ENRICO da Rimini
Nacque probabilmente a Rimini verso la metà dei sec. XIII. Nulla sappiamo di lui fino al 1304, quando lo ritroviamo priore del convento domenicano dei Ss. Giovanni e Paolo di Venezia. In tale veste in quell'anno si recò a Roma, inviato dal governo veneziano, per ottenere dal papa Benedetto XI alcune deroghe alle sanzioni commerciali imposte dal Papato ai traffici tra cristiani e saraceni; l'8 apr. 1304 scrisse una lettera ai Veneziani per informarli che la missione era stata conclusa con successo. Nel 1308 fu in Serbia come inviato papale presso la corte del re Uroš, marito di Elena di Valois, per persuadere il re all'unione ecclesiastica con Roma, come risulta da una lettera inviata a lui e al francescano Gregorio da Cattaro dal papa Clemente V il 1ºapr. 1308. Nello stesso anno fece ritorno a Venezia e di nuovo prestò i suoi servizi alla Repubblica, questa volta nella contesa che opponeva Venezia e il Papato per il dominio di Ferrara. L'incontro tra E., inviato dai Veneziani, e i nunzi papali avvenne a Ferrara nel novembre 1308: l'accordo tra Venezia e il Papato fu firmato il 1ºdicembre.
La data di morte di E. è fatta risalire dalle antiche biografie domenicane intorno al 1314.
Le tracce più consistenti lasciate da E. sono comunque le sue opere: a parte un Liber de fide, posseduto un tempo dalla biblioteca del convento domenicano di S. Giacomo di Forli ed ora scomparso, ci restano tre testi, una raccolta di sermoni, un trattato sui vizi, un trattato sulle virtù.
La raccolta di sermoni, presente in un unico manoscritto (Vienna, Österr. Nationalbibl., Cod. lat. 3586, ff. 107ra-162rb: cfr. Schneyer [1970], pp. 676-679), comprende quarantanove sermoni, di cui però solo i primi trentacinque sono, a giudizio dello Schneyer, ascrivibili a Enrico.
Il Tractatus de septem vitiis capitalibus, anch'esso presente in un unico manoscritto (Firenze, Bibl. Medicea - Laurenz., Plut. XX. 33, ff. 57r-78r), è un'analisi del tradizionale settenario dei vizi capitali, simbolizzati dalle sette corna del drago evocato dal versetto Apoc. 12,3 con cui E. apre il trattato. La struttura dell'opera è presentata nel prologo dallo stesso autore: dopo aver considerato in generale i danni che il vizio comporta per l'umanità, vengono definiti in particolare quali e quanti siano i vizi ritenuti più pericolosi. Enumerati i sette vizi capitali, per ognuno di essi E. offre un'analisi specifica distinta in tre punti, puntualmente ripetuti a proposito di ogni singolo vizio: definizione, gravità, filiazioni. In qualche caso, accanto a questo tipo di analisi, che l'autore chiama in generali, siaffianca un'analisi inspeciali, che considera alcune manifestazioni del vizio ritenute particolarmente gravi o attuali. Cosi la superbia viene distinta in cinque specie (exscientia, ex pulchritudine corporis, ex pulchritudine vestium, ex nobilitate generationis, ex dignitatibus et honoribus), tutte accuratamente indagate in capitoli specifici; l'avarizia diventa occasione di un discorso particolare sull'avaritia merchatorum e sulla liceità e peccaminosità della negociacio; la lussuria presenta una digressione sul de amore mulierum, in cui l'autore definisce la natura femminile, i vizi tipici delle donne e si interroga sull'opportunità del matrimonio per il sapiente; la gola si arricchisce di due parti rispettivamente intitolate de potuvini e de conviviis. Le fonti utilizzate sono quelle tradizionali della morale cristiana medievale: Gregorio Magno in particolare, da cui E. trae lo schema dei sette vizi capitali e delle loro filiazioni, schema cui si attiene rigorosamente, ma anche Agostino, Boezio, Isidoro; epperò la fonte che ispira larga parte del trattato è la Summatheologica delconfratello Tommaso d'Aquino, da cui E. trae pressoché tutta la componente dottrinale del suo trattato e alla quale aggiunge un'abbondante serie di citazioni scritturali, di exempla, di sentenze da autori cristiani e pagani, tra i quali citatissimi i poeti latini (Orazio, Ovidio, Giovenale, Marziale, Terenzio, Lucano). Per struttura e per stile il trattato di E. può essere considerato un esempio di quella letteratura che nei secc. XII-XIV cerca di utilizzare a fini didattico-pastorali i risultati della teologia scolastica e, come gran parte di quella letteratura, anche il trattato di E. può essere stato concepito e usato ai fini della predicazione.
Di questo stesso genere è anche l'altro testo di E., il De quattuor virtutibuscardinalibus ad cives Venetos, chesi presenta però per ampiezza e per articolazione di più largo respiro. Il De quattuor… ha avuto una relativa diffusione, testimoniata da un'edizione quattrocentesca, da noi utilizzata (Argentinae et Spirae, post 11. XI.1472: cfr. Indice gen. d . incunaboli…, III, n. 4652), e da una ventina di manoscritti (per la lista dei mss. cfr. Kaeppeli, 1975, II, pp. 182 s.). L'opera si divide in quattro trattati, rispettivamente dedicati alle quattro virtù - prudenza, giustizia, forza e temperanza - a loro volta distinti in capitoli e sottocapitoli.
Distinte dalle virtù teologali, che attengono alla vita beata, le quattro virtù cardinali guidano l'uomo alla perfezione nella vita civile; a partire da questa affermazione, contenuta nel prologo, il testo di E. unisce all'analisi teorica e dottrinale di ogni singola virtù un'analisi più specifica sui loro usi particolari nei vari momenti della vita politica e sociale dell'uomo. Cosi una lunga parte è dedicata alla famiglia (t. I), più volte si torna sulla figura del princeps (tt. I-II) e sulle forme di governo (t. II), una articolata sezione è dedicata ai modi della giustizia civile analizzando i diritti e i doveri del giudice, dell'accusato, dell'accusatore e del testimone (t. II), alcuni capitoli si interrogano sulla liceità della guerra (t. III), altri sul tema del gioco (t. IV) o su quello dell'ornatus mulierum (t. IV). Anche qui, come nel Tractatusde vitiis, la fonte che E. utilizza in larga misura e la Summatheologica diTommaso d'Aquino, attraverso la quale entra continuamente in gioco anche Aristotele, di cui vengono citate più volte soprattutto, ma non solo, l'Ethica e la Politica. Abbondante è anche il ricorso a citazioni scritturali, sentenze ed exempla tratti dalla storia sacra e da quella profana. Il possibile utilizzo di questo testo ai fini della predicazione è esplicitamente riconosciuto dall'edizione quattrocentesca che lo considera particolarmente adatto "ad conficiendum arengas, collationes et sermones utilissimos" e che a questo scopo predispone un indice alfabetico degli argomenti a cura di Thomas Dorniberg da Memmingen. Rivolta ai cittadini di Venezia, l'opera non trascura un esplicito riferimento alla situazione politica e sociale della città. Nel t. II, dopo aver passato in rassegna i diversi tipi di governo (principatus regni, optimatum, populi, e un principatus mixtus che si compone di diversi aspetti dei primi tre), E. nota che l'organizzazione politica di Venezia si avvicina a quest'ultimo tipo di governo; ne descrive il funzionamento e ne loda gli ottimi risultati dipingendo un quadro encomiastico della vita sociale di Venezia pervasa di libertà, sicurezza, ricchezza, giustizia e devozione.
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