BARDI, Donato
Pavese di nascita, lasciò molto probabilmente la sua città in seguito alle guerre che avevano devastato anche i suoi beni, passando a Genova e, a quanto consta, dimorandovi fino alla morte. Il suo nome compare per la prima volta in un documento genovese del 21 giugno 1426, nel quale egli risulta, con l'appellativo di "pictor", fideiussore a pro di un certo Giovanni di Michele da Valenza. Del 20 marzo 1433 è la prima e unica notizia circostanziata di una commissione da lui ricevuta: gli è ordinata da Odorico da Cremona, canonico della cattedrale di Genova, una grande ancona con la Maddalena, il Crocifisso e santi. Non sappiamo quali opere precedenti gli avessero meritato questo importante incarico; secondo l'Alizeri (p. 251), nei libri del Comune di Genova al B. risultavano affidate soltanto opere decorative, quali stemmi araldici e simili, e per giunta mal ricompensate. Il 21 giugno 1434 il B. chiede al doge e agli Anziani uno sgravio fiscale per sé e il fratello Boniforte (Alizeri, p. 249); non risulta se gli sia stato accordato, ma il 13 sett. 1448 viene emesso un ordine di riduzione delle tasse in suo favore, in seguito a un'istanza avallata dalla corporazione degli Orafi; il beneficio gli è concesso in considerazione delle sue qualità artistiche oltre che del suo stato di disagio economico. Basandosi su tale documento, l'Alizeri opinava che il B. fosse anche orafo e si studiava di identificarne la mano in opere di cesello, senza per altro giungere a risultati apprezzabili. Nell'aprile del 1450 egli risulta ancora vivo; mentre è già morto il 30 giugno 1451, quando una Maestà da lui lasciata incompiuta viene data da ultimare al pittore pavese Giovanni Giorgio, con il consenso di Boniforte. (I documenti citati sono per la maggior parte pubblicati dal Maiocchi).
Alla scarsità di notizie biografiche si accompagna quella di reperti di sue opere, giacché allo stato attuale delle ricerche se ne conosce una sola, la tela con il Crocefisso, la Vergine, s. Giovanni, la Maddalena e angioli della Pinacoteca civica di Savona, proveniente dalla cappella della infermeria femminile dell'ospedale di S. Paolo in quella città; essa reca la scritta: "Donatus comes Bardus papie(n)sis pinxit hoc opus". La qualità altissima del dipinto e la sua sorprendente modemità, che non erano sfuggite ai primi studiosi dell'opera del B., hanno largamente mosso l'interesse della critica, che si è adoperata a definire l'ambiente figurativo nel quale fosse potuta germogliare una così originale personalità; per la difficoltà a inserirla in un tempo tanto precoce, il Morassi ha persino opinato che il firmatario della Crocefissione fosse un figlio dell'artista, attivo quindi nella seconda metà del secolo; ma non si ha alcuna notizia di figli del B. e neppure che qualcuno dei figli di Boniforte fosse pittore.
I caratteri più singolari della tela si ravvisano nella chiarezza dell'impostazione spaziale, nella potenza di sintesi e nella scelta dell'ambiente che, nella brevità delle notazioni, rende allusivamente, ma con precisione naturalistica, un paesaggio prealpino (Salmi) con lo sfondo di montagne bianche di neve.
L'insieme di tali caratteri rende legittimo il riferimento al Foppa, da più parti avanzato (Suida 1908, Salmi, Wittgens); non già nel senso, insostenibile cronologicamente, che dal Foppa il B. possa avere appreso, e nemmeno forse che possa, al contrario, essergli stato maestro; ma nel senso ch'egli sia stato uno degli ispiratori diretti del grande bresciano quando costui passò in Liguria. La sinteticità aspra e brulla del paesaggio della Crocifissione non trova comunque precisi riscontri nel tempo, neppure nell'ambiente padovano (non essendo possibile, per evidenti ragioni cronologiche, considerare il Mantegna, da taluno indebitamente chiamato in causa); e si spiega forse meglio con qualche addentellato toscano (Suida, Toesca, Wittgens, dubitativamente Salmi), che dia anche ragione della sapiente impostazione spaziale e dell'evidenza plastica delle figure; la quale ultima ha fatto supporre al Salmi che il B. avesse anche pratica di scultura, e lo studioso rintraccia analogie tra gli angioli della tela savonese e le sculture borgognone.
L'opinione che il B. avesse rapporti con il mondo franco-fiammingo, di cui ampie infiltrazioni si avevano in Liguria ai tempi suoi, ha oggi pacifico accoglimento, specie dopo l'intervento del Longhi, il quale ha ravvisato nella Crocefissione un clima alla Van Eyk e alla Petrus Christus; il carattere fiammingo può rinvenirsi nell'uso particolare della luce (Mazzini), che al Suida aveva fatto pensare piuttosto a Domenico Veneziano, e soprattutto nella tipologia delle figure: il volto del Cristo, nel suo angosciato pallore e nella finezza acuta del disegno, sembra addirittura apparentarsi ai volti di Rogier van der Wey den. L'intrecciarsi delle opinioni critiche e le perplessità che le accompagnano danno bene la misura di quanto sia arduo stabilite la genesi di un'opera che è un singolare connubio di espressionismo gotico e contenutezza rinascimentale.
È escluso possa riferirsi al B. la Crocefissione del S. Giuliano di Albaro, attribuitagli-dal Suida e poi da altri studiosi, ma negatagli dal Longhi e da tutta la critica successiva: il fare fiammingo del pittore di Albaro è del genere minuzioso e descrittivo che è il più estraneo alla maniera del B.; oggi si ritiene (Longhi) trattarsi del Massone.
Fonti e Bibl.: C. C.Ratti, Descriz. delle pitture, scolture..., Genova 1780, pp. 42 s.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Firenze 1818, V, p. 286; M. Staglieno, Appendici e documenti sopra diversi artisti..., Genova 1870, pp. 19, 28-33; F. Alizeri, Notizie dei Professori del disegno.., I, Genova 1870, pp. 246-256, 269; 11, ibid. 1871, pp. 410 S.; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, pp. 71 s.; Id., in U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, Leipzig 1908, p. 486; Id., Studien zur Geschichte der lombardischen Malerei des XV. Jahrh's, in Monatshefte für Kunstwissenschaft, Il (1909), p. 476; p. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912, pp. 567-71; A. Crowe-G. B. Cavalcaselde, A history of Painting in North Italy, London 1912, 11, pp. 403 S.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, 4, Milano 1915, p. 1093; Id., La pittura del Quattro, cento nell'Alta Italia, Bologna 1930, pp. 13, 69; R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia, I, Pavia 1937, pp. 40, 48, 65, 70; R. Longhi, Carlo Braccesco, Milano 1942, pp. 19, 2s n. 23; A. Morassi, Capolavori della pittura a Genova, Milano 1951, pp. 12, 35 (con ampia bibl. specie locale); C. Baroni e S. Samek Ludovici, La pittura lombarda del Quattrocento, Firenze 1952, p. 80; M. Salmi, La pittura e la miniatura gotiche, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, 1). 849; F. Wittgens, La pittura lombarda nella seconda metà del Quattrocento, ibid., VII, Milano 1956, p. 749; R. Longhi, in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza (cat. della mostra), Milano 1958, p. XXXII; F. Mazzini, ibid., p. 95; A. Ottino Della Chiesa, Pittura lombarda del Quattrocento, Bergamo 1959, p. 56; F. Mazzini, in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, Milano s. d., p. 69.