ENRICO da Prato (Hylas o Ila Enrico)
Nacque a Prato probabilmente agli inizi del sec. XV. Scarsissime sono le notizie riguardanti la sua giovinezza e formazione culturale che, peraltro, dovette avvenire in ambiente fiorentino. A Firenze, infatti, entrò in contatto con Giovanni Aurispa (che nel 1426 era professore di greco nello Studio), il quale lo incoraggiò e lo segui negli studi classici e umanistici. La frequenza di un circolo letterario cosi ricco e vivace come quello fiorentino indusse ben presto anche E. a dedicarsi alla poesia, attraverso la lettura degli autori latini e il componimento di versi, per lo più elegie ed epigrammi, secondo il gusto dell'epoca.
In seguito lo stesso Aurispa, passato nel 1427 a Ferrara come precettore di Meliaduce d'Este, raccomandò il giovane E. all'amico Francesco Filelfo, che si trovava a Bologna, come risulta da una lettera di risposta scritta da questo all'Aurispa, il 9 luglio 1428, in cui lo rassicurava di aver accolto affettuosamente il suo raccomandato "Ila". E. aveva, infatti, assunto, secondo un frequente uso umanistico, il soprannome di Hylas, il bellissimo giovinetto amato da Ercole e rapito dalle ninfe, cantato da Apollonio Rodio, da Teocrito e da Virgilio.
Da Bologna E. si trasferi ben presto a Ferrara, entrando a far parte del circolo umanistico di questa città, dove rimase per un periodo considerevolmente lungo rispetto alla sua breve esistenza. A Ferrara strinse amicizia soprattutto con Ludovico Sardi, valente giurista e poeta, che gli indirizzò anche un'elegia in latino (conservata nel codice Est. lat. 1080, f. 161r della Biblioteca Estense di Modena), con la quale gli infondeva la speranza che un giorno la fanciulla amata - una ferrarese chiamata con nome classicheggiante Fanetide - avrebbe corrisposto ai suoi sentimenti d'amore. Sappiamo, inoltre, che E. era in contatto con un altro umanista del circolo ferrarese, il modenese Niccolò Quattrofrati, in quanto indirizzò un'elegia a Orsa, la donna amata dal Quattrofrati, celebrante le doti e le virtù del suo spasimante.
Sempre a Ferrara E. entrò pure in contatto con la corte estense, in particolare con il marchese Niccolò III, significativo mecenate degli studi umanistici nella sua città, a cui lo legarono sempre vincoli di profonda stima e riconoscenza, e per il quale compose un epitaffio in occasione della morte, avvenuta a Milano il 26 dic. 1441.
Non si conoscono i motivi per cui E. si sia successivamente recato da Ferrara a Milano, presso la corte viscontea, e perché abbia tentato qui di avvelenare il duca Filippo Maria Visconti, il quale lo fece perciò condannare a morte per impiccagione con successivo squartamento.
La vicenda, da collocarsi cronologicamente tra la morte di Niccolò III d'Este e quella di Filippo Maria Visconti (1447), è stata ricostruita, esclusivamente su fonti poetiche, dal Sabbadini (1910). Apparentemente non esistono, o finora non sono state comunque reperite, altre fonti documentarie atte a confermarla e precisarne le fasi.
Certe notizie e supposizioni si possono tuttavia ricavare da alcune poesie che E. scrisse durante l'incarcerazione. Dalla prigione E. indirizzò un epigramma a Francesco Filelfo, con il quale evidentemente era rimasto sempre in contatto, e un'elegia al nuovo marchese di Ferrara, Leonello d'Este, figlio di Niccolò. Proprio quest'ultimo componimento può forse chiarire le motivazioni dell'atto compiuto da E.: l'autore stabilisce, infatti, una relazione fra la sua incarcerazione e la speranza che il principe estense riesca a liberarlo. Di qui si può ipotizzare non solo che E. dovette credere alle voci secondo cui la morte di Niccolò III, avvenuta durante il suo soggiorno alla corte viscontea, fosse stata determinata da avvelenamento e non da cause accidentali, ma anche che, legato al marchese di Ferrara da una profonda riconoscenza e da sentimenti di grande devozione, avesse deciso di vendicarne lui stesso l'uccisione, ripagando Filippo Maria della stessa moneta. La richiesta di aiuto di E. a Leonello si configura, quindi, come l'ultimo tentativo di far emergere la verità dei fatti, con la denuncia da parte degli Estensi del complotto ordito dal Visconti a danno del marchese Niccolò.
Nessuno poté salvare dal supplizio E., il quale, in un epitaffio composto prima di morire, sintetizzò gli avvenimenti che avevano segnato la sua breve ma intensa esistenza, la quale rimase circoscritta alla prima metà del sec. XV.
La produzione letteraria di E. è limitata - per quanto risulta dalle poche testimonianze a noi pervenute - a brevi composizioni poetiche in latino, per lo più elegie, epigrammi, epitaffi di gusto umanistico, alcune delle quali risalgono probabilmente al periodo in cui egli visse a Ferrara; altre, invece, furono scritte durante la sua incarcerazione a Milano. A parte il periodo giovanile trascorso a Firenze, la maturazione letteraria di E. avvenne, comunque, in ambito ferrarese: il circolo umanistico di questa città, che gravitava intorno ai marchesi Niccolò III prima e Leonello poi, gli permise, infatti, di entrare in contatto con i personaggi più rappresentativi di quella società, a incominciare dal massimo esponente, Guarino Guarini, anche se non è dato sapere se con quest'ultimo (e con altri, quali Angelo Decembrio) E.'abbia avuto contatti diretti, per la mancanza di prove documentarie. Tuttavia, egli ebbe stretti legami con altri umanisti dello stesso ambiente, come Ludovico Sardi, Pompeo Pazzaglia, Niccolò Quattrofrati, e, soprattutto, con lo stesso Filelfo, che, avendolo accolto a Bologna, probabilmente si interessò affinché si inserisse anche a Ferrara.
Il carattere delle composizioni poetiche di E. - quantitativamente assai ridotte - ricalca i modelli tipici dell'epoca e dell'ambiente in cui visse: la poesia ferrarese della prima metà del sec. XV, quasi tutta latina, riprende nella sua ispirazione, cosi come nella forma e nello stile, i temi e i motivi degli autori classici latini, le cui opere, conservate numerosissime presso la ricca e preziosa biblioteca estense, erano ampiamente studiate dagli umanisti. Anche nei versi di E., la cui formazione culturale era essenzialmente classica, riecheggiano forme e modelli ripresi da Virgilio, Orazio, Catullo, Teocrito. In alcuni casi, secondo il gusto cortigiano coevo, il motivo ispiratore deriva dalla morte del principe, a cui il poeta era stato legato da vincoli di riconoscenza: E., infatti, compose per la morte di Niccolò III un epitaffio, celebrandone le virtù politiche e di mecenate (Roma, Bibl. Casanatense, cod. 1732 [C.III.3], f. 51). In altre occasioni, invece, l'oggetto del canto è rappresentato dalla donna amata: a questo proposito - secondo il Sabbadini - E. avrebbe composto un canzoniere, che tuttavia non ci è pervenuto, in onore di Fanetide, la giovane ferrarese a cui egli avrebbe diretto la sua ammirazione e il suo sentimento amoroso. È rimasta, invece, l'elegia scritta per Orsa, l'amante del poeta Niccolò Quattrofrati, intitolata Pro Nicolao a Quatuor Fratribus mutinensi (Est. lat. 1080, ff. 174v-175r), la quale, fra l'altro, rappresenta anche l'unica fonte di notizie su questo umanista.
Durante la sua incarcerazione a Milano E. - come si è detto in precedenza - dedicò un'altra elegia a Leonello d'Este, intitolata Henricus Hylas Pratensis vates illustris illustri domino, nella quale chiedeva aiuto al principe perché perorasse la sua causa presso Filippo Maria Visconti (ibid., ff. 209-210, e Firenze, Bibl. naz., Magliab. VII.721, f. 83) ed indirizzò a Francesco Filelfo un epigramma (AdFranciscum Phitelfum, tramandato nel codice Trotti 373, f. 48r, della Biblioteca Ambrosiana di Milano), con cui affida all'amico il suo messaggio e la memoria della sua opera dopo la morte. Nell'epitaffio composto per se stesso, che ebbe una discreta fortuna e fu tramandato da numerosi codici con titoli diversi (ad esempio dal codice Landau 255, ff. 9-11, della Biblioteca nazionale di Firenze, e dai codici Trotti 373, f. 48v e F. S. V 18, f. 36v della Biblioteca Ambrosiana di Milano), E. descrive gli avvenimenti che caratterizzarono la sua vita ricalcando alcuni celebri versi di Virgilio.
A prescindere dal valore artistico di questi tre ultimi componimenti, che per altro suscitarono l'apprezzamento dei contemporanei, l'interesse precipuo che ne scaturisce è che E. vi manifesta, con intensa e sincera partecipazione, tutti i sentimenti che travagliarono il suo animo nell'attesa che si compisse il suo tragico destino. Una sorte che viene accettata come ineluttabile, ma con la preoccupazione che i posteri possano capire e, quindi, giudicare correttamente le cause e le motivazioni che lo hanno spinto a compiere il gesto fatale, con il quale egli avrebbe tentato di vendicare la morte del suo protettore e benefattore.
Il supplizio subito da E. ebbe, poi, una immediata risonanza fra gli amici e i poeti contemporanei: Pompeo Pazzaglia, nel suo canzoniere amoroso, intitolato Lucia (conservato in un codice appartenente ad una biblioteca privata di Ravenna, segnalato dal Sabbadini), dedicò un'elegia a E. dal titolo Carmen de morte Hyle Pratensis poete clarissimi sui temporis che rappresenta, in definitiva, la fonte più ricca di notizie sulla vita e l'opera di E., celebrato e compianto come uno fra i più illustri poeti del suo tempo.
Un altro autore contemporaneo, rimasto sconosciuto, gli dedicò un epitaffio in latino, in cui descrive con estrema chiarezza e crudo realismo i motivi della condanna patita dal poeta e il genere di supplizio inflittogli (cod. Est. lat. 1080, f. 162r).
Coevo a E., con il quale è stato spesso confuso, è un poeta napoletano, anch'egli soprannominato Hylas, che fu cantato da Antonio Panormita ed al quale lo stesso Pazzaglia indirizzò un'elegia del suo canzoniere, dal titolo Hyla Parthenopeo pulcherrimo, dove si trovano pure dati preziosi relativi all'identificazione e alla distinzione tra i due poeti.
Fonti e Bibl.: A. Cinquini-B. Valentini, Poesie latine inedite di A. Beccadelli, Aosta 1907, p. 32; Carteggio di G. Aurispa, a cura di R. Sabbadini, Roma 1931, in Fonti per la storia d'Italia, LXX, pp. 56-57; G. Antonelli, Indice dei manoscritti della Civica Bibl. di Ferrara, Ferrara 1884, p. 48 n. 70; M. Natale, A. Beccadelli detto il Panormita, Caltanissetta 1902, p. 121; R. Sabbadini, Ciriaco d'Ancona e la sua descrizione autografa, in Misc. Ceriani, Milano 1910, p. 194; Id., Henricus Hylas Pratensis, in Rend. del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, s. 2, XLIII (1910), pp. 256-262, che rappresenta tuttora l'unico studio su E.; G. Bertoni, Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara (1429-1460), Ginevra 1921, p. 46; R. Sabbadini, Classici e umanisti da codici ambrosiani, Firenze 1933, pp. 12-13; H. Walther, Initia carminum ac versuum Medii Aevi posterioris Latinorum, Göttingen 1959, p. 942 n. 17979; S. Prete, Twohumanistic anthologies, Città del Vaticano 1964, p. 56; L. Capra, Gli epitafi per Niccolò III d'Este, in Italia medioevale e umanistica, XVI (1973), pp. 197, 200, 215, 226; D. De Robertis, Iohannes Carpensis/Giovanni da Carpi, in Tradiz. class. e lett. umanistica per A. Perosa, I, Roma 1985, pp. 271, 285; M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists, II, Boston 1962, p. 1772; P. O. Kristeller, Iter Italicum, ad Indices.