Empireo
Secondo il sistema astronomico tolemaico la sfera degli elementi (terra, acqua, aria e fuoco) è circondata da nove cieli mobili concentrici, di cui il più lontano dalla terra, il nono, è detto ‛ Primo Mobile '. Negli ambienti cristiani si aggiunse una decima sfera, detta E., sede del Paradiso celeste. Anche D., poggiando su li cattolici (Cv II III 8), ammise l'esistenza dell'E., soggiorno comune degli angeli e degli uomini beati (§ 10; Pd IV 28-56, XXX 43-44 e 64-96). Però dobbiamo distinguere l'immaginazione poetica dalla concezione teologica dell'E. dantesco, sebbene non sempre appaiono netti i limiti.
Immaginazione Poetica. - Secondo la raffigurazione artistica, l'E. è una sfera che fascia tutto il Primo Mobile (Pd I 122-123, II 112-114, XXVII 112-114) e che pertanto cinge e racchiude anche gli altri otto cieli sottostanti (II 112-120, XXVII 112-113). È inondato di una luce viva che potenzia la capacità visiva di quanti vi entrano (XXX 46-60). Dentro ha lo spazio come se fosse un corpo: è detto loco (If II 71), ampio loco (v. 84), 'l ciel che più ampio si spazia (Pg XXVI 62-63). È composto di parti (Pd XXII 66), delle quali la più importante è la candida rosa, costituita dai beati umani (XXXI 1-3), tutti biancovestiti (XXX 129). Il giallo de la rosa (v. 124) è un lago di luce (vv. 88-114, XXXI 46), che funge da " lumen gloriae " dei beati (XXX 100-102); è circondato da più di mille circoli concentrici (vv. 112-114), come foglie del fiore (v. 117, XXXI 10-11, XXXII 15). I circoli s'innalzano di mano in mano (XXX 109-114 e 124-125), a forma di anfiteatro, arrivando a un'altezza superiore a quella che separa l'abisso del mare dalla più elevata regione dell'aria (XXXI 73-76); per cui qualcuno (G. Roatta, Libero arbitrio, grazia, predestinazione fondamento dottrinale unitario della D.C., Alba 1947, 154-155) interpreta il più di mille come un numero indeterminabile, strabiliante. Essendo il fondo centrale più largo della circonferenza reale del sole (Pd XXX 103-105) e allargandosi i gironi di mano in mano che s'elevano (vv. 115-117 e 124-125), gli scanni dei beati sono davvero innumerevoli (vv. 128-132) e di più nei circoli più alti. La rosa è divisa in quattro parti da una linea orizzontale che gira a metà altezza (XXXII 40-41) e da due linee verticali (vv. 18 e 28-36). La linea orizzontale separa i beati deceduti con l'uso della ragione (in alto) dagl'infanti (vv. 40-45). Le due linee verticali separano i beati del Nuovo Testamento da quelli dell'Antico (vv. 19-56). Le due zone dell'Antico sono già piene (vv. 22-24), invece le altre due hanno ancora posti vuoti (XXX 130-138, XXXII 25-27). Essendo le linee verticali poste l'una di fronte all'altra (XXXII 28-39 e 133-138), le due zone dell'Antico Testamento sono ampie quanto quelle del Nuovo; pertanto, secondo D., alla fine i beati credenti in Cristo venuto saranno tanti quanti i credenti in Cristo venturo (vv. 37-39).
I beati adulti nell'E. godono del grado di gloria corrispondente all'altezza del cielo mobile in cui appaiono la prima volta a D. (IV 28-39), tranne Maria e Cristo i quali, abbandonando l'ottavo cielo subito dopo esservi apparsi (XXIII 35-39, 71-74, 88-137, XXV 128), dimostrano di non avere una relazione stabile con esso (Porena, commento a Pd XXIII). Però la corrispondenza tra i nove cieli mobili e le centinaia di gironi dell'E. è approssimativa. Così, contando i cerchi dell'E. dal più alto, nel primo vi sono Adamo, s. Pietro e s. Giovanni Evangelista (XXXII 118-130), visti precedentemente nell'ottavo cielo (XXIII 136-139, XXIV 19-XXVII 66); nel terzo v'è s. Benedetto (XXXII 35), apparso già nel settimo cielo (XXII 28-99). Una delle due linee verticali che separano gli adulti del Nuovo da quelli dell'Antico Testamento, è costituita da donne ebree (XXXII 16-21): nel primo cerchio Maria (XXXI 115-130), nel secondo Eva, nel terzo Rachele, nel quarto Sara, nel quinto Rebecca, nel sesto Giuditta, nel settimo Ruth (XXXII 4-15), ecc. La linea verticale opposta è costituita da beati neotestamentari: nel primo cerchio, di fronte a Maria, s. Giovanni Battista, nel secondo s. Francesco, nel terzo s. Benedetto, nel quarto s. Agostino (vv. 28-36), ecc. Nel primo cerchio, a sinistra di Maria sta Adamo, a destra s. Pietro (vv. 118-126); pertanto i beati veterotestamentari stanno a sinistra della linea verticale delle donne ebree, gli altri a destra. Riguardo alla disposizione di alcuni altri beati, nel primo cerchio a destra di s. Pietro sta s. Giovanni Evangelista e a sinistra di Adamo sta Mosé; nella parte opposta, a destra di s. Giovanni Battista sta s. Anna e a sinistra s. Lucia (vv. 127-138). Beatrice è collocata nel terzo girone (XXXI 67-69), alla destra di Rachele (If II 101-102, Pd XXXII 7-9); quindi, dopo Rachele, s'inizia il semicerchio neotestamentario che viene chiuso da s. Benedetto. D. riserva un posto per l'alto Arrigo (Pd XXX 133-137), ma non ne specifica il cerchio.
Gli angeli, rappresentati in atteggiamenti corporei (XXXI 13-15, XXXII 94-96), sono immaginati quasi intermedi tra la rosa e Dio: volando da Dio ai beati e viceversa, scendono continuamente nella rosa e ne risalgono, senza tuttavia impedire ai beati di vedere Dio e di ricevere le perfezioni divine (XXXI 4-24).
Saggisti e commentatori hanno discusso sul significato simbolico della candida rosa; ultimamente A.M. Appel (in " L'Alighieri " IX [1968] I 21-23 e 32-34), sintetizzando indagini precedenti di altri studiosi, l'ha visto nella fusione armonica dell'amore umano con l'amore divino, quale ascesa spirituale dell'uomo peregrinante a Dio.
Concezione teologica. - Per comprendere la concezione teologica dantesca dell'E., dobbiamo chiarire la differenza dell'E. dal " coelum Trinitatis " e dobbiamo distinguere l'E. del Convivio da quello della Commedia.
Distinzione dell'E. dal " coelum Trinitatis ". - L'E. è il luogo del Primo Mobile (Cv II III 9 e 11, Pd I 122-123, II 112-114, XXVII 112-113 e XXVIII 54) e degli eletti. Invece la Trinità è la prima Mente in cui l'E. fu creato senza esserne localizzato, è la magnificenza di Dio levata... sopra li cieli (Cv II III 11); non circoscritta, tutto circunscrive (Pd XIV 28-30; cfr. pure Pg XI 2); cinge l'E. (Pd XXVII 109-110 e 113-114), metaforicamente, perché non lo costituisce in loco (XXII 67). È vero che pure l'E. è luogo di Dio (Cv II III 10), sua città e... alto seggio (If I 126 e 128; cfr. anche Pg XI 1 e XV 67-68) e che in esso Dio compie l'atto di predestinare (If Il 20-21) e regna mentre altrove impera (I 124 e 127), ma in quanto nell'E. fa sentire la dolcezza del suo regno (If I 127-128), vi governa senza cause seconde (Pd XXVII 113-114 e XXX 121-123), ama i beati ed è posseduto da essi per mezzo dell'amore beatifico (Pg XI 1-3 e XV 52-75).
L'E. nel Convivio. - D. nel Convivio, oltre a supporre composto di parti l'E. (II III 8-9), gli attribuisce la materia (§ 8); pertanto lo ritiene un corpo, non ammettendo la materia spirituale (cfr. IV 2 e III VII 5). Afferma che fu creato (II III 11); se avesse trattato del tempo della sua creazione, certamente lo avrebbe posto fra le prime creature, quale luogo propriamente detto di tutto il mondo e pure degli angeli (§§ 10-11). Ne dimostra l'immobilità solo con un argomento filosofico, presupponendo il principio che ogni movimento sia causato da un bisogno: l'E. non si muove perché ogni sua parte ha tutta la sua perfezione (§ 8). Ne prova la causalità con l'aggiunta dell'altro principio che l'immobile muove come causa finale: l'E., essendo perfetto, suscita in ciascuna parte del Primo Mobile il desiderio di congiungersi con ciascuna parte dell'E.; così fa muovere il nono cielo velocissimamente (II III 9; per questo secondo principio cfr. Arist. Metaph. XI 7). Suppone che tale causalità sia suprema, perché ritiene che il Primo Mobile da parte sua produce il movimento degli altri cieli e la generazione della vita vegetativa e animale (II XIV 15-17). Infine, secondo il Convivio, l'E., per la sua immobilità e perfezione, riflette direttamente l'unitade e stabilitade di Dio (V 12) ed è riflesso dalla teologia, scienza sanza macula di lite... e perfetta (XIII 8, XIV 19-20).
L'E. nella Commedia. - Nel poema l'E. non è concepito corporeo. Infatti il Primo Mobile è detto il maggior corpo (Pd XXX 38-39) e non lo sarebbe se anche l'E., più ampio di esso (Pg XXVI 62-63), fosse un corpo. Inoltre il Primo Mobile include in sé tutti i volumi del mondo (Pd XXVII 112-113); non sarebbe vero se anche l'E. fosse una sfera corporea. Nella Commedia mai si parla di ‛ materia ' dell'E.; i cieli sono detti mondo sensibile, cerchi corporai, corpo (Pd XXVIII 49, 64 e 68) solo quando, riferiti ai nove cori angelici, vengono considerati senza l'Empireo. Questo non esercita nessun influsso sui corpi inferiori, neppure il movimento: è il Primo Mobile il cielo che più ferve e più s'avviva / ne l'alito di Dio e nei costumi (XXIII 113-114); dalla nona sfera hanno inizio gl'influssi dei cieli superiori sugl'inferiori (II 112-115); dal Primo Mobile la natura del mondo... comincia come da sua meta (XXVII 106-108), cosicché l'E. non muove il cielo inferiore neppure come causa finale; il nono cielo, da parte sua, non ha altro dove / ...in che s'accende / l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove, fuorché nella mente divina (cioè in Dio), secondo la costruzione logica di questa terzina (Pd XXVII 109-111); il raggio divino che, secondo l'immaginazione poetica, dà al Primo Mobile vivere e potenza, cade direttamente da Dio sulla superficie convessa di quel cielo e solo dopo, riflesso, costituisce il fondo centrale della rosa dei beati (XXX 106-108). L'E. non è incluso fra le prime creature (v. CREAZIONE), neppure fra i cieli, perché questi sono ritenuti corporei (XXIX 22-23 e 35-36; cfr. VII 130-132); gli angeli furono creati cima / nel mondo (XXIX 31-36 e 46-48), al di sopra dei cieli, in nessun luogo corporale. Né si dice che l'E. fosse creato in seguito. Del resto D. non richiede un luogo materiale neppure per i corpi gloriosi, avendo posto il corpo di Cristo al di fuori e al di sopra dell'E., nel cielo della Trinità (XXXIII 127-141); quando afferma che Cristo risiede nell'E. (per es. Pg XXVI 128-129, XXXII 101-102, Pd XXV 127-128), lo dice nello stesso senso in cui afferma che Dio ha sede nell'Empireo.
D. chiama l'E. il ciel più chiaro (Pd XXIII 102), il cielo che maggiormente partecipa della luce divina (I 121-123; cfr. pure il discusso v. 4), il ciel ch'è pura luce (XXX 39). Però non usa qui il termine luce in senso proprio, innanzi tutto perché, concependo immateriale l'E., dovrebbe intenderlo spirito-luce, secondo la metafisica della luce, cioè intelligenza e volontà, non cielo; poi, chiamandolo altre volte luce e amor (XXVII 112 e XXVIII 54), mostra d'indicare con luce metaforicamente la visione beatifica (cfr. affermazioni analoghe in I 120 e XXXI 27). Infine esplicitamente dà dell'E. la definizione della beatitudine celeste: ciel ch'è pura luce: / luce intellettüal, piena d'amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogne dolzore (XXX 39-42); ove la pura luce indica la visione beatifica in quanto è diretta, senza dubbi; la luce intellettual significa l'intuizione di Dio.
Conveniamo che alcune volte D. anche nella Commedia argomenta come se l'E. fosse un corpo: per dimostrare che in esso le cose lontane si vedono come se fossero vicine, non nega lo spazio, ma esclude solo l'effetto naturale dello spazio, ossia che la distanza diminuisca la visibilità dell'oggetto (XXX 121-123; cfr. XXXI 73-78); dimostra l'immobilità dell'E. non con l'incorporeità, ma con l'assenza di ogni bisogno di muoversi per la sua completa perfezione (I 121-123; cfr. 1-4 e XXX 52) e con la mancanza dell'asse e del luogo contenente (XXII 64-67). Però usa siffatti argomenti conforme alla rappresentazione artistica, non alla concezione teologica. Allo stesso modo alle volte argomenta come se i beati stessero realmente nei nove cieli mobili (per es. VI 124-126, VIII 34-37, IX 118-123, XVIII 28-33, XXVIII 134-135), nonostante che li presenti lì solo per significare il loro diverso grado di gloria goduto nell'E. (IV 28-39).
È stato obiettato che si potrebbe procedere all'inverso, interpretando in senso metaforico le espressioni dantesche che parlano di un E. immateriale. Ma in tal caso dimenticheremmo che l'uomo si serve necessariamente delle immagini temporali e spaziali, desunte dal mondo corporale, per descrivere le realtà spirituali: Così parlar conviensi al vostro ingegno, / però che solo da sensato apprende / ciò che fa poscia d'intelletto degno; e per questo la Scrittura attribuisce mani e piedi a Dio e la Chiesa aspetti umani agli angeli (Pd IV 40-48). Possiamo comprendere quale raffigurazione artistica un E. presentato, per esempio, come sfera corporale con spazio, come anfiteatro con un'arena di luce; ma non possiamo intendere in senso metaforico, per esempio, le affermazioni che il Primo Mobile è il maggior corpo, contenente tutti i volumi / del mondo, iniziale meta de la natura del mondo, e che l'E. non è creato.
In conclusione per D. teologo nel poema l'E. è immateriale, del tutto soprannaturale; è lo stato di beatitudine celeste goduto in un soggiorno comune, al di là dei cieli materiali.
L'E.. nell'Epistola a Cangrande (XIII). - Questa epistola si occupa dell'E. perché commenta anche Pd I 4 (ciel che più de la... luce [divina] prende) riferendolo al decimo cielo (§§ 66-76). Presenta elementi favorevoli sia alla concezione della Commedia sia a quella del Convivio.
Infatti, ci presenta un E. immateriale, posto totalmente nell'ordine soprannaturale: contro la spiegazione comune degli scolastici, derivata dalla Glossa ordinaria (Liber Genesis I 1 [in Patrol. Lat. CXIII 68]) e da P. Lombardo (Sent. II 2 4, ediz. Quaracchi, I 315-316), deriva etimologicamente la parola ‛ Empireo ' da ‛ ardore ' e non da ‛ splendore ' e intende la carità poiché nega alla decima sfera il fuoco materiale (Ep XIII 68); implicitamente nega all'E. il potere d'impartire moto e virtù agl'inferiori, perché, per dimostrare la sua somma causalità, non si appella al detto influsso, ma al debole argomento che l'E., luogo di tutto l'universo, ne è anche causa, essendo il luogo simile (sicut) alla forma ed essendo la forma causa (§ 70; cfr. Arist. Coel. IV 4). D'altra parte indica l'E. con una terminologia che supporrebbe un cielo della stessa specie degl'inferiori, per es. primum coelum (§§ 70-72), coelum supremum (§ 67); afferma che tutti i corpi sono contenuti e si muovono dentro l'E. (§ 67); lo ritiene composto di parti (§ 72); ne sostiene l'immobilità con cui ne dimostra la perfezione (§§ 67, 69, 71-74) e, aggiungendo che si tratta di convertibili (§§ 73-74), suppone che si possa dimostrare anche l'immobilità con la sua perfezione; lo ritiene creato perché dice che esso ha ricevuto da Dio una natura perfetta e una maggiore causalità (§§ 70, 72-73). Inoltre parla due volte della ‛ materia ' dell'E., sebbene la prima volta (§ 73) forse si debba leggere naturam (cfr. G. Boffito, L'Epistola di D.A. a Cangrande della Scala, in " Mem. R. Accad. Scienze Torino " s. 2, LVII [1907] 31) e la seconda volta (§ 75) si tratta della citazione di un passo di Aristotele. Si accosta ancor più chiaramente alla concezione materiale del Convivio quando afferma che l'E. è luogo di tutto l'universo in naturali situ (§ 70). Tuttavia questi ultimi elementi potrebbero intendersi come commento della raffigurazione artistica dell'Empireo.
Giudizio e fonti storiche. - Generalmente i commentatori e i saggisti convengono non solo sulla bellezza e sulla grandiosità della concezione poetica dell'E., ma anche sulla sua originalità. Alcune delle fonti additate (cfr. per es. A.F. Ozanam, D. et la philosophie catholique au trezième siècle, Parigi 1839, 70-71 e 325-342; C. Piana, Le questioni inedite " De glorificatione Beatae Mariae Virginis " di Bartolomeo da Bologna O.F.M. e le concezioni del paradiso dantesco, in " L'Archiginnasio " XXXIII [1938] 247-262) sono in realtà analogie molto lontane. In particolare sono state indicate parecchie fonti ispiratrici della candida rosa, per altro chiamata da D. anche fiore (Pd XXXII 10 e 22, XXXIII 9) e giardino (XXXI 97 e XXXII 49): per es., l'anfiteatro di Verona, il Colosseo di Roma, certe forme di lampadari sacri, il tempio del " Graal ". Secondo il parere oggi più diffuso, la fonte sarebbe il rosone di qualche chiesa con i vetri istoriati rappresentanti il Paradiso; così si spiegherebbero anche la luce e i colori della rosa empirea (seguendo A.F. Ozanam, Des sources poétiques de la D.C., in Oeuvres complètes, V, Parigi 18592, 365; così, per es., F. Ermini, in " Giorn. d. " XXV [1922] 308; A.M. Appel, in " L'Alighieri " IX [1968] I 23-26).
Riguardo alle teorie dantesche sull'E., noteremo solo alcuni punti in cui D. assume un particolare atteggiamento. L'argomento che l'E. non si muove perché ogni sua parte ha tutta la sua perfezione, non fu addotto dai grandi scolastici, ma dallo pseudo-Grossatesta (Summa philosophiae XVI 1, ediz. L. Baur, in " Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters " IX [1912] 593) e, precedentemente, da Michele Scoto e da Guglielmo d'Auvergne (cfr. P. Duhem, Le système du monde, IV, Parigi 1916, 223; B. Nardi, Nel mondo di D., Roma 1944, 70). Egualmente bisogna ricorrere non ai grandi scolastici, ma ad Avicenna, ad Algazel e a Michele Scoto per spiegare l'influsso dell'E. sul movimento velocissimo del Primo Mobile con il motivo che ciascuna parte del Primo Mobile desidera congiungersi con ciascuna parte dell'E. (cfr. B. Nardi, op. cit., pp. 71-75).
Molto interessante è la concezione dantesca della natura dell'Empireo. Per lo più gli scolastici ammettevano come semplice ipotesi l'esistenza del decimo cielo, luogo speciale degli eletti; ma, una volta ammesso, lo concepivano corporeo. Per gli scolastici non aveva senso un luogo propriamente detto il quale non fosse corpo (cfr. P. Bernard, Ciel, in Dictionnaire de théologie catholique, II, Parigi 1905, 2505-2506). La facoltà teologica di Parigi nel 1244 aveva decretato: " firmiter... credimus, quod idem locus corporalis, sc. coelum empireum, angelorum et animarum sanctarum erit et corporum glorificatorum " (H. Denifle, Chartularium universitatis parisiensis, Parigi 1889, I 171). Inoltre gli scolastici assegnavano all'E. una luminosità piena; per i simpatizzanti della cosiddetta ‛ metafisica della luce ', la luce era la stessa sostanza o forma sostanziale dell'E. (per es., per Bonaventura Sent. II 13 2 2 [ediz. Quaracchi, II 320b-321a]; Adamo di Parigi De Intelligentiis VIII 4, ediz. C. Bäumker, in Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters III 2, 11); per gli altri la luce era una qualità dell'E. (per es., Tommaso Sum. theol. I 67 3); ma per gli uni e per gli altri era luce in senso proprio, perché l'E. era pensato corpo luminoso. Fondandosi su Aristotele (Coel. I 9) gli scolastici ritenevano che nessun corpo, neppure il glorioso, potesse stare fuori di un luogo materiale; pertanto assegnavano a Cristo-uomo il primo posto nell'E. (per es., Bonaventura Sent. II 2 2 dub. 2 [ediz. Quaracchi, II 85b]; Tommaso Sent. III 22 3 3 1 ad 1 e 3, ediz. M.F. Moos, III 688; Bartolomeo da Bologna, nel passo riportato da Piana, art. cit., 254 n. 2). Infine, seguendo Beda il Venerabile (Hexaemeron 1 [in Patrol. Lat. XCI, 13-14]), accolto dalla Glossa ordinaria (Liber Genesis I 1 [in Patrol. Lat. CXIII, 68]) e da P. Lombardo (Sent. II 2 4 [ediz. Quaracchi, I 315-316]), insegnavano che l'E. fu creato all'inizio, insieme con gli angeli e con la materia corporale. In questa cornice comune avevano dell'E. differenti concezioni, che andavano da un cielo posto completamente nell'ordine soprannaturale e non esercitante nessun influsso sui corpi sottostanti (per es., Alb. Magno Sent. II 2 4-5 [ediz. Borgnet, XXVII 53 a-b e 54b]; Tommaso Sent. II 2 2 2-3 [ediz. P. Mandonnet, II 73-78]) a una sfera che, rendendo possibile il movimento del nono cielo e ogni altro movimento, si connetteva strettamente con il mondo sensibile (per es., pseudo-Grossatesta Summa ph. IX 4, XV 2-3 e XVI 4 [ediz. cit., pp. 415-416, 544-547 e 593]).
La concezione dell'E. del Convivio è analoga a questa dello pseudo-Grossatesta. Invece quella della Commedia è originale, sebbene affondi le sue radici nell'antica tradizione cristiana del Paradiso celeste (cfr. Bernard, art. cit., pp. 2478-2503), nello stesso Aristotele (Coel. I 9), secondo il quale fuori dell'ultima sfera non poteva esistere né corpo né tempo, però v'era la vita eterna e beata (cfr. Cv II III 10). Inoltre con la concezione teologica di un E. soggiorno immateriale, soprannaturale, ove gli eletti godono insieme la beatitudine, D. si è svincolato dalla fisica del suo tempo e ha scavalcato i maestri della scolastica, interpretando acutamente il domma cristiano.
Bibl.- Per una esauriente dimostrazione del concetto soprannaturale dell'E. della Commedia: A. Mellone, La concezione dell'e., in La dottrina di D.A. sulla prima creazione, Nocera Sup. 1950, 22-57. L'interpretazione è stata accettata da É. Gilson, A la recherche de l'Empyrée, in " Revue Études Ital. " XI (1965) 147-161, sebbene non sia notata la distinzione dell'E. dal " coelum Trinitatis ". B. Nardi, in La dottrina dell'e, nella sua genesi storica e nel pensiero dantesco (in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 19672, 167-814), presenta una preziosa storia delle dottrine sull'E., però non distingue la concezione del Convivio da quella Commedia e l'interpreta secondo la metafisica della luce. Per l'ordinamento dei beati nell'E., cfr. G. Busnelli, Il concetto e l'ordine del ‛ Paradiso ' dantesco, II, Città di Castello 1918, 163-181. Per la discussione sul significato simbolico e sulla fonte della candida rosa, cfr. P. Savj Lopez, Il C. XXX del Paradiso, Firenze [1920] 15-83 e 35 n. 80; G. Busnelli, op. cit., I, Città di Castello 1911, 223-242; F. Ermini, La candida rosa del Paradiso dantesco, in " Giorn. d. " XXV (1922) 306-309; B. Seward, Dante's Mystic Rose, in " Studies in Philology " LII (1955) 515-523; ID, The Symbolic Rose, New York 1960; A.M. Appel, " La forma general di paradiso ", in " L'Alighieri " IX 1 (1968) 16-36.