economia regionale
Branca dell’economia che inserisce nello studio del funzionamento del mercato la dimensione spazio, ovvero lo studio dell’allocazione geografica di risorse non equamente distribuite e non perfettamente mobili. Attraverso l’uso di schemi logici, leggi e modelli, l’e. r. persegue il fine di studiare e interpretare la formazione dei prezzi, della domanda, della capacità produttiva, dei livelli di produzione e di sviluppo, della distribuzione del reddito secondo le diverse dotazioni r. di risorse. L’e. r. analizza, in particolare, quali logiche economiche siano in grado di spiegare le scelte localizzative delle attività produttive e residenziali; la configurazione dei grandi sistemi territoriali (per es. le città); le diversità nei gradi di sviluppo delle regioni.
Il concetto di spazio è inteso come: fattore di produzione regolato da un meccanismo di rendita; sostegno di una distribuzione di attività regolate dalla distanza tra produttori e consumatori; perimetro di una regione omogenea; campo di forze, ovvero luogo di insieme di relazioni, di differente intensità, tra i diversi produttori e tra produttori e consumatori. Ne consegue che l’introduzione della dimensione spazio richiede la rimozione delle ipotesi semplificatrici dei rendimenti costanti e di concorrenza perfetta; ovvero le imprese competono solo con quelle più prossime e la distanza diventa una barriera (➔) all’entrata.
Il concetto di territorio (➔) è inteso come risultato di specifici processi sociali che determinano l’ammontare delle risorse economiche, le forme sociali dell’organizzazione economica, l’identità culturale di una popolazione e l’insieme delle istituzioni.
Le più importanti teorie che fanno capo all’e. r. sono la teoria della localizzazione (➔) che studia, con un fondamento microeconomico, i meccanismi sottostanti la distribuzione delle attività nello spazio, utilizzando un approccio prevalentemente statico; la teoria della crescita regionale (➔ crescita) che studia, con un fondamento macroeconomico, la crescita economica e la distribuzione del reddito, utilizzando un approccio prevalentemente dinamico.
La teoria della localizzazione persegue l’obiettivo di mettere in luce i fattori che influenzano la localizzazione delle singole attività, l’allocazione di diverse porzioni di territorio tra produzioni alternative, la spartizione di un mercato spaziale tra differenti produttori, la distribuzione funzionale delle attività nello spazio. I primi modelli (A. Weber, M. Greenhut) definiscono l’equilibrio localizzativo attraverso il bilanciamento tra le economie di agglomerazione, che spingono a una concentrazione delle attività nello spazio, e i costi di trasporto che, al contrario, supportano processi diffusivi delle attività sul territorio. I modelli di natura neoclassica (J.H. von Thünen , W. Alonso) studiano il problema della competizione tra attività per accedere a localizzazioni più vicine al mercato, o in generale, a un ipotetico centro. I modelli che vanno sotto il nome di teoria delle località centrali (W. Christaller, A. Lösch) si focalizzano sull’esistenza di agglomerazioni territoriali, diverse per dimensione e funzioni, che dipendono in tutto o in parte da altri territori, dando così luogo a una gerarchia urbana.
La teoria della crescita r. analizza la capacità di un sistema subnazionale (regione, città, territorio) di sviluppare attività economiche, di attrarre e di generare in loco le condizioni per una crescita duratura, ovvero l’abilità di una regione a produrre con un vantaggio i beni e/o i servizi richiesti dal sistema economico nazionale e internazionale di cui fanno parte. I primi modelli (➔ Harrod-Domar, modello di) si interrogano sulle determinanti che, in un sistema locale, generano occupazione e reddito nel breve periodo. Altri (G.H. Borts, J.L. Stein) analizzano i meccanismi economici che permettono alla regione di uscire dalla povertà, di intraprendere un sentiero di crescita, di garantire un certo livello di benessere e di reddito agli individui attraverso l’incremento della produzione di lungo periodo.
Sono particolarmente diffuse altre teorie, che derivano dalla fusione delle prime due. Esse evidenziano il ruolo dei diversi livelli di competitività e di innovazione (F Perroux e T. Hägerstrand); presentano lo spazio come risorsa economica e fattore produttivo autonomo (➔ distretto industriale); individuano le condizioni endogene al sistema produttivo, che nel tempo garantiscono un tasso di crescita positivo di lungo periodo (➔ crescita endogena).