SALERNO, Elisa
– Nacque a Vicenza il 16 giugno 1873 da Antonio e da Giulia Menegazzi, sesta di nove figli, dei quali sopravvissero solo la sorella maggiore Maria ed Elisabetta, appunto, presto chiamata Elisa.
Il padre, figlio di fittavoli benestanti, aveva avviato un’attività in proprio come commerciante di granaglie, per poi acquistare un mulino e aprire un negozio di pane e pasta in Borgo Santa Lucia, in locali di proprietà della moglie: grazie ai proventi di queste e altre attività, fino alla Grande Guerra la famiglia godette di condizioni di sostanziale agiatezza. Cattolici devoti e praticanti, entrambi i genitori mostrarono anche una certa apertura al mondo della cultura: la madre era assistente nelle scuole elementari femminili e insegnante di catechismo; il padre non negò il suo sostegno agli interessi e alle imprese culturali della figlia.
Per problemi di salute, Elisa si iscrisse con due anni di ritardo alle scuole elementari, frequentando l’istituto privato Antonio Farina, retto dalle suore maestre di S. Dorotea, per poi interrompere gli studi al terzo anno e ripresentarsi solo all’età di quindici anni per frequentare la classe quinta. Inizialmente attratta dall’idea di iscriversi alle scuole normali, nei fatti Elisa continuò da autodidatta la formazione, studiando latino, storia, filosofia, francese e tedesco. Alla fine degli anni Ottanta avviò la partecipazione alle forme dell’associazionismo religioso femminile esistenti presso la parrocchia di Araceli e il convento francescano di S. Lucia di Vicenza: dal 1891 aderì al ramo femminile del Terz’ordine francescano, manifestando – intorno ai vent’anni – il desiderio di entrare nell’Ordine delle monache clarisse, dove fu però rifiutata per le precarie condizioni di salute.
Con l’adesione nel 1896 alla Società cattolica femminile di mutuo soccorso di S. Anna si aprì per Salerno un nuovo percorso di studio e impegno nell’ambito dell’azione cattolica sociale. Entrò in contatto con esponenti del movimento di orientamento democratico-cristiano e si avvicinò progressivamente all’area del femminismo cristiano, sorto anche in Italia in analogia con esperienze francesi e facente capo al gruppo milanese del fascio democratico-cristiano femminile di Angiolina Dotti, Pierina Corbetta, Adelaide Coari. Dopo una conferenza nel 1903 alle Figlie di Maria della sua parrocchia, considerata l’inizio della sua attività pubblica, nel 1905 avviò la collaborazione con il periodico locale di orientamento democratico-cristiano Il Vessillo bianco, promosso da don Attilio Caldana, sostenitore di strutture protosindacali confessionali come le Unioni professionali. Negli stessi mesi, insieme a Elena Da Persico, dalle colonne del periodico Azione muliebre Salerno intervenne sulla vicenda della mancata costituzione di un’organizzazione femminile cattolica nazionale, causata dallo scioglimento dell’Opera dei congressi (dove monsignor Giacomo Radini Tedeschi aveva già avviato il progetto) e dai nuovi indirizzi dell’enciclica Il fermo proposito, che avevano determinato la nascita dell’Unione popolare, dell’Unione economico-sociale e dell’Unione elettorale, ma non di un’unione femminile.
L’interesse per l’attività giornalistica e soprattutto l’implosione nel 1906 dell’esperienza del Vessillo bianco la portarono a collaborare anche al quotidiano Il Berico, espressione dell’intransigentismo locale, ma fu presto costretta a porre fine ai suoi interventi per incompatibilità con la linea editoriale del giornale.
L’esperienza dei contrasti interni al mondo cattolico vicentino, il comportamento considerato farisaico degli ambienti conservatori e i diffusi pregiudizi antifemminili al loro interno trovarono spazio nel 1908 nel suo primo romanzo, pubblicato sotto lo pseudonimo di Lucilla Ardens: Un piccolo mondo cattolico fu subito fatto segno degli attacchi di ampi settori del movimento cattolico e del clero della diocesi di Vicenza, inducendo l’autrice (dopo un tentativo di ottenere appoggio da parte di Giuseppe Toniolo) a fare atto di pentimento e ad accettare poi la sistematica azione di controllo e censura ecclesiastica sul giornale cui dette vita. Il 24 settembre 1909, infatti, uscì il primo numero del suo periodico (settimanale, poi quindicinale) La Donna e il lavoro, che con il sottotitolo di Giornale delle classi lavoratrici femminili lasciava chiaramente intendere il suo orientamento democratico-cristiano e ‘femminista’, cioè capace di convergenze con le battaglie del movimento emancipazionista laico, come peraltro avevano fatto nel 1907 Adelaide Coari e il gruppo del femminismo cristiano con il Programma minimo femminista. Il giornale, che poggiava sul finanziamento paterno e sul sostegno di un gruppo di sottoscrittori tra cui Antonio Fogazzaro, poteva contare inizialmente su circa duecento abbonamenti; esso nasceva proprio negli stessi mesi in cui si decideva la nascita della prima organizzazione di azione cattolica femminile, l’Unione fra le donne cattoliche d’Italia, che Salerno aveva auspicato fin dal 1905, sostenendone poi la diffusione e vagheggiando per qualche tempo l’assunzione del suo periodico a organo della neonata struttura.
Delusa in questa aspettativa, mentre il suo giornale sul piano politico generale esprimeva posizioni favorevoli all’intervento in Libia e poi allo sforzo nazionale nella guerra mondiale, Salerno maturava una nuova importante svolta. Dopo una profonda crisi spirituale generata dallo studio diretto delle teorie di Tommaso d’Aquino in relazione alla natura femminile, compose nel 1916 l’opuscolo Per la riabilitazione della donna in cui denunciava l’antifemminismo della patristica e della scolastica, rivolgendosi a Benedetto XV – dedicatario dell’opera – perché intervenisse promuovendo una revisione complessiva della dottrina cattolica in materia.
A fronte dell’indifferenza della gerarchia, l’anno successivo Salerno diede alle stampe lo scritto, dove tra l’altro accusava l’Unione fra le donne cattoliche d’Italia di mancanza di autonomia, provocando una nuova bufera di polemiche e reazioni a suo danno. Nel luglio del 1917 il suo periodico fu ufficialmente sconfessato dall’ordinario vicentino, monsignor Ferdinando Rodolfi, e privato di ogni forma di sostegno diretto e indiretto. Dopo un tentativo di chiarimento fallito, Salerno decise di fare un’altra volta atto di sottomissione all’autorità ecclesiale. La nuova frattura, tuttavia, con la sospensione dall’accesso ai sacramenti, la convinse progressivamente a dare vita a una nuova esperienza giornalistica, che si concretizzò nel dicembre del 1918 con la trasformazione della precedente testata in Problemi femminili. Periodico nazionale delle operaie, impiegate, professioniste (dal dicembre 1925 il sottotitolo divenne Organo del femminismo cristiano per la redenzione della personalità della donna) che affrontava tematiche ad ampio raggio sulla cittadinanza femminile, dal suffragio alla lotta alla moda «indecente», dall’abolizione dell’autorizzazione maritale alla parità di salario: non a caso, insieme a Giuseppina Novi Scanni, Salerno fu l’unica cattolica ad avere un ruolo esplicito al congresso dell’Alleanza internazionale pro suffragio femminile, tenutosi a Roma nel maggio del 1923.
Continuando a criticare in modo sempre più netto il ruolo della Chiesa verso le donne sia sul piano dottrinale sia su quello fattuale, aggrappata sempre più alla sola «mistica Fune» costituita da Cristo (Centro documentazione e studi Presenza donna, 2002, p. 122), nel 1921 Salerno diede alle stampe sia l’opuscolo Pro muliere. Programma di studio e azione, in cui prospettava una sorta di regolamento morale per un’associazione cattolica femminista, sia il romanzo Al bivio, in cui illustrava il dissidio femminile tra la prospettiva del matrimonio e della maternità e la scelta, alla fine vincente, dell’impegno sociale. Dopo la stesura delle regole di un potenziale istituto secolare nell’Unione delle Vergini di Nostra Signora della Mercede, che manifestava anche la sua speciale devozione alla Vergine come aiuto «in difesa della santa Causa della donna» (ibid., p. 53), nel 1924 seguì il volume Dottrina cristiana sulla donna sotto forma di domande e risposte, che – pur adottando la formula canonica dell’insegnamento catechistico – voleva essere una sorta di correttivo alle dottrine antifemministe della Chiesa.
Il conflitto con le autorità ecclesiastiche si riaprì nel 1925, quando dalle colonne del suo Problemi femminili Salerno passò alla critica esplicita nei confronti del commento ai testi sacri di monsignor Antonio Martini e del catechismo per le scuole elementari dello stesso vescovo Rodolfi. Nonostante la nuova proibizione ufficiale alla stampa del periodico, nel marzo del 1925, e nonostante i vari interventi censori subiti sia da parte ecclesiale sia da parte civile, Salerno continuò per altri due anni la pubblicazione. Dicendosi «devota al Regime» (ibid., p. 255) si rivolse anche a Benito Mussolini, sottolineando il danno che proprio in chiave patriottica l’antifemminismo poteva costituire. La riflessione teologica e spirituale maturata in questi anni trovò spazio nel 1926 nell’organico saggio, in due volumi, Commenti critici alle note bibliche antifemministe in cui, oltre a riprendere la critica al catechismo dell’ordinario vicentino, collocava un’appendice sul canto liturgico delle donne, contro il divieto canonico al canto femminile nella musica sacra.
Dal 1927, per circa un ventennio, Salerno preferì non dare più nulla alle stampe, pur stendendo una serie di scritti, in particolare sull’antifemminismo del pontificato di Pio XI, che dopo l’elezione al soglio pontificio di Eugenio Pacelli pensò di far conoscere al nuovo papa; a Pio XII si rivolse in più occasioni anche per segnalare aspetti a suo avviso critici della stessa pastorale papale. Riprese a far sentire pubblicamente la sua voce nel 1946, rivolgendosi ad alcuni deputati democratico-cristiani alla Costituente e all’onorevole Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75, per criticare la formulazione di alcuni articoli del progetto costituzionale in relazione alla cittadinanza femminile. Con lo pseudonimo di Maria Pasini nel 1950 pubblicò ancora un romanzo, Le tradite, con cui espresse il suo sostegno alla battaglia per l’abolizione delle case chiuse anche contro certi atteggiamenti di parte cattolica, giudicati sibillini, e una serie di scritti a carattere teologico-spirituale, di cui i più importanti sono: Storia della musica sacra in rapporto al diritto delle donne (1947), La donna in San Paolo (1952) e Porrò inimicizia tra te e la donna (1954).
Morì a Vicenza, ormai povera e consumata dalle malattie, il 15 febbraio 1957.
Fonti e Bibl.: La maggior parte delle fonti relative all’attività di Elisa Salerno sono conservate a Vicenza, all’interno del Fondo Salerno presso il Centro documentazione e studi Presenza donna, promosso dalle suore orsoline del Sacro Cuore di Maria.
F.M. Cecchini, Il femminismo cristiano: la questione femminile nella prima democrazia cristiana, Roma 1979; Il femminismo cristiano di E. S. e le sue prospettive, Vicenza 1988; E. Vicentini, Una Chiesa per le donne: E. S. e il femminismo cristiano, Napoli 1995; Centro documentazione e studi Presenza donna, Una penna inquieta. Lettere scelte di E. S., Padova 2002; L. Gazzetta, Fede e fortezza. Il movimento cattolico femminile tra ortodossia ed eterodossia, in Donne sulla scena pubblica. Società e politica in Veneto tra Sette e Ottocento, a cura di N.M. Filippini, Milano 2006, pp. 218 ss.; M. Vaccari, Lavoratrice del pensiero. E. S., una teologa ante litteram, Torino 2010.