PARENTI, Efre
(detto Rino). – Nacque a Milano il 13 luglio 1895 da Giovanni Battista, cocchiere, e da Luigia Zigiotti (Ziggiotti o Zergiotti): Rimasto orfano di entrambi i genitori, crebbe in una famiglia di umili origini.
Non è noto quando abbia sposato Lavinia Gallini, nata il 3 agosto 1906 a Castel Nuovo Veneto (Treviso), né se abbiano avuto figli. Certo è che combatté nella prima guerra mondiale, che fu congedato con il grado di sottotenente di artiglieria e insignito di una medaglia di bronzo al valore militare e una croce di guerra.
Autista prima dell’avvento del fascismo, si iscrisse il 1° giugno 1919 al Fascio milanese e fu tra i promotori de la «Volante», prima squadra d’azione in città. Nel 1922 fondò e diresse l'organizzazione sindacale milanese dei conducenti di automobili pubbliche. La partecipazione alla marcia su Roma (28 ottobre 1922), l’ingresso nel direttorio del Fascio di combattimento di Milano nel 1922, la nomina a vicesegretario dello stesso Fascio nel 1923 e a vicesegretario della Federazione milanese nel 1924, furono alla base – unitamente al legame con Achille Starace – della sua rapida carriera politica.
Nel 1928 Starace fu inviato a Milano da Benito Mussolini, come commissario straordinario per condurre un’epurazione nella Federazione guidata da Mario Giampaoli, accusato di tollerare o comunque di non saper controllare gli atti di violenza dello squadrismo milanese. Poiché Parenti fornì a Starace un dossier in cui accusava Giampaoli di irregolarità, non fu toccato da alcun provvedimento disciplinare; anzi, ottenne prima un impiego alla Citroën e poi, dal 1931 al 1933, la carica di presidente del dopolavoro di Milano forte di circa 250.000 tesserati.
Il 26 giugno 1933 Parenti fu nominato federale della città, ruolo che ricoprì fino al 1° gennaio 1940.
La sua nomina fu accolta positivamente da chi vedeva in lui un figlio dello squadrismo, ma pure un freno alla presenza di Starace, da chi confidava nella sua attività al dopolavoro milanese perché le masse si avvicinassero di più al partito e, non ultimo, da alcuni ex collaboratori di Giampaoli premiati, per questo appoggio, con incarichi di rilievo. Contrari furono, invece, quanti dubitavano delle sue capacità politiche innovatrici, i settori più violenti dello squadrismo che lo ritenevano troppo moderato, i professionisti e i commercianti industriali per la sua vicinanza agli ambienti operai.
Considerata la sua «limitatissima cultura», «un certo suo vizio di bere» (Nota riservata firmata 'Otto', Genova 24 giugno 1933, in Acs, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 48), la sua fosca reputazione – già proprietario di un locale pubblico frequentato da prostitute, era noto per aver ottenuto rappresentanze esclusive della Montecatini concimi e della benzina Agip nella provincia di Crema avvalendosi di ricatti e non ultimo per essersi arricchito in modo non trasparente –, la sua nomina fu da alcuni spiegata come una mossa di Starace per premiare «l’uomo che seppe tradire Mario Giampaoli» (ibid.).
Nonostante gli sforzi per attuare una politica volta alla normalizzazione del turbolento fascismo milanese, molti continuarono a considerarlo un traditore e a ostacolarlo con calunnie varie come quella di essere vicino ad ambienti pederasti. Altro avviso espresse invece Galeazzo Ciano – «Parenti lavora bene ed è un camerata fatto ad immagine e somiglianza di Starace» (Ciano, 2006, p. 66) – favorevolmente colpito dalla capacità di gestione mostrata durante la visita a Milano del primo ministro di Jugoslavia Milan Stojadinovich nel dicembre 1937 e da quella del ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop nel maggio 1939.
Un primo campanello di allarme del suo declino politico si avvertì in occasione della vicenda legata all’omelia del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, il 13 novembre 1938, e percepita come un chiaro segno di condanna alla politica antisemita del regime. Sebbene il federale avesse chiesto la sostituzione del direttore del giornale che ne aveva pubblicato il testo, arrivando a minacciarne la chiusura, ciò non bastò a ripararlo dalle esplicite critiche di Mussolini. La sostituzione di Starace alla segreteria del Partito Nazionale fascista (PNF), il 31 ottobre 1939, determinò la fine della sua carriera politica, accelerata anche dal violento scontro con il prefetto Giovanni Battista Marziali a causa delle continue intemperanze degli squadristi. Ciononostante, il 22 giugno 1940, fu nominato per meriti politici prefetto a disposizione per due anni; poco prima era stato nominato presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), carica che mantenne dal dicembre 1939 al 4 dicembre 1940, e poco dopo dell’Opera nazionale dopolavoro (novembre 1940 - agosto 1942).
Parenti mantenne la carica di membro del direttorio nazionale del PNF (24 dicembre 1934 - 29 agosto 1942) e di consigliere nazionale della Camera dei fasci e delle corporazioni (11 marzo 1939 - 29 agosto 1942). Dal 1° settembre 1942 al 1° agosto 1943 fu prefetto di Como e, dopo il 25 luglio 1943, collocato a riposo insieme ad altri ventuno prefetti fascisti.
Avendo aderito alla Repubblica Sociale Italiana (RSI), il 1° ottobre 1943 fu di nuovo nominato prefetto, questa volta di Sondrio dove rimase fino all’aprile 1945. Durante la sua reggenza fu coinvolto in due tragici fatti: l’arresto, l’11 dicembre 1943, di undici ebrei che cercavano di fuggire in Svizzera e che vennero, invece, consegnati alla Questura di Milano (dalla quale furono deportati prima al campo di Fossoli e poi a quello di Auschwitz), e la rappresaglia di civili del 6 aprile 1945 nella frazione di Sassella e Triasse ordinata dal generale Onorio Onori – comandante della Brigata Nera Garibaldi e di tutte le forze armate della Valtellina – per vendicare tre fascisti uccisi in un’imboscata partigiana. Arrestato il 28 aprile, Parenti fu tradotto nel carcere di via Caimi a Sondrio e interrogato dall’ufficiale di polizia partigiana Nazareno Pillittieri (Ennio), mentre la sua villa a Como fu presa d’assalto. Poiché era stato un prefetto non di carriera ma politico fu estromesso dai ruoli prefettizi. Finì, con Onori, davanti alla Corte d’assise straordinaria di Sondrio presieduta dal consigliere di cassazione Ostilio Zezza e da giudici popolari provenienti dalle formazioni partigiane della divisione alpina Valtellina. Il 16 giugno fu condannato a venticinque anni di reclusione, poi ridotti a dieci, all’interdizione perpetua dei pubblici uffici e alla confisca dei beni per il delitto di collaborazionismo, ma di lì a un anno poté beneficiare degli effetti dell’amnistia proposta dal ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti (decreto del 22 giugno 1946). Parenti fu liberato l’8 luglio 1946 e, due anni dopo, gli fu condonata per amnistia anche la sanzione della perdita del diritto alla pensione.
Ancora detenuto nelle carceri di Sondrio, fu oggetto di un’indagine che, senza portare ad alcun esito, gettò un’ulteriore ombra sulla sua figura. Su richiesta della signora Maria Giovanna Bergamini, che lo aveva aiutato nel maggio 1945 fornendogli l’avvocato difensore e provvedendo al pagamento dell’onorario di questi, furono effettuate indagini sull’esistenza di un certo quantitativo di oro e di argento del valore di circa cento milioni che, secondo la donna, l’ex gerarca aveva occultato. Il prefetto di Sondrio stabilì, invece, che Parenti versava in precarie condizioni di salute – «soggetto morfinomane, presenta scompensi cardiaci, è affetto da ernia inguinale bilaterale, calcosi renale e artrite diffusa» (Comunicazione del prefetto di Sondrio, del 20 aprile 1946, in Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Servizi informativi e sicurezza, b. 162) –, che non risultava avesse occultato preziosi, che viveva in pessime condizioni finanziarie e aggravato da un debito di 40.000 lire. La fonte di tali notizie fu individuata in un’altra donna, Rosetta Sacchi in Bergamini e nell’avvocato Antonio Bena, già difensore di Parenti nel 1945. Il legale negò di essere a conoscenza dei fatti e l’accusa non fu provata, ma il dubbio restò; nel 1935 Parenti aveva infatti subito un’inchiesta da parte della Prefettura di Milano, sull'appropriazione indebita di un quantitativo non irrilevante di fedi offerte in occasione della guerra di Etiopia: fino al 12 ottobre 1944 aveva lasciato in deposito presso la sede milanese del Banco Monte dei Pegni un pacco sigillato del valore dichiarato di 100.000 lire.
A settembre 1946, su proposta del prefetto di Sondrio, Parenti fu schedato come ex gerarca nel Casellario politico centrale e sottoposto a «normale vigilanza». A luglio si trasferì a Modena, dove chiese momentanea ospitalità alla famiglia di Ferruccio Bevini la cui compagna era sorella dell’ex cameriera di Parenti. La permanenza durò poco: non «gradito» in casa Bevini «darebbe continuamente luogo a scene poco simpatiche perché morfinomane e soggetto a crisi nervose quando la medicina a lui occorrente non gli viene amministrata regolarmente» (Riservata della prefettura di Modena, 30 novembre 1946, in Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, 1944-1967, b. 35) – né dal Partito comunista modenese. Nonostante gli accertati problemi di salute dovuti a bronchite cronica e a un’ernia inguinale, la Prefettura di Modena chiese il suo allontanamento con foglio di via obbligatorio motivandolo con rischi per l’ordine pubblico. Dopo molteplici sollecitazioni, Parenti lasciò la città per operarsi in una casa di cura di Como e da lì – stante il diniego oppostogli da Milano, sua città di nascita e di residenza – si trasferì a Roma dove, fino alla morte, fu tenuto sotto controllo con «normale vigilanza» senza dare più rilievi con la sua condotta.
Il 20 ottobre 1953 morì a Roma, nella sua abitazione in viale Eritrea 81, all’età di 58 anni.
Tra i suoi scritti, Il premio, in Corso di preparazione politica per i giovani. Riassunti delle lezioni, III, Milano, 1936, p. 321; voce Opera nazionale dopolavoro, in Dai Fasci al partito nazionale fascista, Roma 1942, pp. 477-482.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Agenzia Stefani, Manlio Morgagni, b. 67, f. IX; Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 48, ad nomen; Partito Nazionale Fascista, Direttorio Nazionale, Segreteria politica, Situazione politica ed economica delle province, bb. 6, f. Milano, 7; Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza, Affari generali, Ufficio internati, Ebrei internati 1940-1945, b. 4, f. 103; ibid., Divisione Servizi informativi e sicurezza, b. 162, ad nomen; ibid, Gabinetto, Fascicoli permanenti, Prefetture e prefetti, b. 6bis, f. 151; ibid, Casellario politico centrale, 1944-1967, b. 35, ad nomen; G. Ciano, Diario 1937-1943 [1946], a cura di R. De Felice, Milano 2006.
E. Savino, La nazione operante. Albo d’oro del fascismo. Profili, figure, 3000 illustrazioni, Novara 1937, p. 240; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1973, ad ind.; V. de Grazia, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista, Bari 1981, ad ind.; A. Majo, Il gerarca e il cardinale. I rapporti di Schuster con il fascismo in documenti inediti, in Studi ambrosiani in onore di mons. Pietro Borella, a cura di C. Alzati - A. Majo, Milano 1982, pp. 128-137; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF. Gran Consiglio, Direttorio nazionale, Federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma 1986, ad ind.; L. Ganapini, Il Partito nazionale fascista a Milano negli anni Trenta, in Cultura e società negli anni del fascismo, Milano 1987, pp. 301-322; I. Granata, Il Partito nazionale fascista a Milano fra «dissidentismo» e «normalizzazione» (1923-1933), in Il fascismo in Lombardia. Politica, economia e società, a cura di M.L. Betri et al., Milano 1989, pp. 11-63; G. Rocco, Com’era rossa la mia valle. Una storia di antiresistenza in Valtellina, Milano 1992, ad ind.; I. Granata, Il regime fascista: peculiarità milanesi, in Milano durante il fascismo 1922-1945, a cura di G. Rumi - V. Vercelloni - A. Cova, Milano 1994, pp. 45-72; A. Cifelli, I prefetti del regno nel ventennio fascista, Roma 1999, pp. 206 s.; A. Rossi, Fascisti toscani nella Repubblica di Salò 1943-1946, Pisa 2000, pp. 124 s., 136 s.; I. Granata, Il fascismo e le sue basi sociali, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Lombardia, a cura di D. Bigazzi - M. Meriggi, Torino 2001, pp. 946-984; L. Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, Milano 2005, pp. 261 s.; A. Cifelli, L’istituto prefettizio dalla caduta del Fascismo all’Assemblea costituente. I prefetti della liberazione, Roma 2008, ad indicem.