TREZZINI, Domenico
Nacque attorno al 1670 ad Astano (Ehret, 1951, p. 98), un villaggio al confine occidentale del distretto di Lugano, allora baliaggio degli svizzeri, da Gioacchino e da Felicita Antonietti, quest’ultima discendente da una delle principali famiglie di Astano, attiva nei mestieri dell’edilizia e nell’esercizio del notariato (Navone, 2010, p. 12). I Trezzini vantavano una solida tradizione nell’ambito della migrazione edile, con ripetute attestazioni a Bergamo, Crema e Milano. Un fratello del padre di Domenico, Giovanni Battista, era commerciante di calce e vino nel capoluogo lombardo, dove risiedeva stabilmente in una casa al ponte San Marco, vicino alla darsena a cui approdavano i barconi e le merci provenienti dal Naviglio della Martesana: casa presso la quale risultava abitare nel 1693 anche il padre di Domenico. L’inventario dei beni di Giovanni Battista, stilato post mortem il 20 luglio 1693 (Archivio di Stato di Milano [ASMi], Notarile, Atti dei notai, Ludovico Biancardi, 36198), lo mostra provvisto di una certa disponibilità economica, confermata non soltanto dall’acquisto, nel 1689, di una casa d’abitazione dove esercitava il commercio di vino, nello slargo di fronte alla chiesa di S. Carpoforo, e dalla proprietà di un’altra casa d’abitazione con mescita di vino fra la Contrada dei Fiori e il Naviglio, ma anche dal controllo sul commercio della calce nell’area di S. Marco (Fieni, 2000). Scarse, invece, le notizie sui genitori di Domenico, dalla cui unione nacquero pure una sorella maggiore, Lucia, e due fratelli minori, Giovanni Maria e Giovanni Battista.
La formazione e i primi anni di attività del Trezzini si svolsero lungo gli itinerari della migrazione edile, se l’11 gennaio 1698 egli ottenne dal vescovo di Como il certificato di stato libero necessario, per la sua prolungata assenza dalla patria, per prendere in moglie, il 30 gennaio 1698 ad Astano, Giovanna de Vetiis (Ehret, 1953, p. 138). Al funzionario russo che interrogò Domenico dopo il suo arrivo a Mosca, nel tardo agosto del 1703, egli dichiarò, genericamente, d’aver appreso «il mestiere di architetto e di ingegnere in Italia» (Ovsjannikov, 1987, p. 20), senza che le ricerche sinora compiute abbiamo potuto confermare e precisare una tale asserzione.
Negli ultimi anni del Seicento Domenico Trezzini risulta attestato ad Astano nei mesi tardo-autunnali e invernali (durante i quali le maestranze migranti, ove possibile, rientravano al villaggio natio), quando comparve come testimone alla stesura di qualche atto notarile o come padrino di battesimo, e concepì le sue due prime figlie, Felicita Tomasina (nata l’8 settembre 1698) e Lucia Tomasina (nata il 27 ottobre 1700), andata poi in sposa a Carlo Giuseppe Trezzini (1697-1768), pure lui attivo a San Pietroburgo.
Dovrebbe risalire dunque all’inizio del nuovo secolo il trasferimento di Domenico Trezzini in Danimarca, dove il 1° aprile 1703 fu ingaggiato dall’ambasciatore russo a Copenaghen, Andrej Petrovič Izmajlov, come «capo mastro di batimenti, fabriche et fortificationi» al servizio dello zar Pietro I (dal contratto in italiano, già trascritto da Lo Gatto, 1935, p. 122, nota 14, e da qui innanzi citato nella versione di Androsov, 2019, p. 55).
Sugli anni trascorsi in Danimarca non sono emersi, finora, riscontri documentari. Del resto, benché lo stesso Trezzini avesse dichiarato di aver soggiornato a Copenaghen quattro anni e di avervi realizzato numerose opere di architettura civile e militare, aveva pure ammesso di non poter esibire credenziali per «non essere stato al servizio di qualcuno, in alcun luogo» (Ovsjannikov, 1987, p. 20). L’assunzione di una figura che non poteva presentare alcuna lettera di raccomandazione e di cui, a tutt’oggi, non è nota alcuna opera realizzata prima della partenza per la Russia, ha sovente destato sorpresa, inducendo taluni a formulare ipotesi avventurose. Più convincente è invece l’attribuzione di un ruolo rilevante, nella vicenda dell’ingaggio del Trezzini, al bergamasco Giuseppe Franchi (Androsov, 2019), che a Copenaghen si trovava al fianco di Izmajlov come consigliere e aiutante e che sarebbe stato all’origine di quell’invito, forse con il sostegno del ticinese Domenico Pelli, uno sperimentato impresario specializzato in opere di fortificazione che da diversi anni serviva la corona danese e con il quale aveva collaborato l’ingegnere militare Marcus Heinsohn, che accompagnò Trezzini, insieme a un gruppo di maestranze ticinesi e ad altri specialisti, nel viaggio per via di mare e di terra in Russia (Langberg, 1994).
Dopo alcuni mesi trascorsi a Mosca, Trezzini giunse sulle rive della Neva nel febbraio 1704, nel pieno dello scontro militare tra Russia e Svezia. Dapprima fu inviato sull’isola di Kotlin, nel golfo di Finlandia, a dirigere la costruzione della torre cannoniera di Kronšlot (Korolkov, 1911), quindi a Narva, cittadina baltica da poco strappata agli svedesi, dove eresse la porta maestra. A San Pietroburgo si stabilì soltanto negli ultimi mesi del 1705, iniziando a lavorare intensamente dal 1706, quando venne fondata la Cancelleria degli affari della fortezza (Kanceljarija gorodovych del), di cui divenne il principale architetto. Originariamente istituita per amministrare e dirigere la ricostruzione in muratura della fortezza dei Ss. Pietro e Paolo, che prese avvio nel 1706 e occupò a lungo Trezzini, la cancelleria sovrintese, di fatto, all’intera edificazione della città, cui l’architetto ticinese si dedicò intensamente dal 1710.
In quello stesso anno la sua seconda moglie, di cui ignoriamo il nome, diede alla luce il primo figlio maschio (cui seguì una figlia, Maria Maddalena), tenuto a battesimo dallo zar Pietro I, di cui prese il nome, circostanza che ha generato una tenace confusione con Pietro Antonio Trezzini (1692 - ante 1770), architetto ticinese attivo a San Pietroburgo dal 1726 (nonostante il chiarimento apportato da Chiesa, 1962). Pietro I, del resto, doveva tenere in stima il Trezzini, che, vivente lo zar, non cadde mai in disgrazia, né fu del tutto oscurato dagli architetti ben più titolati chiamati a San Pietroburgo dopo di lui: un favore fors’anche alimentato dalla duttilità e dalle competenze tecniche dell’architetto ticinese, il quale, trovatosi sulle rive della Neva fin dai mesi successivi alla fondazione della città, aveva potuto partecipare alla costituzione dell’apparato che sovrintendeva all’edilizia pubblica e privata, di cui conosceva perfettamente risorse e lacune, abituandosi alle condizioni eccezionali in cui stava avvenendo la costruzione di San Pietroburgo, presto circonfusa dall’aura del mito, e adoperandosi nella trasmissione delle proprie conoscenze tecniche e architettoniche a una serie di giovani allievi, fra i quali raggiunse una certa fama Michail Zemcov (1686 o 1688-1743).
Sino all’arrivo, nel 1713, dell’architetto tedesco Andreas Schlüter (1659-1714), Domenico Trezzini fu il principale referente di Pietro I, che gli commissionò il progetto delle sue prime residenze pietroburghesi: il Palazzo d’Estate (1710-12, poi concluso con il concorso dello Schlüter) e, l’anno successivo, la prima di una serie di dimore destinate alla residenza iemale dello zar (di volta in volta sostituite sino a giungere, regnante Elisabetta I, al Palazzo d’Inverno progettato da Francesco Bartolomeo Rastrelli). Il trasferimento della capitale da Mosca a San Pietroburgo, avvenuto nel 1712, incrementò ulteriormente l’attività edilizia, la quale assunse tuttavia, di sovente, un carattere spontaneo, malgrado i controlli esercitati dalla Kanceljarija gorodovych del, e non obbedì ad alcun piano generale. Per rimediare alla crescita disordinata della nuova capitale, che contravveniva ai principi di regolarità e uniformità cui Pietro I incardinava la propria idea di spazio urbano, lo zar decise di procedere a una sorta di rifondazione, commissionando a Trezzini, nel 1715, il piano generale per l’isola Vasil’evskij, la maggiore delle isole dell’estuario della Neva, approvato il primo gennaio 1716 (data del calendario giuliano).
Orientato sia dalla struttura urbana di Amsterdam (Gorbatenko, 2003) sia dalle tecniche di bonifica dei polder olandesi, ammirate da Pietro I durante la Grande Ambasceria del 1697-98 (Navone, 1994), il progetto di Trezzini, con la sua estenuante regolarità fondata su una fitta trama ortogonale di strade e canali delimitati da una cortina di case in muratura affiancate le une alle altre, quasi senza soluzione di continuità, suggerisce l’immagine di una città coloniale a vocazione commerciale piuttosto che quella di una capitale imperiale (Navone, 2010). E benché il piano dell’architetto ticinese fosse momentaneamente accantonato in favore della ben più elaborata (e simbolicamente pregnante) proposta presentata nel 1717 dall’architetto francese Jean-Baptiste Alexandre Leblond (1679-1719), fu proprio al tracciato disegnato da Trezzini (privato tuttavia dell’estesa rete di canali, mai realizzati o colmati per la piccola parte già scavata) che venne improntata la struttura urbana di quella parte di città.
Oltre a tentare di tradurre in pratica gli ideali urbani di Pietro I, Trezzini provvide a disporre, su quella tabula rasa che si stava faticosamente mutando in una città capitale, una costellazione di edifici pubblici e privati. Fra questi ultimi si ricordano le molte case d’abitazione costruite sulla scorta dei “progetti modello” disegnati dall’architetto ticinese per uniformare, o quantomeno ricondurre a un’espressione formale omogenea, l’attività edilizia dei privati, assicurando allo stesso tempo l’osservanza delle gerarchie sociali.
Per quanto riguarda invece gli edifici pubblici progettati dal Trezzini, vanno almeno ricordati la cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo (1712-33), la lavra (monastero) Aleksandr Nevskij (forse la sua opera migliore, la cui costruzione, avviata sulla scorta del progetto approvato dallo zar nel gennaio 1715, si distese fino al Settecento inoltrato con l’intervento di altri architetti), e infine i Dodici Collegi (1722-42), pure portati a termine dopo la sua morte. Si tratta di opere che spiccano, soprattutto, per la capacità di imporsi nella distesa pietroburghese grazie alla loro scala territoriale, manifestata dalla loro estensione, variamente articolata (con un triplice arretramento delle due ali di celle a fianco della chiesa principale, nel monastero Aleksandr Nevskij, o una successione di moduli identici nei Dodici Collegi), o dal vertiginoso guizzo della guglia della cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo. Quanto ai modelli dell’architettura di Trezzini, la critica ha evocato (in maniera discorde) fonti soprattutto nordiche, fra Olanda e Danimarca, sottolineando tuttavia la peculiarità delle ibridazioni operate dall’architetto di Astano (si veda la sintesi di Shvidkovsky, 2007, pp. 197-200).
La morte di Pietro I, l’8 febbraio 1725 (calendario gregoriano), pur confinando il Trezzini in un ruolo defilato, non ne segnò il completo declino, incoraggiandolo a restare sulle rive della Neva, dove sposò la terza moglie, Maria Carlotta, da cui ebbe cinque figli, Giuseppe, Gioacchino, Giorgio, Matteo e Caterina (Malinovskij, 2007, p. 132; mentre Chiesa, 1962, menziona una sesta figlia, Eleonora Maria Barbara), e dove continuò a favorire l’arrivo di nuove maestranze ticinesi, alimentando un fenomeno migratorio di lunga durata e vasti esiti.
Morì a San Pietroburgo il 2 marzo 1734 (19 febbraio 1734 secondo il cal. giuliano) (Korolkov, 1911, p. 32).
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