embrione
Organismo ai primi stadi di sviluppo. Questo sviluppo inizia con la fecondazione dell’ovocita che si trasforma in zigote e avviene mediante un fenomeno detto nel suo complesso embriogenesi (➔).
Non esiste una definizione univoca di e. perché il significato del termine varia a seconda che lo si intenda dal punto di vista biologico o clinico. In embriologia, la definizione si riferisce al nuovo essere creato dall’unione di un ovocita con uno spermatozoo. Questa definizione non è però più sufficiente perché è oggi possibile creare e. che derivano da un trasferimento nucleare o da partenogenesi indotta, tecniche che non presuppongono una fecondazione classica. Poiché ogni tecnica in grado di produrre un feto a termine deve di necessità passare per uno stadio iniziale che ha tutti i requisiti per essere definito e., è logico estendere la definizione anche al prodotto di queste tecniche. Infine, oggi sono state messe a punto metodiche capaci di creare esseri con DNA di due diverse specie e appare immotivato non attribuire a questi esseri il nome di embrioni. Pertanto, alla luce delle conoscenze più recenti della biologia, prescindendo da ogni valutazione etica, religiosa, legale o sociale e tenendo presente solo lo sviluppo dell’uovo fecondato, l’e. umano può essere definito come un essere distinto che può avere una non univoca origine. Nella grande maggioranza dei casi esso ha origine dalla prima divisione mitotica (PDM) dello zigote; tuttavia esso può anche avere origine da altri processi capaci di dare inizio a un’entità biologica che possegga un genoma nucleare umano (alterato o meno), che abbia la capacità di svilupparsi almeno fino allo stadio in cui appare la stria primitiva (attorno cioè al 14° giorno dalla PDM) e che non abbia raggiunto l’8a settimana di vita, sempre calcolata a partire dalla PDM.
Da un punto di vista clinico viene definito e. il prodotto del concepimento che non abbia raggiunto il 90° giorno di vita intrauterina, calcolato dall’inizio dell’ultima mestruazione della gestante. Infatti, per motivi pratici, in clinica le settimane di vita dell’e. e del feto sono calcolate non dalla fecondazione, ma a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione della donna, fenomeno che avviene circa due settimane prima della fecondazione. Questa differenza tra biologia e clinica ha un’importanza fondamentale perché costituisce, in Italia e in molti Paesi che hanno legalizzato l’interruzione volontaria della gravidanza, il termine entro il quale la decisione di eseguire un’aborto spetta esclusivamente alla donna, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, essendo poi lecito solo per problematiche di natura medica accertate.