DELL'ANTELLA, Donato
Nacque a Firenze il 20 febbr. 1540 da Bartolomeo di Filippo e da Agnoletta Guicciardini.
Il padre (Firenze 1489-1558) dopo la morte del fratello maggiore Giovanni, senatore e ambasciatore ducale a Roma, entrò a far parte del Senato de' quarantotto nel 1554. Data la posizione politica della famiglia, che nel periodo della transizione dalla Repubblica al principato si era dimostrata particolarmente legata alla causa medicea, anch'egli aveva potuto intraprendere la carriera politica, senza tuttavia raggiungere l'importanza del fratello. Oltre a ricoprire numerose cariche connesse alla cittadinanza fiorentina (Ufficiali dell'onestà, Otto di pratica, Conservatori di leggi...) fu nominato ufficiale pagatore di Cosimo I e infine dal 1557 provveditore del Monte comune.
Il D., ultimo di quattro fratelli morti in giovane età, venne quindi avviato alla carriera nella burocrazia. Appena sedicenne, fu nominato aiuto dei Sindaci del Monte comune, poi, dopo la morte del padre, divenne sindaco nello stesso ufficio (23 febbr. 1558) al posto del cugino Filippo, nominato provveditore. Gli inizi della sua carriera risentono fortemente della presenza di questo cugino: quando Filippo diventa soprassindaco (1559) anche il D. figura "fra i due ragionieri e ministri di detti soprasindaci". Più che il padre, morto quando il D. aveva solo diciotto anni, fu dunque il cugino Filippo, ben inserito ai vertici della burocrazia medicea, ad introdurlo nei ranghi del personale di cancelleria delle magistrature fiorentine, ma nel contempo anche ad ostacolarlo. Tradizionalmente infatti solo un membro di ciascuna famiglia dell'oligarchia fiorentina era ammesso nei principali consessi politici della città, mentre gli altri erano costretti ad accettare ruoli di secondo piano o ad intraprendere altre attività (mercantile o bancaria, carriera militare o ecclesiastica, cura del patrimonio familiare).
Fu senz'altro questa una delle ragioni che spinsero il D. a lasciare Firenze per trasferirsi a Roma. Qui inizialmente fu al servizio di Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano e cognato di Cosimo I, quindi passò, verso il 1570, a quello del cardinale Ferdinando de' Medici, rimanendovi per tutto il periodo della sua permanenza a Roma.
Alla corte del cardinale, una delle più ricche e fastose della Roma di quel tempo, il D. poté perfezionare la sua preparazione, incaricandosi in particolare della gestione del patrimonio e delle proprietà di Ferdinando, tra le quali la villa del Pincio acquistata nel 1576. Nella sua qualità di "maestro di casa" egli infatti soprintendeva anche all'amministrazione e alla manutenzione delle case del cardinale.
Nello stesso periodo il D., dotato di notevoli capacità nel campo dell'architettura, prese parte almeno inizialmente al progetto per il ripristino del condotto dell'acqua alessandrina, costruito dall'imperatore Alessandro Severo nel III secolo e che Sisto V volle rendere nuovamente utilizzabile con il nome di Acqua Felice.
Durante la permanenza del D. a Roma fece scalpore l'episodio, riferito da Giuliano de' Ricci, del suo ferimento "ad opera di certi ferraresi" avvenuto nel giugno del 1580 probabilmente a causa della rivalità esistente tra Ferdinando e il cardinale d'Este. L'incidente ebbe un certo rilievo perché i seguaci di quest'ultimo ferirono anche alcune guardie del pontefice e la cosa costò all'Este una breve espulsione da Roma.
Con la morte di Francesco I e la conseguente successione di Ferdinando a granduca di Toscana (19 ott. 1587) il D., dopo aver liquidato gli affari pendenti a Roma, poté rientrare a Firenze e riprendervi l'attività politica, anche in conseguenza dell'ormai avanzata età del cugino Filippo. Venne quindi subito nominato fra i membri della commissione incaricata di visitare la Maremma senese (1588).
Insieme ai senesi Clemente Piccolomini e Lorenzo Ghiffoli, al romano Riccardo Mazzatosti e al depositario dello Stato di Siena Federigo Strozzi il D. doveva visitare tutte le città della provincia, da sempre una delle più depresse della regione, infestata dalla malaria, con piena autorità di convocare i Consigli cittadini, prendere informazioni di tutti i privilegi esistenti e adottare tutte quelle misure che ritenesse utili "per ridurre le cose in buono stato et termine da far rihabitare et causar concorso di habitatori buoni et populi il paese".
Allo stesso periodo risale la nomina del D. a soprintendente generale delle fortezze e fabbriche medicee, carica che gli assicurò una relativa tranquillità economica. Tra i lavori svolti sotto la sua responsabilità vanno ricordati quelli alla fortezza del Belvedere a Firenze, il completamento delle mura di Grosseto che, iniziate da Cosimo 1, furono ultimate sotto Ferdinando I e i vari interventi per regolare il corso del fiume Arno, dei quali si occupava in questo periodo l'ingegnere Antonio Lupicini.
Di un certo rilievo per la storia dell'arte l'intervento di restauro effettuato, sotto la direzione del D. sulla palla e sulla croce che sormontano la cupola del Brunelleschi nella chiesa di S. Maria del Fiore, cadute in seguito ad un forte temporale. Può essere infatti considerato uno dei primi restauri conservativi, dal momento che, come sottolinea il Del Migliore, fu particolare cura della commissione, formata appunto dal D. e da Vincenzo Giugni, che non si rinnovasse né mutasse "cosa alcuna dell'antico modello" durante i lavori affidati all'architetto Gherardo Mechini e al pittore Alessandro Allori (1601).
Nel 1590, dopo la morte del cugino Filippo, il D. entrò a far parte del Senato de' quarantotto. Nel medesimo tempo egli ereditò dal cugino anche la carica di soprassindaco dei Nove conservatori della giurisdizione e del dominio fiorentino, carica che conservò fino alla morte. Questa nomina significava il suo definitivo accesso ai vertici della burocrazia medicea: entrava infatti a far parte della Pratica segreta, una sorta di consiglio ristretto del principe, al quale partecipavano i principali funzionari dell'amministrazione medicea, mentre l'essere contemporaneamente a capo dell'ufficio dei Nove, uno dei più importanti della città, e dello Scrittoio delle fortezze e fabbriche gli garantiva un notevole potere di controllo sull'erogazione di pubblico denaro per i lavori da eseguirsi nelle Comunità del dominio e per quelli relativi agli edifici dello Stato.
Fra le varie incombenze che gli derivarono dalla sua nuova posizione il D. si trovò a dover affrontare i problemi posti dalle carestie che si verificarono in Toscana tra la fine del '500 e gli inizi del '600: nel 1601-02 fece così parte della "Deputazione sopra li bisogni del vivere delle comunità", incaricata di vagliare tutte le richieste che giungevano da ogni parte dello Stato, prima di concedere una qualsiasi quantità di grano; nel 1607 si occupò delle gravi conseguenze delle carestie per i contadini del Pisano. La mentalità con la quale il governo mediceo affrontava questo grave problema traspare abbastanza nettamente da una lettera del D. a tutti i rappresentanti del contado pisano per cercare di trovare dei rimedi per i molti poveri malati a causa delle carestie. Come è logico infatti chi risentiva in modo particolare della grave situazione di penuria alimentare erano soprattutto le classi meno abbienti, più soggette ad ammalarsi per denutrizione; in questo modo, si preoccupava il D., i contadini non solo non potevano lavorare e rendevano precarie le condizioni delle loro famiglie, ma appesantivano ulteriormente le condizioni dell'economia agricola toscana in quanto tralasciavano la vendemmia, la raccolta delle biade e i lavori della semina. Si ordinava quindi alle Comunità di mantenere a proprie spese un medico per curare i contadini e di distribuire delle elemosine.
Nel 1606, sempre nella sua qualità di soprassindaco dei Nove, il D. venne nominato, insieme al provveditore dei capitani di Parte, soprintendente alle Strade, con il compito di sorvegliare i vari "agenti", incaricati di ispezionare annualmente le strade delle Comunità.
Due anni dopo (1608) per il matrimonio di Cosimo con Maria Maddalena d'Austria, il D. figurò tra i sei gentiluomini deputati all'organizzazione delle feste nuziali, incarico nel quale poté giovarsi del lungo rapporto intrattenuto con gli architetti e gli scenografi di corte.
Si trattava tuttavia di incarichi più onorifici che altro, a testimonianza del progressivo allontanamento del quasi settantenne senatore dalla sfera della politica attiva. Il distacco si fa più netto dopo la morte di Ferdinando I e la successione di Cosimo II, avvenuta il 7 febbr. 1609. Quest'ultimo, tuttavia, volle ricompensare il D. per la lunga carriera al servizio del padre insignendolo di una commenda nell'Ordine di S. Stefano e nominandolo priore della città di Pistoia per lo stesso Ordine (1616).
Morì a Firenze il 23 maggio 1617. Fu sepolto nella chiesa.della Ss.Annunziata, dove aveva fatto restaurare ed abbellire la cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: Cenni biogr. sul D. si trovano in Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi 162 e Archivio Ceramelli Papiani 170. Si segnala in particolare in Carte Sebregondi 162 l'Orazione di C. Rinuccini in lode del sig. D. D., Firenze 1618, della quale esiste anche un esemplare conservato presso la Bibl. Riccardiana di Firenze, ms. 1950, c. 48, con un'acquaforte di J. Collot raffigurante il Dell'Antella. Per le cariche ricoperte si veda Ibid. Magistrato Supremo, 4309, Mediceo del Principato, 2009 e 2010, Miscellanea Medicea, 498, ins. 5. Nella Bibl. nazionale di Firenze si vedano i mss. II, IV, 344, cc. 125r-126r: Parole del clarissimo senatore Donato Dell'Antella a' Serenissimi Granduca Ferdinando e Principe don Cosimo nel 1605; e mss. II, II, 295, cc. 68r-69: Canzone in morte di D. D. Per la data di morte cfr. Arch. di Stato di Firenze, Medici e Speziali, 256, c. 100r. V. inoltre: G. de' Ricci, Cronaca, a cura di G. Sapori, Napoli 1972, pp. 304, 540; F. L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1685, p. 14; D. M. Manni, Il Senato fiorentino ossia notizie di senatori fiorentini…, Firenze 1776, p. 10; L. Cantini, Saggi istor. di antichità toscane, Firenze 1796, V, pp. 121-28; C. Guasti, La cupola di S. Maria del Fiore, Firenze 1857, pp. 150-69; G. Silli, Una corte alla fine del '500, Firenze 1928, p. 18; L. von Pastor, Storia dei papi, Roma 1942, X, pp. 428 s., 774; A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 545, 554; F. Diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 242 s., 264, 356, 366, 421; B. Licata, Il problema del grano e delle carestie, in Archit. e politica da Cosimo I a Ferdinando I, a cura di G. Spini, Firenze 1976, pp. 398,410, 469, 475;E. Fasano Guarini, La Maremma senese nel granducato mediceo (dalle visite e memorie del tardo Cinquecento), in Contadini e proprietari nella Toscana moderna. Atti del Convegno di studi in onore di G. Giorgetti, I, Dal Medioevo all'età moderna, Firenze 1979, pp. 407, 457.