ebraismo
L’e. è la civiltà millenaria che prende le mosse dal cammino umano e spirituale di Abramo. Ha per suo codice di fede, ma anche di storia, la Bibbia ebraica, cioè l’Antico Testamento. L’e. concepisce questo libro come dettato da Dio secondo diversi livelli di ispirazione. La Torah, cioè il Pentateuco, è il testo più vicino alla voce divina; seguono i Profeti e gli Scritti (o Agiografi). La Bibbia ha costituito il vero e proprio terreno di vita dell’e.: non solo un libro di riferimento e nemmeno un codice di leggi da rispettare, bensì un autentico cosmo entro il quale situare l’esistenza. Gli ebrei non sono solo una nazione, né soltanto gli adepti di una fede religiosa, né tanto meno una razza (come hanno creduto i persecutori dell’epoca moderna). Gli ebrei sono un popolo, anche se dal destino molto particolare. Innanzitutto perché sono e sono sempre stati un popolo molto piccolo. All’inizio del 21° sec. non si contano più di dodici milioni di ebrei in tutto il mondo, sparsi fra lo Stato d’Israele, l’America e gli altri continenti. Inoltre, questo popolo ha vissuto per circa duemila anni – dal 70 d.C., anno della distruzione del tempio a Gerusalemme da parte dell’impero romano, fino al 1948, anno in cui nacque Israele come Stato ebraico – disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue e regimi diversi. Questo lungo fenomeno storico si chiama . Questa situazione storica, che ha segnato profondamente l’e., è stata determinata da due fattori. Il primo, di carattere militare, riguarda i metodi espansionisti dell’impero romano, deciso a estirpare la presenza del riottoso popolo autoctono da una sperduta regione, la Palestina, conquistata con impreviste difficoltà. In questa regione, detta originariamente terra d’Israele o di Canaan, gli ebrei, o israeliti, vivevano da tempo immemorabile, secondo il racconto della Bibbia. L’altro fattore è l’emergere in quegli stessi anni di una nuova fede, innestata sull’e., il cristianesimo. Se infatti i primi convertiti alla nuova fede furono proprio gli ebrei, il popolo cui Gesù apparteneva, l’e. non ha accolto in massa questa rivoluzione religiosa, rimanendo fedele alla propria identità. Queste due ragioni stanno alla base di una storia millenaria fatta di emarginazione e di disprezzo nei confronti dell’ebraismo. Fra i suoi momenti salienti si annoverano i massacri delle comunità ebraiche in Germania sotto il pretesto della lotta agli infedeli propugnata dalla prima crociata del 1096; vi è poi la fondazione a Venezia nel 1516 del primo ghetto, che di fatto ufficializza una realtà secolare, quella cioè che vedeva l’e. vivere in forma di piccole comunità all’interno dei nuclei urbani, spesso con molte restrizioni. Un altro evento cruciale nella storia della diaspora fu il 1492, anno della cacciata degli ebrei dalla Spagna. E l’ultimo è stata la Shoah. Una visione in negativo della diaspora non racchiude però tutta la complessità dell’e., che si è formato, prima e durante questo lunghissimo periodo storico, come una civiltà vera e propria in cui la frequentazione con il testo sacro ha sviluppato una coscienza dell’umanità in cui il libero arbitrio e l’onniscienza divina convivono senza cadere in contraddizione. Centrale, nel pensiero dell’e., è l’idea della responsabilità individuale: nel rispetto della legge, ma anche nel concetto di una compassione reciproca che è principio sociale. Ogni individuo è coinvolto nel destino altrui e in qualche modo lo determina. Altrettanto centrale è, nell’e., la legge che Dio ha consegnato a Mosè sul Sinai e che guida la vita individuale e collettiva negli eventi grandi e in quelli quotidiani. La legge biblica è il terreno sul quale si cimenta l’arte del commento, dell’esegesi, dell’illustrazione, laddove essa sembra oscura. L’e. si configura pertanto come una tradizione di testi e una successione di generazioni in cui ogni passo è un piccolo ma imprescindibile anello capace di garantire la continuità. Questa continuità traspare, per es., lungo il Talmud, che costituisce la cosiddetta Torah orale di fronte alla Torah scritta, cioè la Bibbia vera e propria. Lo Stato d’Israele ha posto una sfida vecchia e nuova all’e.: il confronto per un verso con una normalità nazionale da cui per millenni era stato escluso, e per l’altro con quella cultura della diaspora che la rinascita non ha affatto azzerato, dandole al contrario nuove energie.