PANSINI, Eduardo
(Edoardo). – Nacque a Piazza Armerina (Enna) il 30 settembre 1886 da Adolfo, titolare di una tipografia storica, e da Grazia D’Urso. Registrato all’anagrafe con il nome di Eduardo, preferì firmarsi con la variante di Edoardo.
Nel 1897 si era già trasferito a Napoli come risulta da un certificato di vaccinazione esibito nel 1898 all’atto dell’iscrizione alla Scuola tecnica Ruggero Bonghi (Napoli, Archivio storico dell’Accademia di belle arti, Alunni, f. 6187) e non a partire dal 1904, come si è spesso affermato. Nel 1904 si iscrisse al Reale Istituto di belle arti, dove rimase solo fino al 1906. Importanti per la sua formazione furono il pittore e scultore Stanislao Lista e il pittore Giuseppe Boschetto, docenti presso il Reale Istituto. Alla scuola libera di Boschetto strinse amicizia con Edgardo Curcio, animatore di lì a poco con Eugenio Viti e altri della cosiddetta Secessione dei ventitré, alla cui I Mostra giovanile del 1909 Pansini prese parte con un Ritratto (ubicazione ignota come le altre opere, ove non diversamente indicato), raffigurante un vecchio, di impianto ancora tradizionale.
A Napoli nel 1910 partecipò, con il dipinto intitolato Nuda, alla I Mostra nazionale dell’Associazione Bernardo Celentano e nel 1911 a quella della Società promotrice di belle arti (Luci vespertine e Case a ponte Milvio). Sempre nel 1911 inviò un’opera all’Esposizione internazionale di Roma, nella speranza – poi delusa – di essere accettato dalla giuria. Fu tuttavia incluso in una mostra collaterale, quella degli Indipendenti a palazzo Teodoli con i dipinti Tempo grigio e Siesta (Lancellotti, 1931-1939, p. 119), che risentivano ancora degli insegnamenti di impronta morelliana di Boschetto.
L’esperienza romana fu decisiva per Pansini, certamente colpito dalla retrospettiva dei preraffaelliti inglesi e da vari artisti mitteleuropei per lo più secessionisti: Gustav Klimt, Koloman Moser, Egon Schiele, Ferdinand Hodler, Max Klinger; mentre prese le distanze da pittori alla moda come gli spagnoli Ignacio Zuloaga y Zabaleta o Hermenegildo Anglada Camarasa.
Tornato a Napoli, realizzò dipinti di impianto divisionista, come Villa Pamphili (1911; coll. degli eredi) ed ebbe un ruolo centrale nella fondazione con Manfredi Franco e Giuseppina Goglia del CNAG (Comitato nazionale artistico giovanile) che riprese e perfezionò il progetto della Secessione dei ventitré, estendendolo sul piano nazionale. Giovandosi di una rete di contatti con gli artisti giovani più interessanti delle varie regioni, in particolare con quanti facevano capo a Ca’ Pesaro a Venezia – con i quali fece da tramite Felice Casorati trasferitosi da Napoli a Verona nel 1911– e con coloro che avrebbero dato vita alla Secessione romana, Pansini organizzò a Napoli due mostre nazionali del CNAG: la prima nel 1912 dove espose Sole d’autunno, A Villa Borghese, Ultime luci (acquistato dal re Vittorio Emanuele III), Le bagnanti nel parco (coll. degli eredi), Sera e una seconda nel 1913, dove presentò Campagna napoletana, Ai giardini e La fonte (le ultime due nella coll. degli eredi), selezionata per l’XI Esposizione internazionale d'arte di Monaco di Baviera dello stesso anno.
La fonte, che ha un’impostazione simbolica, con un riferimento alle varie età della vita la cui conclusione obbligata è la decadenza senile, presenta caratteristiche che sarebbero diventate tipiche di Pansini: fondata su un linguaggio che ha consonanze con la salda struttura disegnativa e il plasticismo di Ettore Tito, richiama a tratti il sottile simbolismo di Casorati, ma con accenti secessionisti alla Hodler e l’uso di colori freddi, intonati al giallo-verde, anche negli incarnati; mentre il chiaroscuro a chiazze sembra derivare da un’accentuazione quasi espressionistica del chiaroscuro di Pierre-Auguste Renoir che in quegli stessi anni influenzava anche Armando Spadini.
Il ritrovamento in una collezione privata di un Paesaggio di Vipiteno con l’etichetta della I Mostra della Secessione romana del 1913 attesta la sua partecipazione, fuori catalogo, a tale iniziativa (Picone, 2005, p. 21). In quello stesso anno fece parte della commissione artistica della II Esposizione dell’Associazione Italica Ars presso le terme di Agnano (Villa Borghese, Casetta bianca e otto studi a olio intitolati Sensazioni). Fra il 1915 e il 1916 partecipò alla Mostra della Società promotrice di belle arti di Napoli (Tramonto, e tre Impressioni) e nel 1916 a quella della Società amatori e cultori di belle arti di Roma con La leggenda di Marechiaro, riproposta nel 1917 alla Promotrice napoletana.
Durante la guerra come militare fu inviato a Eboli, luogo che gli ispirò alcuni paesaggi (oggi presso gli eredi), databili a quel periodo. La guerra rallentò, ma non interruppe le sue attività espositive. Nel 1917 partecipò a Palermo alla II Mostra dell’Associazione Pro patria ars (Prime nevi e di nuovo Tramonto) e, grazie ad Arturo Lancellotti, organizzò una personale a Roma presso l’istituto De Merode, intitolata Paesi e marine di Napoli; in tale occasione la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea acquistò due vedute, fra cui Castellammare. Con riferimento agli eccidi della guerra, nel 1917 realizzò un dipinto di grandi dimensioni, Basta!, un concitato assemblaggio di nudi urlanti che occupano, come in un bassorilievo, l’intera superficie della tela.
Dopo la guerra la sua presenza si registra in varie mostre di rilievo: nel 1919 a Fiuggi in quella organizzata dal giornale Fiamma (L’oro dei Camaldoli), nel 1920 a Napoli, presso la Compagnia degli Illusi (Mare agitato e Napoli) e a Venezia alla XII Biennale, dove presentò la parte inferiore del dittico Le vanità (coll. degli eredi), dipinta nel 1919, con il titolo Pace; nel 1921 fu presente alla I Biennale romana (Sui Cangiani); in quello stesso anno partecipò, a Napoli, alla I Mostra nazionale dei grigio-verdi (con Autunno e Vesuvio), alla Promotrice (Paesaggio) e alla I (e unica) Biennale della quale fu uno degli organizzatori e dove espose il dittico Le vanità per intero, con una cornice liberty da lui stesso progettata, insieme con cinque paesaggi.
La delusione provata per le maldicenze messe in campo da parte del costruttore Carlo Giovene facente parte del comitato d’azione della Biennale napoletana, con successivi strascichi giudiziari, lo indusse a fondare nel 1922 una rivista di forte spirito polemico, Cimento, con lo scopo di dare agli artisti uno spazio di espressione autonomo. Stampata nella tipografia di famiglia, riuscì a durare con qualche breve interruzione fino al 1936, anno in cui fu chiusa dal regime fascista.
Nel 1922 partecipò alla Primaverile fiorentina organizzata dal giornale Fiamma e tornò alla Biennale veneziana, di cui stilò dettagliati resoconti sulla sua rivista, esponendovi nello stesso anno una Allegoria (forse identificabile con un trittico dato in comodato dagli eredi al Museo del Novecento a Napoli) e, in quella successiva, nel 1924, Il richiamo e La casa (entrambe a Napoli, coll. priv.).
Nel 1925 fece parte del comitato regionale campano in occasione della II Mostra internazionale delle arti decorative nella Villa Reale di Monza. Nel 1928 tenne una personale presso la galleria Canessa di Napoli e nel 1929 gli fu dedicata un’intera sala alla Mostra dei Nove pittori napoletani presso la galleria di Lino Pesaro a Milano: tra le opere presentò Le vanità, La casa, Tramonto, Risveglio, un Autoritratto, Villa di Capri e vari paesaggi.
Polemico nei confronti sia del futurismo sia di Novecento italiano, da lui accusati di opportunismo, si avvicinò a Strapaese e aderì nel 1929 al RAI (Risorgimento artistico italiano) fondato a Milano da Arturo Francesco Della Porta, in reazione alla II Mostra milanese del Novecento italiano.
Dalla seconda metà degli anni Venti, con la sua rivista, promosse alcune mostre collettive autogestite presso la Bottega d’arte di Livorno e presso la Casina Valadier di Roma. Nel 1930 organizzò la III Esposizione di belle arti sotto l’egida di Cimento presso il palazzo Bagnara di Napoli che, nel suo insieme, comprendeva varie personali di artisti della sua generazione. Una formula che adottò anche per le iniziative espositive intraprese dalla redazione della rivista nel 1932, quando diede vita a una vera e propria galleria d’arte, nel tentativo di creare un circuito artistico parallelo, ma indipendente, rispetto a quello ufficiale.
Sposatosi due volte, con Rosaria Greco – da cui ebbe Adolfo e Vincenzo – e con Romilda Fornaro, durante la Resistenza partecipò attivamente alle Quattro Giornate di Napoli nelle quali Adolfo perse la vita: un’esperienza da lui rievocata nel libro Goliardi e scugnizzi nelle quattro giornate di Napoli, pubblicato a Napoli nel 1944.
Una delle ultime collettive cui prese parte nel dopoguerra fu quella organizzata nel 1953 dal Circolo artistico politecnico di Napoli dove espose Paesaggio napoletano e I Camaldoli.
Morì a Napoli il 21 giugno 1963.
Dopo la morte, fu incluso da Carlo Ludovico Ragghianti nella mostra Arte moderna in Italia 1915-1935, organizzata nel 1967 a Palazzo Strozzi, per essere poi ‘riscoperto’ da Paolo Ricci nella mostra Arti figurative a Napoli dall’età umbertina al tempo del liberty (Napoli 1976).
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