Ecologia microbica
L'ecologia microbica è lo studio delle relazioni che hanno luogo tra i microrganismi e l'ambiente, ivi compresi i micro- e macrorganismi presenti. Sebbene l'ecologia sia nata a metà dell'Ottocento (la parola fu coniata dal tedesco Ernst Haeckel, 1834-1919), l'ecologia microbica ha iniziato a svilupparsi intorno al 1960, insieme al riconoscimento dell'importanza della qualità ambientale e del fatto che i microrganismi hanno un ruolo fondamentale nel determinare e mantenere tale qualità. Accanto a questo si è inoltre assistito allo sviluppo di nuove tecnologie che hanno permesso un notevolissimo incremento delle diversità microbiche e delle loro attività. I microrganismi infatti erano stati a lungo identificati con quelli patogeni, sia umani che animali e vegetali. Con le nuove tecnologie ci si è resi conto che in realtà i microrganismi patogeni rappresentano soltanto una piccola parte di quelli esistenti e che i microrganismi, attraverso le loro attività metaboliche, hanno ruoli determinanti nei cosiddetti 'cicli biogeochimici', vale a dire i cicli della materia dell'intero ecosistema.
Siamo abituati a pensare agli ambienti naturali come 'macroambienti', tuttavia, le dimensioni dei microrganismi variano da frazioni a decine di micron (millesimi di millimetro) ed essi abitano in piccole porzioni di ambiente, nei cosiddetti 'microambienti'. Dato che i microrganismi sono però molto numerosi, gli effetti sull'ambiente possono essere anche estesi: per esempio, i batteri zolfo- e ferro-ossidanti possono provocare una forte acidificazione dei suoli e delle acque. Lo sviluppo di nuovi metodi di studio basati su conoscenze genetiche, uniti all'implementazione della microscopia, ha consentito di appurare che i microrganismi sono tanti e molto diversi. Negli ambienti naturali convivono molti tipi di microrganismi diversi che interagiscono strettamente tra di loro e con il microambiente che occupano, la loro 'micronicchia' ecologica; il termine 'comunità microbica' è stato adottato proprio per definire questi gruppi di microrganismi, batteri, funghi, virus, alghe e protozoi, le loro funzioni e le loro interazioni. Grazie a questa diversità i microrganismi sono ubiquitari, si trovano cioè ovunque, anche in ambienti con condizioni estreme, apparentemente inconciliabili con la vita, come, per esempio, mancanza di ossigeno o altissime temperature. L'estrema diversità delle loro attività metaboliche e la loro forte capacità di adattamento fanno sì che essi possano addirittura cambiare le caratteristiche dell'ambiente circostante: per esempio, un microrganismo che respira (aerobio) se in attiva crescita può consumare tutto l'ossigeno dell'ambiente. La conoscenza sia dei microrganismi che delle loro capacità e interazioni ha consentito inoltre di sfruttarli per i più vari scopi applicativi, dalla produzione di cibo al biorisanamento ambientale alla produzione di una quantità di composti utilizzabili. La stretta relazione tra lo studio dell'ecologia microbica e le sue applicazioni pratiche ha permesso di considerare la 'microbiologia applicata' come una delle branche dell'ecologia microbica stessa.
Il grande sviluppo delle conoscenze nel campo dell'ecologia microbica è in parte il risultato dell'applicazione negli ultimi anni di tecniche molto potenti di indagine, basate in modo particolare sulla biologia molecolare, tanto da poter proporre la definizione di 'ecologia microbica molecolare' per questo tipo di studi. Tradizionalmente i microrganismi dell'ambiente sono stati studiati per mezzo di metodiche basate sulla loro coltivazione. In pratica, le cellule microbiche presenti in un determinato ambiente vengono fisicamente separate dalla matrice in cui si trovano e messe a crescere in un terreno artificiale dove si molteplicano e, mediante la semina su piastre, possono essere contate; successivamente sono caratterizzate per le proprietà metaboliche e la posizione tassonomica. Questi metodi, basati quindi sulla coltivabilità dei microrganismi, sono molto efficaci se il terreno e le condizioni di coltura utilizzate sono adatti per i microrganismi presenti nell'ambiente da analizzare. È ormai stato però accertato che solo una frazione compresa tra l'1 e il 10% dei microrganismi ambientali è realmente coltivabile; la grande maggioranza di essi invece non lo è, sia perché non conosciamo le loro condizioni di crescita, sia perché i microrganismi possono trovarsi in una condizione quiescente, detta di 'non coltivabilità', che ne impedisce lo sviluppo in terreni artificiali.
Grazie all'ecologia microbica molecolare è possibile oggi affrontare lo studio delle comunità microbiche degli ambienti naturali anche senza coltivarle. Con queste tecniche si determina la presenza di particolari microrganismi attraverso il loro DNA, che può essere estratto e caratterizzato rivelando la natura del microrganismo che lo conteneva. Dall'analisi delle sequenze di DNA, in particolare il DNA che codifica per le sequenze degli RNA ribosomali, è infatti possibile risalire alle specie presenti e anche ai diversi tipi all'interno di ogni specie. Sempre utilizzando il DNA estratto dall'ambiente è inoltre possibile studiarne la 'complessità', cioè quante sequenze differenti lo compongono, che corrisponde a quante specie diverse lo abitano, anche senza la necessità di identificare le singole specie. Allo stesso modo nel campo della microscopia la conoscenza delle sequenze di DNA ha pemesso di sviluppare tecniche di indagine in situ che, grazie a sonde fluorescenti, mettono in evidenza la presenza di particolari gruppi microbici in campioni ambientali.
Per quanto riguarda la funzionalità delle comunità microbiche, questa può essere studiata attraverso tecniche di indagine in situ che rivelano lo svolgersi di svariati processi metabolici monitorando, per esempio, per mezzo di microelettrodi la produzione di ossigeno, la variazione di pH, lo sviluppo di idrogeno. Anche con metodologie basate sulla biologia molecolare si può studiare la funzionalità microbica, evidenziando nel DNA estratto la presenza di geni particolari, responsabili di attività importanti per la comunità microbica.
Nel 1990 un gruppo di ricercatori norvegesi condusse un esperimento che ha completamente rivoluzionato il modo di concepire l'ecologia microbica: studiando la complessità del DNA essi stabilirono che un grammo di suolo può contenere 10 miliardi di cellule batteriche appartenenti a circa 10.000 specie diverse. Anche se solo una piccola frazione di queste può essere coltivata, grazie alle potenti tecniche basate sull'analisi degli acidi nucleici, DNA e RNA, possiamo adesso avere una visione abbastanza chiara della straordinaria diversità del mondo microbico. La diversità microbica descrive la complessità degli ambienti a due livelli: genetico, con la struttura tassonomica cioè le specie, il loro numero (la ricchezza), e la loro abbondanza relativa (l'uniformità); a livello funzionale con la definizione dei gruppi responsabili di attività metaboliche specifiche. Per l'ecologia microbica un aspetto importante della biodiversità risiede nel tipo di interazioni che si stabiliscono tra i microrganismi. Per questo lo studio della diversità microbica si avvale di metodi che integrano l'approccio olistico sulla comunità totale (per es., lo studio della complessità) con quello specifico su sottoinsiemi strutturali e funzionali (l'identificazione dei gruppi). La biodiversità di una comunità microbica può essere in ultima analisi considerata la quantità di informazione genetica in essa contenuta; rappresenta quindi la potenzialità della comunità stessa.
La grande diversità genetica delle comunità microbiche naturali è il riflesso della grande diversità evolutiva dei microrganismi che, abitando la Terra da quasi 4 miliardi di anni, hanno accumulato differenze genetiche enormemente superiori a quelle degli organismi pluricellulari che hanno cominciato a evolversi meno di 1 miliardo di anni fa. Date le loro dimensioni, la diversità genetica dei microrganismi non si traduce in differenze morfologiche, ma in differenze nelle capacità metaboliche. Queste sono davvero notevoli, consentendo ai microrganismi, in particolare ai batteri, di adattarsi a vivere nelle condizioni più diverse, dalle profondità degli oceani a quelle della crosta terrestre, dai ghiacci polari alle più calde sorgenti termali. La relazione che esiste tra diversità genetica e diversità funzionale è in larga misura ancora sconosciuta, tuttavia è unanimemente riconosciuto che la biodiversità sia alla base della stabilità degli ecosistemi e della loro capacità di reazione. Le comunità microbiche, infatti, non solo sono in grado di colonizzare gli ambienti più diversi, ma sono anche capaci di adattarsi ai cambiamenti, anche drastici, che avvengono nell'ambiente che esse occupano. Il segreto di questa flessibilità è proprio nella diversità della comunità: in essa sono contenuti numerose specie e sottogruppi di cui solo una piccola parte conduce, in un dato momento, le attività metaboliche principali; quando le condizioni si modificano altri gruppi, con differenti capacità metaboliche, possono intervenire e sostituirsi ai primi, pronti a essere di nuovo sostituiti in caso di ulteriori cambiamenti.
Le capacità metaboliche dei microrganismi ne fanno la forza trainante dei cicli biogeochimici degli elementi, quei cicli di trasformazione della materia dovuta a reazioni biochimiche, senza i quali non sarebbe possibile l'esistenza della vita e il mantenimento degli equilibri ambientali sulla Terra. Tutti gli organismi viventi contribuiscono ai cicli degli elementi; la maggioranza di queste trasformazioni, tuttavia, è dovuta a reazioni di ossido-riduzione operate dai microrganismi, in particolare i procarioti. Sebbene i cicli riguardino tutti gli elementi, i principali sono quelli del carbonio, dell'azoto e dello zolfo. Di recente è stata messa in luce anche l'importanza del ciclo del ferro e del manganese. Le biotrasformazioni che i composti subiscono in questi cicli si accompagnano a fenomeni di biosintesi o di biodegradazione e a cambiamenti fisici della materia come solubilizzazione, precipitazione, volatilizzazione.
Questo ciclo coinvolge non solo il carbonio (C), ma anche l'ossigeno (O) e l'idrogeno (H). Le trasformazioni di questi tre elementi fondamentali vengono infatti portate avanti insieme tramite i processi contrapposti di fotosintesi e respirazione/fermentazione. Due sono i gas prodotti in questo ciclo, l'anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4). La riduzione dell'anidride carbonica in composti organici (CH2O) viene effettuata dalle piante, dalle alghe (sia macroscopiche che microscopiche) e dai procarioti. I composti organici prodotti sono riossidati a CO2 da piante, animali e microrganismi che si nutrono di tali composti. Il ciclo può avvenire sia in aerobiosi che in anaerobiosi e in quest'ultimo caso è portato avanti solo da microrganismi. Tra questi vi è un particolare gruppo di procarioti che, a partire da alcuni composti organici o da CO2, producono metano e sono perciò detti 'metanogeni'. Il metano a sua volta, in ambiente aerobico, può essere ossidato a CO2 da altri microrganismi (batteri e funghi) detti 'metilotrofi' (fig. 3). Il ciclo del carbonio tende a mantenere costanti i livelli di CO2 e di CH4 la cui concentrazione nell'atmosfera è invece aumentata per effetto dell'attività umana; essi costituiscono gran parte dei cosiddetti 'gas serra' che contribuiscono probabilmente all'incremento della temperatura del pianeta (effetto serra).
I principali processi ossido-riduttivi del ciclo dell'azoto sono schematizzati nella fig. 4 . La molecola di azoto (N2) è un gas ed è la forma più stabile di questo elemento; perciò l'atmosfera ne costituisce la riserva principale. La riduzione dell'azoto molecolare in azoto ammoniacale (NH4+), nota come fissazione dell'azoto, è effettuata solo da un limitato numero di batteri; alcuni batteri azoto-fissatori sono simbionti di piante cui forniscono direttamente l'azoto fissato. L'ammonio, forma più ridotta dell'azoto, viene poi assimilato sia dai microrganismi che dalle piante divenendo azoto organico (amminoacidi e nucleotidi). I composti organici azotati rilasciati nell'ambiente vengono mineralizzati ad ammoniaca (ammonificazione) da molti microrganismi sia aerobi che anaerobi. L'ammoniaca viene ossidata a nitrito (NO2−) e nitrato (NO3−), da batteri detti 'nitrificanti'. Il nitrato può poi essere ridotto ad azoto molecolare nella denitrificazione. Durante il processo di riduzione a N2 vengono prodotti anche altri due composti gassosi, gli ossidi nitrico (NO) e nitroso (N2O). Quest'ultimo, che, in tale processo, è il più abbondante insieme all'azoto, fa anch'esso parte dei gas serra.
Le forme più ossidate e ridotte dello zolfo sono costituite dai solfati (SO42−) e dall'acido solfidrico detto anche 'idrogeno solforato' (H2S). Analogamente a quanto avviene per l'azoto, il solfato può essere ridotto per via assimilativa (incorporazione in amminoacidi, proteine e altri composti) da piante e microrganismi, ed essere poi mineralizzato (desolforazione) a H2S. L'intero processo può avvenire sia in ambiente aerobico che anaerobico. H2S può essere anche formato, in condizioni anaerobiche, da alcuni batteri capaci di operare la riduzione dei solfati e dello zolfo (fig. 6). H2S è una molecola tossica per le cellule, ma, in presenza di ossigeno, può essere ossidata a zolfo elementare e/o a solfato da batteri, detti appunto 'zolfo-ossidanti'. Nel complesso l'ossidazione dello zolfo comporta un'acidificazione dell'ambiente in quanto i solfati in presenza d'acqua formano acido solforico.
L'ambiente più semplice, che è visto principalmente come mezzo di trasporto dei microrganismi, è quello aereo. L'aria è fonte di dispersione e trasporto di 'bioaereosol', ossia di gocce o particelle con diametro compreso tra 0,5 e 30 μm. Le fonti di bioaereosol sono numerose e comprendono fenomeni naturali e attività umane (flussi d'acqua, attività agricole, tosse, starnuti). Nel bioaereosol sono presenti anche microrganismi che vengono staccati dalle superfici su cui si trovano e dispersi. I microrganismi vengono poi depositati per azione delle precipitazioni, per semplice sedimentazione o per impatto del vento sulle superfici. La sopravvivenza dei microrganismi nell'aria è fortemente influenzata dalle radiazioni, dall'umidità, dalla temperatura e dalla composizione dell'atmosfera e quest'ultima, a sua volta, è fortemente influenzata dalle attività umane. Nell'ambiente acquatico si distinguono le acque dolci e marine, caratterizzate dal diverso contenuto in sali disciolti. L'ambiente più ricco di sali è quello marino che è contraddistinto anche da altre caratteristiche quali: temperatura bassa e costante (4÷5 °C) al di sotto dei 100m, variazioni di profondità, che può arrivare fino a 11.000m, e conseguentemente di pressione. Queste caratteristiche fanno sì che i microrganismi che abitano le acque marine debbano poter crescere e sopravvivere in presenza di una o di tutte le particolari condizioni.
Troviamo quindi microrganismi che tollerano o che richiedono alte concentrazioni saline (alotolleranti e alofili), basse temperature (psicrotrofi e psicrofili) e alte pressioni (barotolleranti e barofili). In tutti gli ambienti acquatici l'interfaccia acqua/aria è colonizzata da microrganismi che utilizzano i gas atmosferici producendo composti organici sia del carbonio che dell'azoto; tra questi, alghe, cianobatteri, e proclorofite in particolare in mare aperto, e attorno a loro i microrganismi che utilizzano i composti organici sintetizzati ed escreti dai primi. Le zone costiere e gli ambienti d'acqua dolce ricevono anche facilmente un cospicuo apporto di residui vegetali che vengono degradati, anche se lentamente, dai microrganismi, fornendo carbonio e azoto. Particolarmente ricca di microrganismi è la zona dei sedimenti acquatici che passa da aerobica ad anaerobica andando dall'alto verso il basso. Le diverse condizioni favoriscono lo sviluppo di comunità microbiche i cui componenti hanno diverse capacità e che si stratificano. Partendo dal basso, nella zona anaerobica si trovano microrganismi metanogeni, o capaci di fermentazione o di respirazione anaerobica, ossia microrganismi zolfo- e solfato-riducenti e un po' più in alto microrganismi nitrato-riducenti. Andando verso la zona aerobica abbiamo microrganismi zolfo-ossidanti, poi i metilotrofi e quelli capaci di assimilare solfati, ammonio e nitrati.
In ambiente acquatico i microrganismi hanno numerose interazioni con gli organismi superiori. Per esempio, la capacità di emettere luce di certi organi di Pesci e Molluschi è dovuta alla presenza in tali sedi di batteri luminescenti. Nelle profondità marine si hanno inoltre esempi di ambienti, come le sorgenti geotermiche, dove si instaurano condizioni estreme di temperatura, pH, pressione. Le sorgenti geotermiche sono dovute alla fuoriuscita di gas (CO2, CH4 e H2S) e sostanze ridotte, ad alta temperatura, in corrispondenza di fessure nel basalto. In questi ambienti esistono forme di vita superiore, come mitili e vermi, che possono sopravvivere proprio grazie ai rapporti che contraggono con i batteri zolfo-ossidanti che crescono a spese di CO2 e H2S e sono fonte di composti organici per gli ospiti.
L'ambiente terrestre è praticamente sinonimo di suolo. È questo l'ambiente senza dubbio più complesso per i microrganismi, in quanto la sua struttura e composizione può comportare notevolissime variazioni nel contenuto di nutrienti nell'ambito di pochi micrometri. I microrganismi, così come nei sedimenti acquatici, sono particolarmente presenti in superficie e nello strato sottostante, dove si trovano le radici delle piante con cui molti interagiscono. Andando verso il basso il contenuto microbico diminuisce, anche se vari tipi di microrganismi si trovano ancora nelle rocce a migliaia di metri di profondità. Rispetto alla struttura, i suoli con maggior quantità di microrganismi sono quelli argillosi, poiché le argille trattengono acqua e materiale organico. In superficie sono particolarmente abbondanti microrganismi come alghe e cianobatteri, che fissano CO2 e azoto. Molto abbondanti nel suolo sono i funghi, che partecipano alla degradazione dell'humus e sono particolarmente presenti nei terreni poveri, aridi e acidi, insieme a un gruppo di batteri filamentosi, gli attinomiceti. Questi ultimi sono attivi nella formazione dell'humus e producono antibiotici e vitamine, sostanze che probabilmente servono a mantenere l'equilibrio microbiologico dei suoli. Oltre a quelle tra microrganismi diversi, le interazioni principali nel suolo sono quelle con le piante, in particolare le radici, e con la microfauna terrestre. I batteri azoto-fissatori forniscono alla pianta azoto fissato, sono cioè dei fertilizzanti naturali. Ricordiamo una delle interazioni più note, la simbiosi tra il batterio Rhizobium e le leguminose. Un'altra interazione altrettanto importante e diffusa si stabilisce tra le radici di piante sia legnose sia erbacee e alcuni funghi. Questi formano intorno o all'interno della radice delle strutture chiamate micorrize, di cui un noto esempio è quello dei tartufi. Di conseguenza si verifica un maggior assorbimento di nutrienti; le radici diventano più longeve e la pianta più resistente ai fitopatogeni, alle tossine, a sbalzi di pH e temperatura.
In tutti gli ambienti sono poi presenti i virus, parassiti delle cellule microbiche alle cui spese si moltiplicano; spesso i virus sono di uno o due ordini di grandezza più abbondanti degli altri microrganismi: essi contribuiscono a controllare l'equilibrio microbiologico dell'ambiente. Nella maggior parte degli ambienti, con l'eccezione di quello aereo, i microrganismi spesso aderiscono alle superfici assumendo una particolare organizzazione detta 'patina microbica' o 'biofilm'. Il biofilm costituisce una comunità microbica le cui diverse componenti sono incluse in una matrice polimerica, secreta dai microrganismi stessi, che media l'adesione tra le cellule e la superficie. Nel biofilm le cellule microbiche ricevono più nutrienti, interagiscono tra loro e sono maggiormente difese dagli stress ambientali e dall'attacco di predatori e di virus: la placca dentale che provoca la carie è un ben noto esempio di biofilm batterico.
Se si contassero tutte le cellule del corpo di un uomo, la stragrande maggioranza, più di dieci volte, sarebbe costituita da cellule microbiche; esse sono dappertutto e in tutti gli organi, solo nell'intestino di un uomo ci sono probabilmente 100 trilioni di cellule batteriche. Il corpo umano costituisce pertanto un ambiente assai adatto alla vita microbica. Come per tutti gli animali e le piante, anche la vita umana dipende in larga misura dalla interazione con i microrganismi. Molti dei microrganismi con i quali l'uomo interagisce sono utili, come, per esempio, quelli che vivono nell'intestino e contribuiscono alla digestione degli alimenti producendo anche composti essenziali e comunque benefici; molti sono dannosi per l'uomo, come batteri, funghi e virus patogeni, altri infine sono apparentemente indifferenti per la salute umana. L'interazione tra uomo e microrganismi è comunque molto estesa, investendo attività umane anche al di là della salute, come l'agricoltura e l'industria. Anche se non se ne conosceva l'esistenza, essi venivano sfruttati estesamente, come il lievito nella lavorazione del pane, del vino e della birra, i lattobatteri nella produzione del formaggio e vari batteri nella macerazione delle fibre tessili quali canapa e lino. Lo sviluppo delle conoscenze sul metabolismo microbico e sui modi di controllarlo e indirizzarlo, anche mediante l'ingegneria genetica, ha ulteriromente esteso il campo di applicazione dei microbi nell'industria, in particolare quella farmaceutica e biotecnologica, dove essi costituiscono i maggiori produttori, attraverso la fermentazione industriale, di molecole biologicamente attive. In agricoltura i microrganismi sono utilizzati nella produzione, come i batteri fissatori di azoto, e nella difesa dai parassiti come i bacilli produttori di tossine specifiche per le larve di lepidotteri fitopatogeni. Nel campo dell'ecologia applicata, la grande versatilità metabolica dei microrganismi ha contribuito allo sviluppo di tecniche di disinquinamento ambientale basate sulla biodegradazione delle sostanze tossiche da parte di batteri specializzati. Molti impianti di depurazione delle acque e dei rifiuti urbani e industriali prevedono una fase di abbattimento della sostanza organica e dei prodotti tossici proprio da parte di microrganismi appositamente selezionati in grado di crescere a spese di questi prodotti. Vaste operazioni di biorisanamento ambientale, organizzate in situ in occasione di situazioni di inquinamento particolari, come la fuoriuscita di petrolio o perdite di prodotti tossici da impianti industriali, sono state accompagnate dall'uso di microrganismi degradatori specializzati, inoculati direttamente nelle aree inquinate.
Atlas, Bartha 1998: Atlas, Ronald M. - Bartha, Richard, Microbial ecology: fundamentals and applications, 4. ed., Menlo Park, Benjamin/Cummings, 1998.
Brock 2003: Brock, Thomas D., Biologia dei microrganismi, a cura di Bianca Colonna e Stefania Stefani, Milano, C.E.A., 2003, 2 v.