SIRANI, Elisabetta
SIRANI, Elisabetta. – Nacque a Bologna l’8 gennaio 1638. Era la maggiore dei cinque figli dell’artista Giovanni Andrea e di sua moglie Margherita Masini o della Mano, e fu tenuta a battesimo dal senatore Saulo Guidotti.
La formazione culturale di Elisabetta avvenne nella bottega del padre. Allievo di Guido Reni e suo stretto collaboratore, Giovanni Andrea conduceva una delle scuole di pittura di maggior successo e produttività a Bologna, e qui Elisabetta apprese i principi pratici e teorici della sua arte, nonché le tecniche della stampa d’arte, e in particolare le ultime innovazioni dell’acquaforte. Carlo Cesare Malvasia, influente critico, amico di famiglia e biografo della pittrice, di cui promosse l’opera, sosteneva di averne scoperto il talento precoce, facendo in modo che il padre, inizialmente riluttante, istruisse la ragazza e «l’arrischiasse a’ pennelli» (Malvasia, 1678, p. 454).
In quanto donna, Sirani era esclusa dalle lezioni di disegno dal vero tenute dal padre all’Accademia del nudo e nello studio di via Urbana, aperte solo agli studenti maschi. Questo, però, non le impedì di far pratica di disegno anatomico copiando i calchi in gesso di statue antiche e le stampe, i disegni e i dipinti che appartenevano alla collezione paterna o che passarono dal suo studio, dato che Giovanni Andrea oltre a essere pittore, era mercante d’arte e agente dei Medici. Elisabetta avrebbe anche disegnato i suoi familiari dal vivo, un esercizio che la provvide di quel talento adatto poi a dipingere opere narrative e ‘quadretti da letto’ devozionali, prevalentemente Madonne con Bambino o Sacre Famiglie, che la resero famosa. Secondo Malvasia (1678, p. 476), le sue Madonne erano le più belle dai tempi di Guido Reni.
Nella sua città natale Sirani trovò un ambiente fertile per la creatività femminile. Bologna, sede della più antica università d’Europa, era nota per la sua tradizione umanistica di donne erudite nelle arti, nella giurisprudenza e nelle scienze. Era anche la città più importante dello Stato pontificio dopo Roma, e la Controriforma aveva generato un fiorente mercato di opere sacre e ispiratrici di fede, come rivendicato nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane dell’arcivescovo Gabriele Paleotti (Bologna 1582). Questo garantì agli artisti bolognesi, uomini e donne, continue commesse provenienti dalla Chiesa e da mecenati privati che desideravano dipinti religiosi per i loro palazzi. Le famiglie patrizie decoravano le loro residenze anche con quadri di soggetto secolare, mettendo insieme grandi collezioni, mentre l’intellighenzia chiedeva ritratti dei suoi professori più rinomati. La pittrice fu in grado di soddisfare questa domanda con una varietà di generi e temi, dalla pittura di storia alla ritrattistica.
I suoi primi lavori documentati sono pale d’altare destinate a chiese fuori di Bologna. È tuttora possibile ammirare la Beata Vergine col Bambino con i ss. Martino, Sebastiano, Antonio da Padova e Rocco sull’altare maggiore della chiesa di S. Martino nel comune di Trasasso (1655). Il suo primo dipinto firmato e datato tuttora esistente è una ‘mezza figura’ che rappresenta uno dei suoi soggetti prediletti, S. Giovanni Battista (1654, collezione privata). Nei tre anni successivi l’artista dipinse piccoli ritratti, allegorie e quadri di soggetto religioso per la sua famiglia e i suoi amici, ma anche per committenti internazionali come il Martirio dei diecimila crocifissi (firmato, 1656, collezione privata) per «Madama di Mantova» (Sirani, 1678, p. 467), l’arciduchessa Isabella Clara d’Austria.
Nel 1658 Sirani fece il suo debutto pubblico a Bologna con il «quadro grandissimo» (p. 468) del Battesimo di Cristo per la chiesa di S. Girolamo della Certosa (firmato e datato), una composizione magistrale con molti personaggi che misura 5×4 metri e per cui ricevette la cospicua somma di 1000 lire. Sempre nel 1658, il suo Autoritratto come allegoria della Pittura (firmato, Mosca, Museo Puškin), dipinto per un notaio del vescovado, mostra una notevole padronanza del mezzo pittorico e una superba orchestrazione cromatica considerata la giovane età dell’artista, appena ventenne.
L’élite bolognese iniziò presto ad apprezzarla e a commissionarle soprattutto ritratti allegorici (Ortensia Leoni Cordini come s. Dorotea, firmata, 1661, Madison, Wisconsin, Chazen Museum of art; La contessa Anna Maria Ranuzzi Marsigli ritratta come la Carità, firmata, 1665, Bologna, Fondazione Cassa di risparmio). I suoi committenti comprendevano mercanti e nobili, ecclesiastici e accademici, oltre a membri di casate regnanti, come i principi Medici (Madonna col Bambino e le ss. Margherita ed Elisabetta d’Ungheria, 1661, Roma, S. Lorenzo in Fonte; Amorino trionfante, 1661, Bologna, collezione privata; Allegoria della Giustizia, della Carità e della Prudenza, firmata, 1664, Comune di Vignola) e il re di Polonia. Alcuni divennero suoi protettori, come il senatore marchese Ferdinando Cospi (Vincenzo Ferdinando Ranuzzi come Amore, firmato, 1663, Varsavia, Museo nazionale; Galatea, firmata, 1664, Modena, Museo civico) e il conte Annibale Ranuzzi (Venere e Cupido, firmata, 1664, Modena, Collezione Loris Zanasi).
Sirani aveva una speciale attitudine per la pittura storica con donne come protagoniste principali, e molte di queste opere le vennero richieste dalla ricca classe mercantile di Bologna, come il banchiere Andrea Cattalani (Giuditta con la testa di Oloferne, firmata, 1658, Stamford, Burghley House, e Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno, firmata, 1659, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) o l’imprenditore della seta Simone Tassi (Porzia in atto di ferirsi una coscia, firmata, 1664, Bologna, Fondazione Cassa di risparmio). I contemporanei si accorsero della sua inventiva e dell’insolita iconografia di queste rappresentazioni di eroine, femmes fortes della storia classica e biblica, della mitologia e della letteratura (Iole, firmata, 1662, Bologna, Fondazione Cassa di risparmio; Cleopatra, 1663 circa, Flint Institute of arts, Michigan; Dalila, in due versioni, 1659 e 1664, entrambe firmate e in collezioni private; Circe, firmata, 1664 circa, Modena, Collezione Loris Zanasi), che la pittrice ritraeva come personaggi storici e politici attivi, figure volitive, coraggiose e nobili. Trovava ispirazione per queste opere nello studio dei classici e dei libri di storia, nei manuali di teoria dell’arte, nelle opere di letteratura e nell’Antico Testamento, tutti testi presenti nella ricca biblioteca paterna.
Nel 1660 la pittrice venne eletta professore a pieno titolo dell’Accademia d’arte di San Luca a Roma, segno che ormai era considerata una ‘maestra’ professionista in grado di dirigere un proprio studio e di insegnare. La Sirani diventò anzi ‘capomaestra’ (1660-62 ca.) della bottega del padre, quando questi smise di dipingere a causa della chiragra (gotta) che gli deformò malamente le mani. Eclissando il genitore per qualità, produzione e popolarità – come indicato dal valore di mercato delle sue opere, superiore a quello del padre – assunse gli apprendisti e gli assistenti paterni, alcuni dei quali diventarono copisti della sua opera pittorica e incisoria originale.
Il marchese Cospi, riconoscendo il nuovo status professionale della Sirani, scrisse che Elisabetta era il principale sostegno economico della ditta familiare: «la figliola la quale in oggi qui è ritenuta maestra, et è lei che mantiene con sua lavori tutta la sua numerosa famiglia» (lettera a Leopoldo de’ Medici, 19 agosto 1662, Archivio di Stato di Firenze, Carteggio d’artisti, XVI, c. 348r). All’incirca nello stesso periodo in cui assunse la direzione della bottega di famiglia, Sirani realizzò il celebre Autoritratto mentre dipinge il padre Giovanni Andrea (1660, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage), che è stato a lungo considerato perduto e che è una delle due versioni dipinte per gli Hercolani e i Polazzi. L’opera la raffigura nel ruolo di artista maestra, mentre il padre diventa il soggetto della sua arte (in un rovesciamento dei ruoli di genere).
Avere un padre artista come insegnante e agente probabilmente l’aiutò ad affermarsi come pittrice di successo in una professione dominata dagli uomini. All’epoca, infatti, la maggior parte delle donne che intraprendevano una carriera professionale nelle arti potevano contare su un parente uomo che insegnava loro nella bottega di famiglia. Sirani, però, sviluppò presto un nuovo modello pedagogico, secondo cui ragazze figlie di nobili e di artisti imparavano a disegnare e dipingere da un’artista donna, invece che dai rispettivi padri, mariti o fratelli. Elisabetta è dunque una figura rivoluzionaria, una delle prime artiste che, fuori dall’ambito conventuale, riuscì a fondare una scuola d’arte professionale per studentesse, tra cui le sue due sorelle minori Barbara e Anna Maria, e la nobildonna Ginevra Cantofoli, divenuta sua assistente nel 1656. Malvasia (1678) scrive che diverse ragazze e giovani donne bolognesi «seguono l’esempio di questa tanto degna pittrice» (p. 487), elencando in totale undici artiste di professione.
Sirani fu anche una delle poche artiste bolognesi a firmare frequentemente le sue opere – in un tempo in cui le firme femminili avevano scarso valore giuridico – ideando modi creativi di affermare le proprie identità e autorevolezza artistica (per esempio inserendo il suo nome ‘ricamato’ su cuscini o bottoni all’interno dei dipinti). La pittrice impiegò varie strategie di autopromozione, permettendo ai clienti di guardarla lavorare nella sua bottega-galleria ed esponendo le opere finite per sottoporle a una ‘verifica pubblica’ prima di consegnarle ai committenti. Inoltre documentò dettagliatamente la propria produzione artistica in un diario di lavoro, Nota delle pitture fatte da me Elisabetta Sirani, pubblicato da Malvasia nella sua Felsina pittrice del 1678 (pp. 467-476). Si tratta di un documento estremamente utile per ricostruire il suo corpus, dato che l’autrice descrive con cura ogni opera e il soggetto rappresentato dal 1655 al 1665, indicando anche il nome del committente (sono elencate più di centosettanta commesse per un totale di centodieci clienti, e altre ce ne sono che non vi compaiono).
Elisabetta portò a termine, nei suoi undici anni di carriera, circa duecento dipinti, quindici incisioni e innumerevoli disegni e schizzi ad acquerello. Ciò significa una media di venti tele all’anno, numero notevole per qualunque artista. Sommamente prolifica, e dotata di grande velocità e facilità d’esecuzione, Sirani era stimata per la sua bravura e il suo virtuosismo tecnico, ciò la rese artista tra le prime a essere riconosciuta dai colleghi e dai critici dotata di qualità considerate all’epoca esclusivamente maschili come ‘genio’ e ‘invenzione’.
Il pittore toscano Volterrano la considerava «il meglior pennello che fosse ora [1662] a Bologna» (Goldberg, 1983, p. 42), mentre secondo Malvasia (1678) ella dipingeva con «franchezza» e «prontezza», e la sua arte «ebbe del virile e del grande», lavorando «più che da uomo» (pp. 454, 478). E in effetti Sirani, attenta al classicismo barocco di Guido Reni che non mancò di trasmettere agli allievi, mostra nelle sue tele erudite uno stile pittorico personale ed espressivo dalle pennellate ampie e dall’impasto fluido, insieme a un colorito intenso e a un chiaroscuro accentuato. L’utilizzo del metodo guercinesco del ‘macchio fondo’, che consiste nel lavorare direttamente sulla tela con macchi di colore, la colloca nella tradizione neoveneziana. Questa ‘sprezzata disinvoltura’ era evidente anche nei suoi disegni, nei quali Sirani sviluppò una tecnica fatta di rapide pennellate d’inchiostro in cui le luci e le ombre compositive parevano essere create contemporaneamente, con economia di tratto: «ne faceva apparire ben presto la spiritosa invenzione, che si poteva dire senza segni disegnata, ombrata, ed insiem lumeggiata tutto in un tempo» (Malvasia, 1678, p. 479, riferendosi al Disegno preparatorio per il Battesimo di Cristo, 1657, Vienna, Graphische Sammlung Albertina).
Elisabetta non si sposò mai, rimase un’artista lavoratrice nubile preferendo le soddisfazioni della carriera al matrimonio e alla vita familiare. Quando raggiunse la maturità artistica, tra il 1662 e il 1664, era ormai diventata uno degli artisti più rispettati, influenti e di successo a Bologna, tanto da eclissare persino la popolarità del Guercino, il quale ebbe meno commesse della giovane pittrice a partire dal 1664, anno in cui l’una realizzò trentadue opere documentate, e l’altro soltanto cinque.
L’ultima sua opera conosciuta è la bellissima Madonna del cuscino (firmata, 1665, Bologna, collezione privata) dipinta per Enrichetta Adelaide di Savoia, duchessa di Baviera. Sappiamo per certo che la giovane artista era al lavoro su commissione della granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere e dell’imperatrice Eleonora Gonzaga quando si ammalò a metà del 1665, lamentando gravi sofferenze di stomaco.
Morì il 28 agosto 1665, tra voci di avvelenamento (che costarono un lungo processo a Lucia Tolomelli, domestica della famiglia). Invece, come stabilirono due autopsie, il decesso avvenne per cause naturali, identificabili dalla scienza moderna con una peritonite dovuta a un’ulcera gastrica perforata. Il 14 novembre 1665 la «pittrice eroina» di Bologna (Malvasia, 1678, p. 455) venne commemorata dalle personalità cittadine con un funerale pubblico solenne nella chiesa di S. Domenico, dove fu sepolta nella cappella del Rosario, di patronato della famiglia Guidotti, accanto alla tomba di Guido Reni.
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