MALATESTA, Dorotea
Nacque a Rimini il 26 apr. 1478, figlia adulterina di Roberto Malatesta e di una donna mantovana appartenente probabilmente all'illustre famiglia da Crema. Cresciuta ed educata alla corte dei Gonzaga, la M. seguì Elisabetta Gonzaga a Urbino quando questa sposò, nel 1488, il duca Guidubaldo I da Montefeltro (cognato di Roberto Malatesta che ne aveva sposato la sorella Elisabetta da Montefeltro).
I contemporanei cantarono presto le lodi della bellezza della M. e la dissero preferita tra le dame di corte della duchessa, che favorì le sue nozze con il nobile napoletano Giovanni Battista Caracciolo, figlio di Oliviero, condottiero di notevole fama. Di trent'anni più vecchio, il Caracciolo aveva lungamente militato sotto le insegne dei re di Napoli e nel 1498 era passato al servizio del duca Guidubaldo, che gli assicurò una pensione annua di 1000 ducati, e che seguì nel 1499 a Urbino, dove conobbe la Malatesta. Il matrimonio fu celebrato a Urbino nel 1500, alcuni mesi dopo la nomina del Caracciolo a capitano generale della fanteria della Repubblica di Venezia, ottenuta anche con i buoni uffici dello stesso duca.
Nei mesi successivi, mentre il marito era inviato di stanza a Gradisca in difesa del fronte friulano da possibili attacchi dei Turchi (sulla cui alleanza Ludovico il Moro contava per disperdere la forza d'urto delle armate veneziane), la M. preferì non lasciare la corte di Urbino. Fu solo nel febbraio 1501 che, su istanza di Caracciolo, si mise in viaggio per incontrarlo a Venezia, seguita da una corposa scorta che il capitano, trattenuto sul campo, le aveva inviato, consapevole della pericolosità del percorso che il corteo avrebbe dovuto seguire attraverso le terre di Romagna, occupate da Cesare Borgia. Le precauzioni non furono tuttavia sufficienti e il viaggio fu all'origine di un'avventura che durò tre anni, dalle linee non del tutto chiare né per i contemporanei né per i biografi successivi; una vicenda personale che assunse immediatamente carattere diplomatico e rilievo politico.
Infatti, malgrado la protezione armata assicurata dalla Serenissima, le lettere di transito e le garanzie ottenute, nella notte del 13 febbraio la M., in strada tra Porto Cesenatico e Cervia, fu rapita insieme con la dama di compagnia da alcuni soldati spagnoli e la sua scorta fu messa in fuga o uccisa. La notizia fu immediatamente data a Venezia da Vittorio Dolfin, podestà di Cervia, e il rapimento, sulla base delle testimonianze dei soldati di scorta e di alcuni contadini che avevano alloggiato le donne e i rapitori, fu attribuito senza esitazioni a Cesare Borgia. La Serenissima si trovò allora a dover mediare tra l'esigenza di dare soddisfazione all'illustre capitano della propria fanteria, l'intenzione di dichiararsi offesa per il rapimento di una sua suddita e di rivendicare il rispetto dovutole da parte del Valentino (che peraltro doveva alla Repubblica non poche facilitazioni nelle sue conquiste in Romagna), e l'opportunità di non mettersi apertamente in conflitto con il potente figlio del papa. Il Consiglio impedì a Caracciolo di attuare rappresaglie private e, tentando di trattare il caso sul piano diplomatico, coinvolse immediatamente il legato pontificio e l'ambasciatore francese e li inviò con il proprio segretario, Alvise Manenti, presso Borgia, per ottenere la liberazione della Malatesta. Il fermo, seppur ambiguo, diniego di Borgia (che attribuì il rapimento a un suo capitano, Diego Ramirez, presunto amante della M., di cui aveva perso le tracce, ma di cui prometteva la punizione) e la voce che egli stesso diffuse della morte della M. diedero modo a Luigi XII e al papa di sottrarsi alla risoluzione dell'intricata questione. Anche gli altri Stati, tra i quali il Ducato di Urbino, diedero a Venezia un appoggio debole e timoroso, per evitare una frattura con Borgia, impegnato nella sua seconda campagna di Romagna. Così, mentre Caracciolo tentava di sollecitare aiuti per la liberazione della moglie scrivendo ai cardinali Giovanni Micheli e Oliviero Carafa e ad alcuni parenti in Francia al servizio di Luigi XII, Venezia faceva cadere almeno per il momento il silenzio sulla questione, inducendo Caracciolo a rinunciare alla vendetta. Delle sorti della M. non furono diffuse altre notizie dalla fine del marzo 1501 fino all'ottobre 1502, quando si seppe che era ancora viva; fu liberata più di un anno dopo, allorché la morte di Alessandro VI e il declino del potere del figlio consentirono all'ambasciatore veneziano di ottenerne da Giulio II la restituzione.
Sebbene la vicenda avesse riscosso non poca eco tra i contemporanei, non si conoscono con certezza gli avvenimenti né è certa la paternità del rapimento da parte di Borgia. Sembra che la M. fosse per alcuni giorni a Imola e per i successivi due anni quasi sempre a Forlì; che sia stata condotta a Roma alla fine del 1502, prima prigioniera in Castel Sant'Angelo con la principessa di Squillace (Sancia d'Aragona, moglie di Goffredo Borgia, imprigionata da Alessandro VI), poi ospite in un convento di monache osservanti dalla fine del 1503, prima di lasciare liberamente la città all'inizio del 1504. È accreditata l'ipotesi che Borgia fosse, se non il mandante del rapimento, perlomeno compiacente nei confronti di Ramirez. Il fatto che la stessa M., una volta rilasciata, non avesse fornito dettagli, e i timori che espresse per la sua incolumità al momento del ritorno presso il marito - tanto da chiedere al Senato veneziano ufficiale garanzia per la sua persona dall'eventuale ira di Caracciolo (in caso contrario avrebbe chiesto di andare in convento o di tornare dalla madre) - hanno fatto sospettare ad alcuni che essa fosse consenziente al rapimento.
Una volta tornata libera, la M. raggiunse il marito, che la ricevette con grandi onori il 3 febbr. 1504 a Faenza, dove iniziò la vita coniugale, che trascorse senza particolari vicissitudini per pochi anni, durante i quali nacquero i quattro figli, Marco Oliviero, Isabella, Viola, Battista. Nel 1507 Caracciolo lasciò Faenza per guidare l'esercito veneziano che si preparava a combattere l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, confermando la sua fama di valente condottiero. Nel luglio 1508, a Isola della Scala (Verona), dove era di stanza, fu colpito a morte dal pugnale di un napoletano suo parente, Alberico Dentice, per vendetta di un torto personale, e sepolto con grandi onori a Venezia, che assegnò un sussidio alla M. rimasta vedova. Questa, ospite forse fin dall'anno precedente del fratello Pandolfo a Cittadella, decise di trasferirsi con i figli a Napoli, nella patria di Caracciolo, il quale nel 1507 aveva espresso il desiderio di tornarvi e si era visto confermare i feudi lasciatigli in eredità dal padre, morto nel 1502.
La M., che vide morire i figli Marco Oliviero e Viola ancora bambini, trascorse a Napoli il resto della vita (su cui abbiamo poche notizie) senza risposarsi. Qui morì di peste alla fine del luglio 1527.
Il viceré di Napoli, Hugo de Moncada, fu esecutore del testamento, nel quale la M. nominava eredi universali le figlie superstiti Isabella (sposata nel 1523 con Fabio Caracciolo, signore di Tocco) e Battista (sposata con Prospero Suardi, signore di Castelmezzano) e disponeva che al monastero di S. Aniello a Caponapoli andassero beni per circa 2000 ducati, destinati alla costruzione di una cappella che accogliesse il suo corpo.
Fonti e Bibl.: P. Bembo, Della historia vinitiana, Venezia 1552, cc. 69v-70r; M. Sanuto, I diarii, III, Venezia 1880, coll. 1212, 1434-1436, 1440 s., 1450, 1452, 1464 s., 1467, 1470, 1476 s., 1481, 1487, 1490, 1496, 1525, 1528-1530, 1532 s., 1539 s., 1554, 1558, 1566, 1569, 1571, 1577, 1587, 1599, 1619, 1628, 1634; V, ibid. 1881, coll. 546, 572, 602, 656, 723, 808, 815; M. Bandello, Tutte le opere, a cura di F. Flora, II, Milano 1935, p. 711; T. Tomasi, La vita del duca Valentino, Monte Chiaro 1655, pp. 201-204; O. Vancini, Di un rapimento attribuito al Valentino, in La Romagna. Riv. mensile di storia e lettere, s. 2, IV (1907), ottobre-novembre, pp. 490-502; L. Gastine, César Borgia, Paris 1911, pp. 328-336; A. Caracciolo di Torchiarolo, Un ratto di Cesare Borgia, Napoli 1921; G. Sensi, Un'avventura di Cesare Borgia, in Le Opere e i giorni. Rass. mensile di politica, lettere, arti, XII (1933), 8, pp. 43-56; C. Beuf, Cesare Borgia. The Machiavellian prince, Firenze 1971, pp. 167-170, 186, 259; F. Petrucci, Caracciolo, Giovanni Battista, in Diz. biogr. degli Italiani, XIX, Roma 1976, pp. 385 s.; M.L. Mariotti Masi, Elisabetta Gonzaga duchessa d'Urbino nello splendore e negli intrighi del Rinascimento, Milano 1983, pp. 148 s. (non si fa il suo nome, ma si parla evidentemente della M.); B. Baroni, D. Malatesti figlia di Roberto il Magnifico sposa di Giovanbattista Caracciolo, in Le donne di casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, Rimini 2005, pp. 745-761; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Malatesta; s.v. Caracciolo di Napoli; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", F. Orestano, Eroine, ispiratrici e donne di eccezione, p. 89.