Zola, Émile
Il caposcuola del naturalismo francese
Teorico del naturalismo, lo scrittore francese Émile Zola ne ha offerto un modello esemplare nella sua opera narrativa. Da Thérèse Raquin al ciclo I Rougon-Macquart, i suoi romanzi costituiscono un immenso affresco della società del suo tempo, osservata e documentata con un rigore scientifico che nulla toglie a una immaginazione esuberante
Nato nel 1840, presto orfano e povero, Zola lavora come giornalista a Parigi, diventando noto a ventisette anni con Thérèse Raquin, romanzo scandaloso di un delitto passionale, che l’autore ha paragonato a uno studio scientifico su due temperamenti a confronto: quello nervoso femminile e quello sanguigno maschile. Critico letterario e artistico, Zola difende l’arte contemporanea e la pittura anticonformista di Édouard Manet e degli altri seguaci dell’impressionismo. Gli scorci di Parigi e i paesaggi che descrive con accuratezza nei romanzi sono gli stessi dipinti dagli amici pittori.
Zola crede nella capacità dell’artista di osservare e capire il reale, e poi di trasfigurarlo attraverso la sua personalità creativa. Egli compone le sue opere, sostenute da una solida struttura, su una polifonia di personaggi e voci, con scene a contrasto e quadri fatti di macchie di colore accostate: rosso, nero, bianco, oro.
Teorico della scuola del naturalismo, Zola riconduce questa corrente letteraria allo «spirito scientifico» di un secolo fiducioso nel progresso e ricco di scoperte e invenzioni: il romanziere non deve limitarsi all’osservazione metodica e oggettiva del reale, ma essere anche uno sperimentatore.
Il romanzo sperimentale si presenta come inchiesta sull’influenza determinante esercitata dal milieu – cioè da una certa situazione ambientale e dal contesto sociale – sul corpo e sul carattere dell’uomo-personaggio.
Per oltre un ventennio Zola lavora all’esecuzione di un grande progetto: I Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo impero: un ciclo di venti romanzi che racconta le vicende intricate di cinque generazioni dei due rami di una famiglia dal 1852 al 1870. La storia è naturale perché la genetica e le leggi dell’ereditarietà decidono caratteri fisici e morali, ed è sociale perché descrive l’effetto degenerativo della corruzione politica ed economica della Francia di Napoleone III. Protagonisti di questo dinamico affresco sono borghesi, commercianti, finanzieri, politici, medici, preti, umili operai, artigiani e contadini; Zola ha condotto una scrupolosa ricognizione storica, sociologica, linguistica, anche sul campo, come testimoniano i fascicoli preparatori dei romanzi. Per ciascun romanzo del ciclo, Zola sceglie temi di attualità: la ricerca di un’arte nuova (L’opera, 1886); l’architettura moderna (Il paradiso delle donne, 1883, cioè il grande magazzino, colosso commerciale della capitale, e Il ventre di Parigi, 1873, sui nuovi mercati generali in vetro e ferro); l’alienazione che l’uso della macchina comporta (La bestia umana, 1890, sullo sviluppo delle comunicazioni ferroviarie). Il romanziere affronta anche gli aspetti più degradati della società, come la prostituzione nel mondo teatrale (Nana, 1879); l’alcolismo, conseguenza della povertà nei sobborghi parigini (L’ammazzatoio, 1877); la condizione miserabile del lavoro (Germinale, 1885, romanzo nero sulla vita dei minatori); la malattia fisica e psichica (La gioia di vivere, 1884, sul caso patologico di un giovane nevrotico affetto da malinconia); i guasti della guerra (La disfatta, 1892, sul sanguinoso conflitto franco-prussiano e sulla sconfitta di Napoleone III a Sedan).
Di convinzioni repubblicane, Zola crede nell’istruzione, nell’educazione e nella conoscenza come strumenti di trasformazione della società. Si impegna con articoli coraggiosi e con una sorta di lettera aperta intitolata Io accuso (1898) nella difesa di Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo accusato di aver trasmesso segreti militari all’addetto tedesco a Parigi. In un clima tumultuoso e rischiando la prigione, Zola prende posizione contro l’antisemitismo e il fanatismo in nome dell’«universale tolleranza». Vittima di un errore giudiziario, il capitano fu, infine, riabilitato nel 1906. Zola era già morto da quattro anni.