del console italiano a Zanzibar, Antonio Cecchi, accompagnandolo nella sua visita al villaggio di Giumbo alla foce del Giuba e l’anno successivo, diventato segretario del Regio commissario straordinario del Benadir, Sorrentino, prese parte alla spedizione per il recupero delle salme del console Antonio Cecchi e degli ufficiali trucidati a Lafolé. Per le sue competenze, fra le quali campeggiava l’ottima conoscenza delle lingue, ricevette l’incarico di procedere all’occupazione di Giumbo, che rivestiva allora una grande importanza politica e commerciale e di cui la società Filonardi aveva preso formale possesso il 1° maggio 1895. Sbarcato alle foci del Giuba, al comando di un piccolo corpo di marinai, portò a termine il compito e venne nominato primo residente italiano della zona. Mantenne l’incarico per dieci anni, nel corso dei quali si impegnò con continuità a far riconoscere e accettare ai capi indigeni e alle loro popolazioni la sovranità italiana e cercando sempre, nonostante le magre sovvenzioni governative, di far quadrare i bilanci.
Negli anni di reggenza governò il territorio attraverso interventi politici e amministrativi: emanò leggi, creò diverse stazioni lungo il fiume e delimitò le zone di influenza. Contemporaneamente costruì la torre alla foce del Giuba che da lui prese il nome (torre Perducchi); spostò e fece ricostruire a sue spese il villaggio di Giamana, che era stato decimato dalle febbri, e lo ribattezzò Regina Margherita, facendo incidere il nome in arabo sul portale d’ingresso perché gli indigeni lo imparassero correttamente: la costruzione di questa nuova stazione fluviale irritò gli inglesi che ne crearono una nuova sulla sponda opposta del Giuba, denominandola Regina Alessandra.
Successivamente studiò ed esplorò la regione del Goscia e quelle limitrofe, realizzando il rilievo più preciso e accurato che fosse mai stato fatto del corso del Giuba. Lo eseguì a bordo di due barche a vapore inglesi, la Geraldine e la Rose, giungendo nell’autunno 1901, dopo aver eseguito un minuzioso rilievo del corso inferiore e medio di questo fiume dalla sua foce fino a M’fudu, al confine settentrionale della Goscia italiana, a circa 230 miglia dalla costa. Durante questa ricognizione lo accompagnò il sottocommissario di Chisimaio, Mac Dougall, anch’egli incaricato di verificare gli insediamenti coloniali del suo Paese in quest’area. Nel giugno 1903 Perducchi giunse invece fino a Bardera per ristabilire il controllo e il governo italiano, dopo che il viceresidente aveva abbandonato la località.
In questo stesso periodo si acuirono le tensioni con l’Inghilterra, che avrebbe cercato di attirare sulla propria riva (la destra) le popolazioni che dipendevano dal governo italiano provocando, così, incidenti fra ascari inglesi e ascari italiani. Perducchi, nella sua veste di reggente della Goscia italiana, cercò con ogni mezzo di contrastare la politica di allargamento della sfera d’influenza inglese e inasprì i rapporti con le autorità del Paese fino al punto che da Londra venne sollecitato, con false accuse, il suo trasferimento. Lo sostituì un funzionario al quale il governo italiano chiese espressamente di non alimentare tensioni con gli inglesi.
Trasferito a Brava, quando la colonia amministrata dalla società del Benadir stava per passare alla diretta dipendenza del governo italiano, riprese la sua attività di esploratore arrivando nel 1904, primo fra gli europei, sull’Uebi Scebeli fino alla regione di Bulo Merere, abitata da una popolazione di antichi liberti, alle spalle di Merca. Nel 1905 tornò in Italia per motivi di salute; per farlo, insieme al capitano Enrico Alberto D’Albertis, aveva attraversato il Kenya, l’Uganda e il corso del Nilo fino a Kartum per proseguire alla volta di Alessandria d’Egitto, Giaffa e Palestina e, infine, sbarcando a Mombasa e raggiungendo il Mediterraneo. Si recò poi a Londra, da dove portò a Chisimaio due battelli fluviali a elica e pontoni di rimorchio, con i quali nel 1906 effettuò il primo servizio commerciale a vapore lungo il Giuba. Risalì il fiume dalla foce fino alle rapide di Le Hele sopra Bardera, recuperando anche i resti del barone Karl Klaus Van Der Decken, che nel 1865 aveva risalito il fiume fino a quel punto, dove la sua barca era affondata e lui e suoi accompagnatori erano stati uccisi dai somali.
Rientrato nel 1907 a Roma, dove venne ricevuto dal ministro della Marina, l’ammiraglio Carlo Mirabello, nello stesso anno tornò in Africa, inviato ad Addis Abeba, alla corte di Menelik, in qualità di Regio agente politico-commerciale. In Etiopia rimase tre anni, viaggiando frequentemente tra Asmara e Lugh sul Giuba e tra Harar e Imi lungo l’Uebi-Scebeli, esplorando il territorio dei Galla Arussi, il Sidamo e i laghi equatoriali e non mancando mai di fornire dettagliate relazioni al ministero degli Esteri.
In quel periodo, a seguito dello scontro di Bahallè nei pressi di Lugh, dove furono uccisi i capitani Simone Bongiovanni ed Ettore Molinari, mentre si trovava accampato a Dimtu, sull’alto Web, fu fatto prigioniero per cinque giorni e venne fustigato dagli abissini. Dopo essere stato liberato occupò nuovamente la stazione di Lugh e recuperò le salme dei due ufficiali, oltre ai prigionieri e al bestiame che era stato razziato.
In seguito fu nominato nella commissione incaricata delle operazioni preliminari per la determinazione dei confini fra l’Abissinia e il Benadir, avendo così modo di viaggiare ulteriormente attraverso l’impero etiopico. Dopo aver completato la missione e aver ricevuto le onorificenze del ministro degli Esteri per i compiti da lui svolti, tornò a Piacenza nel febbraio 1910 per recarsi, alla fine di quell’anno, in missione di studio nel Madagascar. Visitò tutta l’isola e nel 1912 fu nominato direttore generale della società inglese Madagascar Rubber, titolare di grandi concessioni di caucciù che sfruttava con impianti meccanici. Ricoperta questa carica anche per tutto il 1913 e parte del 1914, si recò poi in Senegal e in Guatemala, dove divenne direttore generale della società Rio Bravo Plantation-Timber.
In seguito allo scoppio della prima guerra mondiale venne richiamato in servizio nella Regia Marina e si imbarcò su navi siluranti per operazioni di guerra nell’Adriatico, prima di prendere parte a diverse missioni speciali all’estero (nel Mar Rosso, in Somalia, a Zanzibar, a Shanghai e in Giappone). Nel 1919 venne riammesso al servizio attivo permanente nello stato maggiore generale della Regia Marina con il grado di primo tenente di vascello e nello stesso anno gli fu affidato il comando della base navale di Salonicco per lo sgombero della 35a divisione italiana; nei due anni successivi intraprese diversi viaggi transatlantici per il trasporto della nafta in Texas, fu istruttore tecnico dei giovani ufficiali con il Regio Trasporto Bronte e comandò la polveriera di Vallelunga a Pola e il gruppo di pontoni armati per la difesa della costiera.
Nel 1923, quando era addetto al comando della piazza marittima di Pola, venne collocato, su sua richiesta, in posizione di servizio ausiliario e inscritto nei quadri d’onore della riserva navale; ma nei mesi di settembre e ottobre venne richiamato in servizio a Pola presso il comando della piazza marittima, venendo però dispensato già a novembre dall’incarico e assegnato, in caso di mobilitazione, allo stato maggiore del ministero della Marina a Roma. Abbandonò, quindi, l’uniforme e si ritirò a vita privata, stabilendosi a Sampierdarena con la moglie Alice Cermak e il figlio Eugenio.
Seppur debilitato dalle malattie contratte nel lungo periodo trascorso in Africa (nel settembre del 1895 era stato ricoverato all’ospedale di Massaua, dove gli venne riscontrata la sifilide costituzionale), fra il 1923 e il 1930 si dedicò, a Piacenza, ad alcuni esperimenti riguardanti una locomotiva monosistema di ferrovia secondaria con motore a scoppio e ruote gommate e nel 1925 assunse il compito di proseguire e dirigere i lavori per la costruzione dell’autoguidovia che da Genova doveva portare al santuario della Madonna della Guardia. Nella seconda metà degli anni Venti svolse anche le funzioni di segretario per l’Africa nel Consiglio direttivo della Camera di commercio e industria italo-africana e intrattenne proficui rapporti con diverse personalità interessate all’Africa, fra cui Arcangelo Ghisleri, che intendeva coinvolgerlo per la nuova edizione aggiornata del suo Atlante dell’Africa.
Morì improvvisamente a Sampierdarena il 12 novembre 1934 e venne sepolto nel cimitero della Castagna di Genova, da dove, l’anno successivo, il Comune fece traslare la sua salma nel cimitero monumentale di Staglieno.
Fu insignito della croce al merito di guerra e della croce d’oro per anzianità di servizio militare, e fu nominato cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia (d.r. del 28 dicembre 1922) e cavaliere nell’ordine coloniale della Stella d’Italia con sovrano motu proprio del 28 dicembre 1933.
Fonti e Bibl.: Nel museo dell’Arsenale militare marittimo di La Spezia si conserva l’archivio personale di P., costituito da documenti, ritagli di giornale, lettere, relazioni, fotografie, appunti dattiloscritti o manoscritti, cartine geografiche, libri, nonché i diari manoscritti relativi agli anni compresi tra il 1895 ed il 1921. Altri documenti sono reperibili a Roma nell’Archivio della Marina militare, nell’Ufficio storico della Marina e nell’Archivio storico della Società africana d’Italia (per quest’ultimo si veda Archivio storico della Società africana d’Italia, I, Inventario, a cura di C. Intartaglia - C. Scaramella, Napoli 1992, ad ind., e Raccolte fotografiche e cartografiche, 2, Archivio storico della Società africana d’Italia, a cura di S. Palma, Napoli 1996, p. 89).
G. Chiesi, La colonizzazione europea nell’Est Africa, Torino 1909, ad ind. (opera nella quale sono riportati ampi passi delle relazioni di P.); G. Po - L. Ferrando, L’opera della Regia Marina in Eritrea e Somalia, Roma 1929; C. Della Valle, E. P. e gli albori della navigazione a vapore sul Giuba, in Rivista di cultura marinara, settembre-ottobre,1932; C. Zaghi, E. P., pioniere della Somalia, in Nuova Antologia, CCCLXXVII (1935), pp. 154-157.