HALL, Edwin Herbert
Fisico, nato a Gosham (Maine) il 7 novembre 1855. Nel 1881 fu nominato instructor, e nel 1895 professore di fisica nel Harvard College a Cambridge, Mass. Nel 1880 scoprì l'"effetto" che porta il suo nome. Ha pubblicato un Textbook of Physics nel 1891 e un College laboratory manual of Physics nel 1904.
L'effetto di Hall. - Si indicano complessivamente sotto il nome di effetti galvano-termo-magnetici, quei fenomeni consistenti in alterazioni stazionarie delle superficie equipotenziali o isotermiche che si manifestano in un conduttore elettrico, percorso da corrente elettrica o termica, quando viene posto in un campo magnetico costante.
Il primo a intuire l'esistenza di questa classe di fenomeni fu W. Thomson. Esso riuscì anche a mettere in evidenza (1858) uno di questi e precisamente la variazione di resistenza (e quindi anche la variazione longitudinale nella caduta di potenziale) che si manifesta in un conduttore percorso da corrente, quando è situato in un campo magnetico.
La variazione trasversale corrispondente fu invece rivelata molto più tardi (1879) e prese il nome di effetto Hall, perché fu il fisico americano E. H. Hall che riuscì, per la prima volta, a renderla evidente in una sottile lamina d'oro. L'effetto Hall consiste dunque in una differenza di potenziale che si manifesta nei punti, inizialmente equipotenziali, dei bordi di un conduttore, percorso da corrente quando sia sottoposto all'azione di un campo magnetico costante, ossia, con altre parole, l'effetto Hall è la rotazione che subiscono, per influenza di questo campo, le linee equipotenziali di quel conduttore.
Nella figura è indicato il senso della corrente e il campo magnetico H è supposto perpendicolare al piano del foglio, diretto verso questo; la figura mostra schematicamente l'aspetto del fenomeno. Le linee tratteggiate e quelle continue sono le linee equipotenziali: le prime in assenza, le seconde in presenza del campo.
Si conviene di dire positivo l'effetto Hall quando la rotazione avviene nel senso indicato dalla figura, ossia nel senso in cui fluirebbe una corrente i che determinasse il campo H. Teoricamente l'effetto Hall troverebbe, dal punto di vista qualitativo, una chiara e semplice interpretazione nella deviazione subita, per effetto del campo magnetico, dalle orbite di quegli elettroni (liberi) il cui moto d'insieme, nell'interno del metallo, costituisce la corrente primaria; ma un'analisi precisa del fenomeno non è così semplice e le previsioni teoriche sono in generale discordanti coi risultati sperimentali. Però, come diremo più precisamente nel seguito, la causa di questo insuccesso va ricercata non tanto nelle manchevolezze della nostra concezione sulla costituzione dei metalli, quanto nelle difficoltà sperimentali di evitare cause di forti perturbazioni che mascherano od alterano l'effetto stesso.
L'effetto Hall si caratterizza in genere per mezzo di un coefficiente R, detto coefficiente di Hall, che è la differenza di potenziale trasversale (in unità assolute C. G. S., 10-8 volt) che si osserva in una piastra conduttrice di 1 cm. di spessore (misurato nella direzione del campo magnetico) per una corrente unitaria (in unità assoluta, 101 Amp.), sotto l'azione di un campo magnetico di 1 Gauss. Cosi si può esprimere, in unità assolute, la differenza di potenziale E, osservata in un piatto conduttore di spessore d, percorso da una corrente I in un campo magnetico H con la formula
convenendo di prendere R col segno (+) quando l'effetto è positivo e col segno (−) nel caso opposto. Il fatto che il fenomeno Hall potesse essere negativo, sembrò in un primo tempo inspiegabile, ma le teorie moderne hanno mostrato qualitativamente come per alcuni metalli il segno possa essere opposto a quello previsto dalla teoria elementare. Però la definizione di questo coefficiente ha un preciso significato solo in quanto permette di caratterizzare l'effetto stesso nella sua dipendenza da H, da I e da d, poiché per dei campi di variabilità estesi, di questi parametri, R non è costante. Come ordine di grandezza R ha un valore fra 10-4 e 10-5, e quindi anche le differenze di potenziale determinantesi per effetto Hall sono piuttosto piccole. Per il bismuto il coefficiente R è, come mise in evidenza A. Righi nelle sue belle ricerche sull'effetto Hall di questo metallo, eccezionalmente grande.
I dispositivi sperimentali usati sono in generale solo delle varianti di quello inizialmente adottato da Hall e che è schematicamente rappresentato nella figura. I1 I2 sono gli attacchi della corrente primaria nella piastra metallica P; E1, E2 sono i due elettrodi determinati per via sperimentale in guisa che inizialmente, in assenza del campo magnetico H, siano allo stesso potenziale. Quando il campo magnetico (perpendicolare al piano del disegno) è stabilito, una differenza di tensione (effetto Hall) si manifesta fra i due elettrodi che può essere misurata elettrometricamente o galvanometricamente.
È però necessario dire come, nonostante il gran numero di ricerche eseguite, ancora oggi le modalità del fenomeno siano conosciute solo qualitativamente, poiché ben raramente i risultati dei diversi sperimentatori concordano in modo soddisfacente. Particolarmente per campi magnetici molto deboli o molto intensi e per lamine molto sottili i risultati sono in genere diversi da ricercatore a ricercatore. Per campi magnetici medî - da 100 a 4, o, 5 mila Gauss - il coefficiente R si mantiene invece relativamente costante, nonostante che i valori di esso dati dai diversi autori concordino solo come ordine di grandezza. Le cause di questa irriproducibilità dei dati sperimentali vanno ricercate essenzialmente nelle forti perturbazioni apportate dalle inevitabili minime tracce d'impurezze e anche nella variabilità della struttura microcristallina. In questo senso sono particolarmente interessanti le ricerche eseguite su cristalli macroscopici. Queste hanno, fra l'altro, mostrato come la mancata inversione del segno del coefficiente di Hall, p. es. nel caso del bismuto, con l'inversione del campo, sia una conseguenza della dissimmetria cristallina.
Resta da dire che le considerazioni teoriche a cui abbiamo fatto cenno sopra, hanno fatto, insieme a tutta la teoria elettronica dei metalli, un progresso notevole in questi ultimi anni, quando si è applicata (Sommerfeld e allievi) al gas elettronico la statistica di E. Fermi.
Secondo questa nuova teoria elettronica dei metalli, il coefficiente di Hall sarebbe, in prima approssimazione, costante e solo in seconda approssimazione dipenderebbe dall'intensità del campo magnetico. Lo stesso si dica per la dipendenza dalla temperatura che si dovrebbe manifestare (come in realtà si manifesta) in modo molto sensibile solo per le bassissime temperature a cui ha luogo il fenomeno della superconducibilità.