Egitto
Secondo la concezione, comunemente accettata ai tempi di D., la gran secca (If XXXIV 113) era divisa in tre parti. L'abitabile era comunemente rappresentato in ecumeni circolari, all'interno dei quali la metà superiore della terra emersa era occupata dall'Asia, la metà inferiore dall'Europa e dall'Africa, divise dalla linea del Mediterraneo, ossia dall'asta verticale di una T, di cui l'asta orizzontale rappresentava la linea Tanai (Don)-Nilo (G. Villani Cron. I 3). Con l'accettazione di quest'ultima linea di confine, la parte dell'E. che si trova a oriente del Nilo era attribuita all'Asia anziché all'Africa. Si trattava comunque soltanto di una parte, per di più meno estesa del territorio a occidente del fiume, e non, come afferma il Moore, di tutto l'Egitto.
Il Revelli pone in discussione (Italia 44-45), in modo peraltro estremamente dubitativo, l'eventualità che D. si sia servito della carta portolanica del Mediterraneo orientale costruita dal Vesconte e datata 1311. Secondo il Casella, invece, la principale fonte di D. fu Orosio. Numerose sono le citazioni dell'Egitto.
In If V 60 è indicato come la terra che 'l Soldan corregge, governa (cfr. anche If XXVII 90, ma qui con significato più ampio), e sulla quale aveva regnato Semiramide (v.). Per If XXIV 90, alcuni intendono che ciò che di sopra al Mar Rosso èe è l'E. (Lombardi), altri che è l'insieme di Libia, Etiopia ed E. (Torraca, Del Lungo, Porena), altri il deserto d'Arabia (Casini-Barbi, Casella), altri, e forse questa è la versione più accettabile, tutti i deserti contornanti il Mar Rosso (Mattalia). Ancora all'E. allude il Nil caldo di Pd VI 66.
Le citazioni della Monarchia sono in funzione dei personaggi: in II VIII 5 è ricordato il re d'E. Vesogi; in II VIII 8, che non lungi dall'E. morì Alessandro; in II VIII 9 che vi regnò Tolomeo Lageo.
Citazioni allegoriche sono invece quelle di Pd XXV 55 La Chiesa militante alcun figliuolo / non ha con più speranza, com'è scritto / nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: / però li è conceduto che d'Egitto / vegna in Ierusalemme per vedere, / anzi che 'l militar li sia prescritto, ove l'E. sta a indicare l'esilio, la schiavitù, in contrapposizione a Gerusalemme che sta a indicare la patria, la libertà; quella di Pg II 46 ‛ In exitu Isräel de Aegypto ' [inizio del salmo CXIII] / cantavan tutti insieme ad una voce / con quanto di quel salmo è poscia scripto, ove l'uscita degli Ebrei (v.) dall'E. è in analogia con la condizione delle anime approdanti ai lidi del Purgatorio. È D. stesso che, nell'epistola a Cangrande (XIII 21), fornisce la chiave per interpretare la seconda delle due citazioni: Qui modus tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis versibus: " In exitu Israel de Aegipto, domus Iacob de populo barbaro, facta est Iudaea sanctificatio eius, Israel potestas eius ". Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Aegipto, tempore Moysis; si ad allegoriam, nobis significatur nostra redemptio facta per Christum; si ad moralem sensum, significatur nobis conversio animae de luctu et miseria peccati ad statum gratia; si ad anagogicum, significatur exitus animae sanctae ab huius corruptionis servitute ad aeternae gloriae libertatem; e torna sull'argomento, anche se più brevemente, in Cv II I 6. Infine in Cv II XIV 2 Dico che lo Cielo stellato ci mostra molte stelle: ché, secondo che li savi d'Egitto hanno veduto, infimo a l'ultima stella chè appare loro in meridie, mille ventidue corpora di stelle pongono, di cui io parlo, D. appropria agli Egiziani (v. anche EGIZIO) ciò che Alfragano dice in genere dei sapienti che osservano a parte meridie.
Da ricordare, infine, che molti avvenimenti d'E. del XII e del XIII sec. sono narrati da Salimbene nella sua Cronica.
Bibl. - P.L. Rambaldi, recens. a E. Moore, Studies in D. - III Series: Miscellaneous Essays, Oxford 1903, in " Bull. " XII (1905) 202; M. Casella, Questioni di geografia dantesca, in " Studi d. " XII (1927) 76; O. Baldacci, Ecumeni ed Emisferi circolari, in " Boll. Soc. Geogr. It. ", s. 9, VI (1965) 8-9.
Fortuna di D. in Egitto. - Il primo studio in arabo su D. apparso in E. è il libro di Taha Fawzi (v.), Dante Alighieri, 1930, II ediz. 1965; operetta divulgativa sulla vita e l'opera del poeta, largamente fondata su un libro di E. Janni e dovuta alla penna di un entusiasta volgarizzatore italianizzante. Un po' per effetto di essa, ma soprattutto sulla scia degli studi di Asín Palacios, e a partire dal 1949 sulla scoperta del Libro della Scala (v.) sono apparsi in E. numerosi saggi, di più o meno qualificati autori, sul poeta e gli asseriti suoi rapporti col mondo dell'Islàm: ricordiamo fra essi gli articoli di Mahmūd Ahmad an-Nashaw su al-Ma'arri e D. sulla rivista ar-Risāla del 1934, quello sullo stesso tema e sede di Darini Khashaba nel '36, i capitoli su Beatrice di Muhammed Mandūr nell'opera Namādhig bashariyya (" Modelli di umanità ") del '51, le pagine della Bint ash-Shātī nel suo libro sulla Risālat al-ghufrān di al-Ma‛ arri (Cairo 1954), notevoli per il retto senso storico con cui ella confuta le corrive asserzioni sulla diretta conoscenza e dipendenza del poeta italiano dal musulmano di Siria. Fra tutti questi studiosi occasionali e spesso dilettanteschi, spicca ora in E. l'opera di un dantista professionale, Hasan Osmān (v.), dedicatosi appassionatamente allo studio e al culto del poeta, e autore della prima scientifica e completa versione araba del poema (Inferno, Cairo 1959; Purgatorio, ibid 1964; Paradiso, ibid 1969). Con questa ardua e coscienziosa fatica, anche se di una vox clamantis in deserto per la scarsa conoscenza della lingua e cultura italiana, e l'impreparazione storica ed estetica della media cultura locale al retto apprezzamento della Commedia, l'E. ha acquistato oggi un primato in tutto il mondo arabo nel campo degli studi danteschi.