EMETICI (gr. ἐμετικός "vomitorio")
Sostanze che fanno vomitare senza produrre altre gravi manifestazioni generali: p. es. l'apomorfina, l'ipecacuana, il solfato di rame, il tartrato d'antimonile e di potassio. Gli emetici si distinguono in centrali e periferici (o riflessi). I primi (apomorfina) provocano il vomito (v.) per un'azione eccitatrice diretta sul centro emetico situato forse (perché recenti ricerche lo pongono in dubbio) lungo la linea mediana del bulbo in prossimità del calamus scriptorius; gli altri (ipecacuana, solfato di rame, tartaro emetico) lo provocano in via riflessa, eccitando le terminazioni nervose della mucosa gastrica in una zona circoscritta al cardias (zona emetica) la cui stimolazione elettrica o meccanica o chimica, a mezzo degli emetici, anche in piccolissime dosi, provoca rapidamente nausea e vomito (A. Valenti). Tuttavia se la distinzione di emetici in centrali e riflessi trova conferma nel fatto che l'apomorfina applicata sulla zona emetico-gastrica è incapace di provocare vomito, si deve però ammettere che per l'estrinsecazione completa dell'atto del vomito sia in ogni caso necessaria l'entrata in azione di meccanismi periferici. Infatti dopo l'anestesia cocainica d'una regione limitata tra la faringe e la prima porzione dell'esofago, come dopo l'anestesia dei glossofaringei e dei vaghi, come dopo la cocainizzazione delle radici posteriori del midollo spinale, dal rigonfiamento cervicale alle prime radici dorsali, il rigurgito stomacale per apomorfina non si manifesta più (Valenti). La possibilità di svuotare lo stomaco con la sonda gastrica ha fatto diminuire assai l'uso degli emetici che in passato (secoli XVI e XVII) furono largamente adoperati nell'intento d'espellere i pretesi umori peccanti che circolavano nell'organismo. Durante la narcosi profonda gli emetici non agiscono: essi sono controindicati nell'aneurisma, nell'ateroma, nell'urnia, durante la gravidanza avanzata, negli avvelenamenti in cui lo stomaco sia profondamente alterato, ecc.
Gli emetici nell'arntichità. - Nell'antichità questa sorta di rimedî erano largamente usati nella cura di molte malattie del sistema digerente. Gli Egiziani (cfr. il testo medico del papiro Ebers, 1553-1550 a. C.) conoscevano una cura preventiva che si faceva ogni mese e consisteva in un grande lavaggio dell'apparato digerente fatto per mezzo di emetici e di clisteri. Ippocrate consiglia quali emetici l'acqua calda, l'elleboro bianco, l'issopo, il succo della radice di tassia. Asclepiade di Prusa, famosissimo medico in Roma, amico di Cicerone, condannò l'abuso che si faceva degli emetici in medicina (cfr. Plin., Nat. Hist., XXVI, 17); ma Celso li consiglia come rimedio per i mali di stomaco e per chi soffre di bile o di acidità (De Med., II, 3); Plinio ne parla a lungo, osserva che il loro uso è dannoso agli occhi e ai denti (Nat. Hist., XI, 282), ne indica varie composizioni, e nota (XXIX, 27) come Catone avesse ragione di condannare i Romani che, anziché come cura medica usavano gli emetici al solo scopo di vuotarsi lo stomaco per poter empirselo di nuovo. In età più tarda furono meno usati: Marcello (sec. V d. C.) nel De Medicamentis non li annovera fra i rimedî per i mali di stomaco.