EMBRIACO, Guglielmo (Willielmus Caputmallei), detto Testadimaglio
Nato in data imprecisata nella seconda metà dell'XI secolo (probabilmente nell'ultimo trentennio), apparteneva ad una nobile schiatta genovese derivata dal ramo viscontile di Manesseno, da cui discendeva la famiglia degli Spinola: secondo una tarda tradizione genealogica l'E. sarebbe stato figlio di un Guido Spinola e fratello di un altro Guido, di Arnaldo e di Oberto Spinola, di Amico Brusco, nonché di Primo di Castello.
L'E. appare nella storia di Genova e in quella dell'Oriente latino nel luglio 1099, al momento della partecipazione navale dei Genovesi alla prima crociata, quando probabilmente non aveva ancora ricevuto il soprannome guerriero di "Testadimaglio" con il quale è famoso.
Due anni prima, nel luglio 1097, una piccola flotta genovese si era impossessata di San Simeone, l'antica Seleucia, porto di Antiochia a circa dieci miglia a Sud-Ovest di questa grande città siriana. Gli equipaggi della flotta tennero occupato il posto per circa un anno, fino a quando non fu incorporato nel principato di Antiochia. Fu questo il primo territorio orientale posseduto dai Genovesi. Nel luglio 1098 il primo principe di Antiochia, Boemondo, figlio del normanno Roberto Guiscardo, concesse ai Genovesi importanti privilegi commerciali e fiscali nel principato. Sulla via del ritorno, in un convento greco della città di Mira in Licia, i marinai genovesi si impossessarono delle reliquie di s. Giovanni Battista, che portarono trionfalmente a Genova nel marzo 1098.
Il fascino delle ricchezze d'Oriente, come anche il prestigio delle più preziose reliquie, determinarono senza dubbio la partecipazione dei Genovesi alle varie spedizioni navali che accompagnarono la prima crociata e la fondazione dei regni latini di Terrasanta (dal 1097 agli anni 1103-1104). Di queste spedizioni l'E. fu sicuramente il rappresentante di gran lunga più illustre, anche se le fonti che lo riguardano sono molto lacunose, visto che si riducono quasi sempre alla testimonianza del genovese Caffaro di Rustico, suo contemporaneo e testimone oculare di una parte degli avvenimenti riportati.
Alla fine del giugno 1099, insieme con Primo di Castello, vediamo entrare l'E. nella città di Giaffa con una minuscola flotta privata: solo due galee secondo gli Annali di Caffaro (il cronista Raimondo d'Agiles parla invece di sei o nove navi, secondo le diverse versioni del testo). In ogni caso il numero ridotto delle navi dell'E. mostra come la sua prima spedizione in Oriente avesse un carattere strettamente privato. Ma, appena varcate le porte di Giaffa, i Genovesi appresero che da Ascalona e dall'estremo sud della costa palestinese stava arrivando una potente flotta egiziana. La sproporzione degli effettivi navali era tale che l'E. non poteva permettersi di sperare in una vittoria sul mare né poteva forzare il blocco. Perciò prese la decisione di far sbarcare gli equipaggi, gli attrezzi e i viveri, di smontare le navi fino all'ossatura e di trasportare per mezzo di carovane il materiale recuperato, legno e cordame in particolare, a Gerusalemme, a una ventina di chilometri verso l'interno. Là si unì ai crociati di Raimondo de Saint-Gilles, conte di Tolosa, che assediavano la città: il loro prezioso materiale fu trasformato in macchine da guerra o in dispositivi da assedio. Il 15 luglio del 1099 Gerusalemme fu presa e l'E. si acquistò la fama di liberatore del Santo Sepolcro.
Nei giorni seguenti l'E. e suo fratello Primo riconquistarono Giaffa. Secondo Caffaro, i Genovesi, che non potevano essere più di 200 0 300 uomini, parteciparono alla grande battaglia navale fra le flotte crociata ed egiziana al largo del porto di Ascalona (12 agosto). Almeno una parte di essi, guidati dai due fratelli, decise di far ritorno a Genova su una galea. Portavano con loro le lettere scritte da Goffredo di Buglione, "difensore del Santo Sepolcro", e dal patriarca Daiberto, che contenevano il racconto degli ultimi avvenimenti in Terrasanta e un pressante appello per l'invio di rinforzi. L'arrivo a Genova sarebbe avvenuto alla vigilia del Natale 1099.
Nel momento in cui l'E. tornò a Genova, i conflitti tra le famiglie della città che avevano fortemente segnato la fine dell'XI secolo, degenerando spesso in situazioni di guerra civile caratterizzata, non erano cessati. Tuttavia, a cavallo tra l'XI e il XII secolo, la nuova istituzione della "Compagna" si stava sempre più affermando come organo di espressione della volontà pubblica della città. Inoltre, il fattore di propulsione costituito dalla prospettiva di poter sfruttare le ricchezze orientali portò i ceti dirigenti genovesi a un momento di pace pubblica per decidere, nel nome della volontà collettiva rappresentata dalla "Compagna", una seconda spedizione in Terrasanta, ben più imponente di quella dell'anno prima. Per scegliere il "consul exercitus Ianuensium" l'accordo fu preso facilmente; tutti convennero sul nome dell'E., soprannominato Testadimaglio ("Caputmallei") e già forte della gloria acquistata, per se stesso e per il Comune, a Gerusalemme. La diversa natura e il carattere per così dire pubblico della nuova spedizione si evince dalla sua stessa entità: secondo gli Annali di Caffaro, c'erano non meno di 26 galee (un altro manoscritto ne indica 27) e 6 navi da carico (nel De liberatione civitatum Orientis, lo stesso Caffaro parla di 26 galee e 4 navi, che rappresentavano molto più del doppio della flotta che era stata riunita tre anni prima e forse c'erano dai 3 ai 4.000 uomini). Si trattava di un gigantesco sforzo collettivo che, nel contesto dei nascenti Comuni italiani, segnava un nuovo slancio della fortuna di Genova nel Mediterraneo.
La partenza della flotta genovese, sulla quale era imbarcato anche il cardinale vescovo di Ostia, nuovo legato pontificio per la Terrasanta, avvenne il 1º ag. 1100. Baldovino di Buglione, fratello di Goffredo di Buglione e pretendente al trono di Gerusalemme, muovendo da Edessa verso la città santa, passò per Laodicea e concordò con l'E. una spedizione nella primavera seguente. La flotta genovese passò l'inverno a Laodicea, da dove effettuò colpi di mano corsari contro alcuni centri costieri tenuti dai musulmani sulla costa sirolibanese. Durante una di queste spedizioni i Genovesi si impossessarono di dodici immense colonne di marmo che ornavano il celebre mausoleo dei Maccabei a Modin, presso Lidda, e che andarono perse durante un naufragio nel golfo di Adalia.
Col mese di marzo 1101 arrivò la stagione della guerra. All'inizio della quaresima la flotta dell'E. lasciò Laodicea e procedette lungo la costa diretta a sud verso il porto gerosolimitano di Giaffa. Giunti all'altezza di Haifa, immediatamente a sud di San Giovanni d'Acri, si imbatterono al largo in una flotta saracena, ma con una manovra la schivarono per evitare il combattimento. Il lunedì di Pasqua arrivarono a Giaffa. In compagnia di re Baldovino, l'E. e gli altri capi genovesi si recarono al Santo Sepolcro e assistettero al miracolo che si rinnovava ogni anno da quando Gerusalemme era in mano agli infedeli: le sacre lampade della chiesa del Sepolcro si illuminavano da sole. I riti del pellegrinaggio terminarono con la tradizionale abluzione nel Giordano. Dopo le devozioni pasquali si passò alle operazioni militari.
Il programma navale comune del re Baldovino e dell'E. prevedeva la conquista, uno dopo l'altro, di tutti i porti palestinesi, cominciando da quelli più vicini a Giaffa, base dei crociati. Se, a Sud, Ascalona, in mano agli Egiziani, era ancora inattaccabile, due porti più modesti militarmente si aprivano a Nord: Arsūf e Cesarea. Il sovrano di Gerusalemme promise ai Genovesi un terzo del bottino delle città conquistate: Arsūf capitolò dopo un assedio di soli tre giorni, il 9 maggio secondo Caffaro. La flotta dell'E. aveva svolto un ruolo decisivo nell'indurre gli abitanti alla resa. Dopo questo successo gli alleati avanzarono verso Nord e posero il blocco a Cesarea nella speranza di ottenerne la resa, ma vi incontrarono una resistenza ostinata. I Genovesi dovettero tirare in secco macchine da guerra e metterle in azione. L'E., questa volta accanto al patriarca di Gerusalemme Daiberto, si rivelò di nuovo un valoroso capo, condottiero di uomini e conquistatore di città. Dopo che l'armata riunita in parlamento ebbe ascoltato l'appello alla guerra santa di Daiberto, l'E. partì da solo all'assalto delle mura nemiche, trascinando con sé i Genovesi e tutto l'esercito crociato. Con l'impiego di macchine da assedio ma anche di semplici corde o scale di barca, segno eloquente della partecipazione genovese, la città fu presa nel mese di maggio 1101, forse il 17 o qualche giorno più tardi. Il bottino fu immenso: più di 1.000 mercanti arabi, che si erano rifugiati nelle moschee, si arresero al patriarca e pagarono il riscatto.
I Genovesi erano lontani dalla loro città da più di dieci mesi, e l'E. e la sua armata decisero, dopo questo successo, di far ritorno in patria. Risalirono la costa siriana fino al porto di Antiochia, San Simeone, dove l'E. fece scalo per concludere accordi con Tancredi, principe di Antiochia, per occuparsi degli interessi genovesi presenti dal 1098 nella metropoli siriana e per procedere alla spartizione dell'enorme bottino di Arsūf e di Cesarea. A questo scopo i soldati e i marinai genovesi tennero parlamento sotto il controllo dell'Embriaco. Il 15% del totale fu tolto per ammortizzare le spese di armamento della flotta, il resto fu diviso fra tutti gli uomini in ragione dell'equivalente, in denaro o in natura, di 48 denari di Poitiers e di 2 libbre di pepe (spezia che veniva usata come moneta e che probabilmente aveva un valore fisso), dopo che erano state fatte "le regalie che furono grandi - precisa Caffaro - ai consoli, ai piloti e agli uomini scelti".
Guglielmo di Tiro, il grande cronista delle crociate della fine del XII secolo, sostiene che i Genovesi portarono da Cesarea il "vas coloris vividissimi, in modo parapsidis formatum" che pareva essere di smeraldo, del quale si diceva fosse stato donato dalla regina di Saba a Salomone e usato dal Cristo durante l'ultima cena e da Nicodemo per raccogliere il sangue del Salvatore crocifisso. La reliquia, conosciuta con il nome di "sacro catino", è un recipiente esagonale di vetro verde, opera forse di artigianato tardoantico: è ancora il pezzo più prezioso del tesoro della cattedrale di S. Lorenzo. Tuttavia il silenzio di Caffaro, testimone diretto e quasi attore di questo preciso periodo della storia genovese in Oriente, fa dubitare che il "sacro catino" sia stato effettivamente portato a Genova da Cesarea in seguito alla spedizione dell'Embriaco. Il bottino del 1101 doveva costituire un risultato importante della campagna condotta dall'E.; ma i successi diplomatici e i trattati commerciali conclusi in Terrasanta avevano una portata ancora più grande. Infatti, debbono essere ancora considerati frutto delle imprese dell'E. il rinnovamento dei privilegi genovesi ad Antiochia nel 1101 e soprattutto quelli accordati ai Genovesi nel 1104 dal re di Gerusalemme.
Verso la fine del luglio 1101, dopo alcune settimane di sosta sulla costa siriana, la flotta genovese riprese il mare. Ma, nel mar Ionio, al largo di Itaca, incontrò una forte squadra navale bizantina, una di quelle che dall'inizio delle crociate pattugliavano le acque greche. Sembra che le due flotte non si siano affrontate. Fecero insieme scalo a Corfù, da dove l'ammiraglio bizantino andò a Costantinopoli accompagnato da ambasciatori genovesi. Mentre la flotta dell'E. attendeva a Corfú il ritorno degli ambasciatori, arrivò una flotta di 17 navi genovesi che andavano a cercare fortuna in Oriente.
Avendo saputo dei grossi bottini di Arsūf e di Cesarea, la flotta ripartì immediatamente alla volta della Terrasanta, sotto la guida di Mauro di Piazzalunga e di Pagano Della Volta, due personaggi potenti all'interno della "Compagna". Come aveva fatto l'E. qualche mese prima, mettendosi al servizio di Baldovino, così essi si misero agli ordini di Raimondo di Saint-Gilles, conte di Edessa, e lo aiutarono nella presa di Tortosa di Siria (marzo-aprile 1102), ottenendo in cambio agevolazioni commerciali. Altra conseguenza tardiva della spedizione dell'E. fu il modo in cui si svolse l'assalto a San Giovanni d'Acri da parte di re Baldovino (marzo 1103): poiché il re non aveva forze navali proprie, mentre la città si giovava degli aiuti marittimi egiziani, dovette attendere e pagare l'aiuto di 40 galee genovesi per assicurare il successo dell'assedio. Inoltre, l'anno seguente, la stessa flotta genovese si mise agli ordini del conte di Edessa e contribuì alla presa di Gibelletto.
Nell'ottobre 1101 la flotta dell'E. fece il suo trionfale rientro a Genova. La città si trovava in quel momento in pace e nel febbraio 1102 la "Compagna" fu rinnovata, questa volta per quattro anni (invece che per tre) e con quattro consoli (invece che con sei). L'E. era uno di questi consoli e con lui ricoprivano questa carica suo padre Guido Spinola e il suo congiunto Ido di Carmandino. Era chiaro, ormai, che l'E. non solo faceva parte del ceto dirigente genovese, ma che andava assumendo una posizione di controllo sulla città, mediante i membri della sua famiglia. Le tracce sicure dell'E. si perdono proprio in questo febbraio 1102.
È molto poco probabile che due personaggi omonimi menzionati nel 1108 e nel 1128 siano da identificare con l'E., così rappresentativo, per lo spirito di intraprendenza e per l'audacia che gli valsero il suo soprannome, degli uomini di mare italiani al servizio delle crociate tra l'XI e il XII secolo.
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