SCARLATTI, Domenico (precisamente Giuseppe Domenico, detto dai contemporanei anche Mimo)
Musicista, figlio del precedente, nato a Napoli il 26 ottobre 1685, morto a Madrid il 23 luglio 1757 in una casa della Calle de Leganitos, parrocchia di S. Martino. Compì gli studî musicali col padre che era maestro della Real Cappella, e nel 1702 lo accompagnò a Firenze, alla corte del granduca di Toscana, il cui figliuolo Ferdinando, appassionatissimo di musica, aveva fatto costruire un teatro nella villa di Pratolino, per il quale Alessandro scrisse poi alcune opere. Tornato a Napoli dopo quattro mesi, compose nel 1703 la sua prima opera conosciuta: Ottavia restituita al trono, su libretto dell'abate Giulio Convó (Coll. Carvalhaes a S. Cecilia), di cui nella biblioteca di San Pietro a Maiella esistono 34 arie. Nel 1704 rifece l'Irene di A. Pollaroli, scrivendo 33 delle 55 arie esistenti nella suddetta biblioteca e un Giustino. Nel 1705 seguì il padre a Roma, ma da Roma Alessandro lo mandava a Venezia, come risulta da una lettera del 30 maggio a Ferdinando di Toscana, che Domenico, passando per Firenze, doveva recarsi a ossequiare. "Io l'ho staccato a forza da Napoli - scriveva Alessandro - dove, benché avesse luogo il suo talento non era talento per quel luogo. L'allontano anche da Roma, perché Roma non ha tetto per accogliere la musica, che ci vive mendica". A Roma infatti, sotto il pontificato d'Innocenzo XII, erano stati soppressi i teatri di musica.
A Venezia Alessandro affidò il figliolo a Francesco Gasparini, maestro all'ospedale della Pietà. Durante il suo soggiorno veneziano Domenico non compose opere, ma si perfezionò talmente sul cembalo, da destare un vero stupore in un giovane musicista inglese, Thomas Roseingrave, il quale, dopo averlo sentito suonare per la prima volta, confessava di essere rimasto per un mese senza poter toccare il clavicembalo. Il Roseingrave dopo il primo incontro doveva restare per tutta la vita grande ammiratore, amico fedele e editore delle composizioni dello S. Questi a Venezia conobbe anche G. F. Haendel, suo coetaneo, che vi si era recato per la seconda volta nel 1707. Si ritrovò poi con Haendel a Roma nel 1708, e ivi, secondo il Mainwaring, fra i due sarebbe avvenuta la famosa gara nel palazzo del cardinale Ottoboni, nella quale Haendel riuscì vincitore sull'organo, S. sul clavicembalo.
Intanto lo S. diventava maestro di cappella della regina Maria Casimira di Polonia, che aveva per segretario il poeta Carlo Sigismondo Capeci, in Arcadia Metisto Olbiano, e che nella sua dimora a palazzo Zuccari sulla Trinità dei Monti, aveva fatto costruire un teatrino domestico. Per questo teatro dal 1708 al 1714 lo Scarlatti compose le seguenti opere, tutte su versi del Capeci:
La conversione di Clodoveo, oratorio in due parti; 1710, La Silvia, dramma pastorale; 1711, Tolomeo e Alessandro, ovvero la corona disprezzata, in 3 atti e L'Orlando, ovvero la gelosa pazzia, pure in tre atti 1712, Tetide in Sciro, in 3 atti e un Applauso devoto al Nome di Maria SS., cantata a tre voci; 1713, Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride, e nel 1714, Amor d'un'ombra e gelosia d'un'aura, ultimo dramma scritto per il teatrino della regina, che nel giugno dello stesso anno partiva da Roma. Di tutte queste composizioni non ci restano che i libretti, dai quali risulta che La conversione di Clodoveo fu eseguita dai convittori del seminario romano nel 1715, L'Ifigenia in Tauride rappresentata al Teatro Carignano di Torino nel 1719, e L'amor d'un'ombra, rappresentata a Londra nel 1720 col nome di Narcissus, col libretto rifatto dal Rolli, unica opera di cui ci restino le arie, stampate a Londra a cura del Roseingrave.
A Roma, dopo la partenza della regina, lo S. compose un Applauso genetliaco alla reale altezza del signor Infante di Portogallo, da eseguirsi nel palazzo dell'eccellentissimo marchese di Pontes ambasciatore straordinario della maestà portoghese al pontefice. Nel libretto esistente nella collezione U. Rolandi di Roma, lo S. è detto maestro di cappella di S. E. Comunque, questo componimento spiega e documenta i rapporti dello S. con la corte di Portogallo, dove doveva recarsi pochi anni dopo.
Nel Natale dello stesso anno lo S. compose una Cantata da recitarsi nel palazzo apostolico, su versi di Francesco Maria Gasparri, tra gli arcadi Eurindo Olimpiaco. Intanto si era riaperto il teatro Capranica, e in esso nel carnevale del 1715 lo S. fece rappresentare un Amleto, su libretto di Zeno e Pariati.
Il 1719 lo S. era succeduto a Tomaso Baj, come maestro della cappella Giulia nella Basilica Vaticana. A questo periodo appartiene probabilmente uno Stabat Mater a 10 voci con organo, esistente manoscritto nella biblioteca del Liceo di Bologna. Non sappiamo altro della sua attività in questo periodo, se si eccettui la composizione di una parte delle arie (le altre sono di N. Porpora) dell'opera Berenice, regina d'Egitto, ovvero le gare d'amore e di politica, su parole di A. Salvi, rappresentata al teatro Capranica nel 1718. Nell'agosto del 1719 lo S. lasciava la cappella Giulia, e, come risulterebbe dall'elenco del Maestri pubblicato da G. Baini, sarebbe partito per Londra. Ma, salvo questa indicazione, non abbiamo documenti che provino la sua permanenza a Londra. E non sarebbe una prova il fatto che al teatro di Hammarket sia stata rappresentata, il 30 maggio del 1720, col nome di Narcissus, l'opera Amor d'un'ombra, perché le arie dell'opera furono stampate lo stesso anno a cura del Roseingrave, che aveva curato l'esecuzione dell'opera dell'amico, aggiungendo delle arie sue. È più probabile che lo S. si sia recato direttamente alla corte di Portogallo. Ivi la regina Maria Anna d'Austria aveva portato il gusto delle rappresentazioni e cantate italiane di moda a Vienna, e il re Giovanni V aveva elevato lo splendore delle cerimonie religiose, incorporando la cappella reale alla cattedrale di Lisbona. A dirigere la cappella chiamò D. Scarlatti, cui affidò anche l'educazione musicale dell'infanta Maria Barbara, che nel 1720 aveva appena 10 anni.
Non abbiamo molte notizie sulla permanenza dello S. in Portogallo. Sappiamo solo dal Burney che J. A. Hasse, che studiava con Alessandro S., lo vide a Napoli verso il 1725, prima cioè della morte del padre. Intanto la infanta nel 1728 andava sposa a don Ferdinando di Spagna, principe delle Asturie. In tale circostanza lo S. compose un Festeggio armonico, cantata che si eseguì nel real palazzo a Lisbona, l'11 gennaio, e nel cui libretto lo S. è detto regio compositore. Lo S. quindi, per desiderio del re seguì la sua augusta allieva in Spagna, e in questa occasione a Giovanni V, che l'aveva nominato cavaliere di San Giacomo, dedicò l'unica opera da lui curata personalmente: gli Essercizi per gravicembalo, ossia XXX sonate, concluse dalla cosiddetta Fuga del gatto.
L'opera, di cui esiste un esemplare unico alla Marciana di Venezia, è un volume di formato oblungo (39 per 32 cm.) con 110 pagine di musica, splendidamente incise dal Fortier. Il primo foglio contiene una stampa allegorica dell'Amiconi con lo stemma del Portogallo, il secondo foglio il titolo: Essercizi per gravicembalo, ecc., il terzo, una lunga dedica al re Giovanni V, nella quale è accennato alla maestria "nel canto, nel suono e nella composizione" della principessa; il quinto foglio contiene l'avvertimento seguente al lettore: "Non aspettarti, o dilettante o professore che tu sia, in questi componimenti il profondo intendimento, ma bensì lo scherzo ingegnoso dell'arte, per addestrarti alla franchezza sul gravicembalo. Né viste d'interesse, né mire d'ambizione, ma ubbidienza mossemi a pubblicarli. Forse ti saranno aggradevoli, e più allora ubidirò ad altri comandi, di compiacerti in più facile e variato stile: mostrati dunque più umano, che critico: e sì accrescerai le proprie dilettazioni. Per accennarti la disposizione delle mani, avvisoti che dalla D viene indicata la dritta e dalla M la manca. Vivi felice".
Gli Esercizi sono stati ripubblicati a cura di G. Ferranti, nella raccolta: I classici della musica italiana, ed. Notari, Milano 1919.
In Spagna, sotto Filippo V di Borbone, la musica italiana era penetrata non meno che in Portogallo. Ivi il marchese Scotti, piacentino, era stato nominato nel 1721 protettore e direttore dell'opera italiana. Il matrimonio del principe delle Asturie con l'infanta di Portogallo aveva portato in Spagna lo S., il quale però, durante la sua lunga permanenza alla corte di Madrid, non scrisse più opere ma solamente composizioni per clavicembalo e probabilmente le cantate profane manoscritte che sono alla biblioteca di Vienna. Né si curò di dare altro alle stampe, a quanto sembra dalle edizioni apparse a Parigi e a Londra durante la sua vita. Presso la vedova Boivin a Parigi apparvero due raccolte di composizioni, non oltre il 1734, poiché la vedova Boivin morì in tale anno; nel 1739 a Londra 42 Suites or Lessons, a cura del Roseingrave, che nel 1720 aveva pubblicato il Narcissus. In un pasticcio intitolato Alessandro in Persia, rappresentato a Londra nel 1740, furono inserite due arie dello S. e una nell'Olimpiade di Pergolese, rappresentata nel 1742. Sempre a Londra nel 1744 apparvero XII Concertos, per archi tratti dalle Suites per clavicembalo, a cura dell'Avison. Ma delle sonate "para clavicordio", apparvero dopo il 1746, poiché nel frontispizio lo S. è detto Maestro de los Reyes e cavaliere dell'ordine di Cristo, (e il principe delle Asturie salì al trono il 1746). Altre XII sonate apparvero nel 1752 a cura del Roseingrave, il quale nel 1753 a Dublino, fra un atto e l'altro della sua Fedra, eseguì con molto successo le Suites or Lessons dello S.
Degli ultimi anni non sappiamo che quello che riferisce Ch. Burney. Il quale a Vienna conobbe un signor Laugier, che possedeva delle sonate dello S., composte nel 1756 quando lo S. era diventato così pingue che non poteva incrociare le mani, come aveva abitudine di fare. E per questo non erano così difficili come le opere composte nella sua gioventù.
Nello stesso periodo, come si desume da una lettera pubblicata dal Subirá (La musica en la casa de Alba, Madrid 1927), la sola che di lui si conosca, avrebbe trascritto in notazione moderna degli Hymnos del fiammingo Pierre du Hotz. L'ultima sua composizione, come si rileva da un'annotazione dell'abate Santini su una copia manoscritta, sarebbe una Salve Regina per canto e violini, esistente nel Liceo di Bologna.
Oltre alle opere ricordate, si hanno dello S. arie di opere non identificate, e cantate. Di queste composizioni sono state pubblicate in edizione moderna l'aria Consolati e spera nella raccolta Arie antiche di A. Parisotti e quattro arie tratte dalle cantate esistenti nella bilioteca di Vienna, edite da L. Lebell a Londra nel 1927. Le composizioni per clavicembalo sono state pubblicate a cura di A. Longo in 10 volumi contenenti 50 pezzi ciascuno, più un volume di 45 di supplemento. Oltre 300 di questi pezzi erano inediti e sono stati tratti dai codici veneziani delle composizioni dello S., provenienti dalla Spagna e portati in Italia dal Farinelli, amico del musicista S. e favorito del re, che, dopo la morte di questo, tornato in Italia, si era stabilito a Bologna.
A questo complesso di sonate se ne sono aggiunte di recente altre 5 inedite, pubblicate dal Gerstenberg, e tratte da un manoscritto della Palatina di Parma.
Tra queste composizioni ne appare qualcuna che per il carattere polifonico o cantabile si direbbe destinata all'organo o al clavicordo, che era uno strumento capace di espressione. Nei titoli delle antiche stampe si accennava infatti a questi strumenti. Ma la maggior parte è per clavicembalo. Di solito questi pezzi sono in movimento vivace: Presto o allegro. Il suono secco e breve del clavicembalo, che genera lo stile fiorito dei Francesi, negl'Italiani - e particolarmente in D. S. - genera quello che il Torrefranca chiama "impressionismo ritmico". La vivacità e la inesauribile invenzione ritmica sono senza dubbio le caratteristiche della musica dello S., ma questa vivacità non deve trarre in errore. È determinata dalla natura dello strumento, ma non è intima. Sulla trama fitta e sottile del giuoco clavicembalistico, si leva spesso una melodia che ha un carattere ampio, passionale e spesso drammatico. La maggior parte dei pezzi è scritta nella forma bipartita che va dalla tonica alla dominante e dalla dominante alla tonica. Il Gerstenberg, in uno studio accuratissimo sulle composizioni per clavicembalo dello S., distingue in queste sonate un tipo monotematico; un secondo tipo con gruppi di motivi più o meno numerosi, susseguentisi e sfocianti l'uno nell'altro; un terzo tipo con varî motivi di cui la maggior parte è subordinata ad altri che primeggiano, il che sembra preludere alla forma classica della sonata duotematica o tripartita, con esposizione, svolgimento e ripresa. Ma più che un precursore, parola cui è annessa l'idea di cosa non compiutamente realizzata, lo S. è il creatore di un nuovo stile che si può dire pianistico.
Colpiscono, in certe sue sonate, movimenti e passaggi che fanno già pensare al pianoforte e pezzi (come la sonata XVIII degli Essercizi) che preludano al più grande compositore per questo strumento: F. Chopin. Ma la cosa, che sembra inesplicabile, non è senza ragione, ché bisogna tener presente che il pianoforte, strumento capace di espressione, era stato creato fino dal 1711 e che le prime sonate per pianoforte, del Giustini, rimontano al 1732. Questo nuovo stile, più che pianistico, si può definire sinfonico. Quando si parla di sinfonia, si pensa di solito quella forma particolare di composizione in tre o quattro tempi, quello che è, in una parola, la sinfonia di Haydn. E non si considera che quando la sinfonia propriamente detta non è ancora sorta, lo stile sinfonico è già creato da un pezzo. Il quale stile va definito come una forma integrale in cui confluiscono gli elementi della polifonia e della monodia. Ora questo stile sinfonico o drammatico appare compiutamente realizzato da D. S. Gli stessi sbalzi di posizioni, che sembrano determinati dal virtuosismo clavicembalistico, sono piuttosto determinati dai contrasti e dal dialogo delle parti. La riprova inoltre del sinfonismo dello S. è nel fatto che l'Avison a Londra nel 1744 ha pubblicato XII concerti per archi, tratti dalle composizioni per clavicembalo.
Lo S. che ha vissuto per oltre quarant'anni in Spagna è stato visibilmente influenzato dalla musica e dai chitarristi spagnoli. Ma egli a sua volta ha influenzato i musicisti spagnoli, dal F. Soler, di cui sono state ripubblicate recentemente le sonate, a E. Granados, a M. de Falla. La sua popolarità in Inghilterra è documentata dal fatto che la maggior parte delle antiche stampe è apparsa a Londra. E dall'Inghilterra attraverso un altro italiano, Muzio Clementi, che si può considerare come il fondatore dello stile pianistico, e C. Czerny, editore di 200 sonate, s'irradia fino a Beethoven e F. Chopin.
La grandezza di D. S. è stata sempre riconosciuta in ogni tempo. Ch. Burney dice: "I pezzi dello S. non soltanto sono tali che ogni giovane virtuoso può spiegarvi la sua capacità, ma sono meravigliosi e deliziosi per ogni ascoltatore che ha una scintilla di entusiasmo, il quale può trovare in essi nuovi e mirabili effetti, prodotti con intrepidezza dalla infrazione di quasi tutte le tradizionali regole della composizione". Al principio del secolo, C. Czerny, nella prefazione delle sonate, si esprimeva non diversamente. "Le numerose sue composizioni, scrive, sono degne sotto ogni riguardo di essere conservate, sia per la loro caratteristica originalità, superiore a ogni variazione di tempo, sia per quella naturale e serena freschezza di vitalità che è propria di un'arte allora nella pienezza delle sue forze giovanili". Nella Leda senza cigno G. D'Annunzio delle sonate dello S. scrive: "Il vigore, l'ardire, l'eleganza, l'allegrezza, la franchezza, la volubilità, la voluttà di quella musica rinnovano e rinfrescano a miracolo in me il senso della vita, E G. F. Malipiero osserva giustamente che "tutti gli intercalari, tutte le cadenze che poi divennero usuali e finirono per individuare la musica del sec. XVIII italiano, in D. S. appariscono per la prima volta e sono di sua pura invenzione". Ma a dare un'idea più precisa non solo dell'influenza di questo maestro sui contemporanei, ma della sua grandezza e originalità, basterà dire che la sua figura brilla nel sec. XVIII come nel sec. XIX quella di F. Chopin.
Ediz.: Per le composizioni manoscritte e le antiche stampe cfr.: R. Eitner, Quellen-Lexikon, Lipsia 1904. Fra le moderne, cfr.: Consolati e spera, aria di D. S., da un ms. della Bibl. di Dresda, ed. da Banck, Lipsia, Kistner, rist. in Arie antiche raccolte da A. Parisotti, Milano; Four Arias by D. S., ed. da L. Lebell, Oxford 1927 (dalle 8 cantate per 2 violini e basso, ms. della Bibl. di Vienna); D.S. XXX Sonate, a cura di G. Ferranti, Milano 1919 (sono la ristampa degli Essercizi per gravicembalo); Opere complete per clavicembalo, criticamente rivedute e ordinate in forma di Suites da A. Longo, Milano (voll. 10, contenenti 50 pezzi ciascuno, più un volume di supplemento con 45 pezzi in ordine di tonalità); D. S. 5 Klaviersonaten, ed. da W. Gerstenberg, Ratisbona, Bosse.
Bibl.: Ch. Burney, The present state of Music in France and Italy, Londra 1771; (trad. it.: Viaggio musicale in Italia, Palermo 1921); id., The present state of Music in Germany, the Nefterklands and United provinces, Londra 1773; id., A general history of Music, IV, ivi 1789; G. F. Malipiero, D. S., in Musica d'oggi, Milano, gennaio 1927; A. Cametti, C. Sigismondo Capeci, Aless. e D. S. e la regina di Polonia in Roma, ibid., febbraio 1931; W. Gerstenberg, Die Klavierkompositionen D. D.s., Ratisbona 1933.