MALIPIERO, Domenico
Nacque a Venezia nel 1445, primogenito di Francesco di Fantino (fratello, quest'ultimo, di Pasquale, doge dal 1457 al 1462) e da Polissena Garzoni di Andrea. Rimasto orfano del padre quando era ancora un ragazzo, si dedicò al commercio, quindi intraprese la carriera militare nell'armata marittima e al comando di una galera fu inviato a Zara, nell'ottobre 1479, onde prevenire ulteriori colpi di mano del re di Ungheria, Mattia Corvino, che si era impadronito dell'isola di Veglia. Qui, nel febbraio seguente, il capitano generale da Mar, Antonio Loredan, inviò una squadra di cui faceva parte anche il M., che dopo una rapida conquista dell'isola ne ebbe il comando fino al 3 apr. 1480, allorché poté rientrare a Venezia. Qualche mese dopo il M. sposò Paola Donà di Pietro di Marco, da cui però non ebbe discendenti.
Ripreso il servizio nella flotta come sopracomito, nel luglio 1483 ottenne la promozione a capitano delle navi che operavano nell'Adriatico contro il re di Napoli, Ferdinando d'Aragona, nel corso della guerra di Ferrara; passò l'inverno nei porti dell'Egeo, tra Modone e Tine, a causa della carestia che rendeva sconsigliabile disarmare a Venezia.
Durante le operazioni, riprese nella primavera seguente nello Ionio e nel basso Adriatico, le capacità dimostrate dal M., oltre a una certa indulgenza nel consentire ai suoi uomini libertà di saccheggio, gli procurarono stima fra i colleghi e popolarità tra gli equipaggi; inoltre, dopo la morte del capitano generale da Mar, Giacomo Marcello, avvenuta il 19 maggio 1484 nell'espugnazione di Gallipoli, i comandanti della flotta elessero il M. vicecapitano dell'armata.
Il M. badò soprattutto a fortificare Gallipoli, mentre il Senato nominava Marchionne Trevisan nuovo capitano generale da Mar; nel mese di luglio questi ordinò al M. di portarsi in Istria, per prevenire eventuali incursioni della flotta napoletana, ma la pace raggiunta (7 ag. 1484) pose fine alle operazioni.
Per alcuni anni le fonti tacciono sul M., che presumibilmente interruppe il servizio nell'armata marittima per assumere, secondo la prassi veneziana, altri incarichi. Dopo aver rifiutato la nomina di castellano a Ravenna (maggio 1490), il 26 marzo 1491 entrò, come podestà e capitano, a Capodistria dove rimase sino all'agosto 1493, occupandosi, negli ultimi mesi del suo mandato, dell'annosa definizione dei confini con gli Imperiali. Rimpatriato, il 1( ottobre dello stesso anno, fece il suo ingresso in Senato, ma appena qualche mese dopo (12 genn. 1494) fu eletto podestà e capitano di Rovigo.
Rimase in Polesine, da poco entrato a far parte dei domini della Serenissima, dal 20 apr. 1494 al 2 ag. 1495, poi riprese il suo posto nell'armata marittima. La spedizione italiana del re di Francia Carlo VIII aveva infatti posto fine all'equilibrio tra gli Stati della penisola, e la Signoria ne approfittò per impadronirsi dei porti pugliesi e impegnarsi in favore di Genova e Pisa, minacciate rispettivamente dai Francesi e dai Fiorentini. Il 5 giugno 1496 il M. fu eletto provveditore della flotta; positivo - come sempre sarebbe stato nei suoi confronti - il giudizio di Marin Sanuto, che lo definisce "patricio in mar exercitato" e prosegue: "et libentissime acceptoe, partì a dì ditto, et per terra a Zenoa andoe, et ne l'andar fo molto honorato" (I diarii, I, col. 195).
Giunse a destinazione il 16 luglio, accompagnato dal segretario Giorgio Nigro, ma subito si ammalò. Si imbarcò nuovamente il 6 agosto e fu ancora a Pisa, quindi a Civitavecchia e a Genova, dove lo raggiunse Sanuto, il cronista, incaricato di portargli il denaro necessario alla manutenzione delle navi. Qui arrivò pure Massimiliano I d'Asburgo in compagnia dell'ambasciatore veneziano Francesco Foscari; si imbarcarono sulla galera del M., che alla fine di settembre li condusse a Pisa, dove però il sopraggiungere di una squadra francese in soccorso dei Fiorentini, l'inclemenza della stagione e il cattivo esito dei primi scontri indussero Massimiliano ad abbandonare l'impresa e a rientrare in Germania. Il M. trascorse l'inverno spostandosi tra Genova e Savona, onde scoraggiare eventuali colpi di mano da parte della flotta di Carlo VIII; poi, il 3 apr. 1497, dopo aver superato il blocco delle navi fiorentine, soccorse Pisa con una grossa quantità di frumento. Stipulata una tregua di sei mesi, il M. fu a Palermo e di lì a Cattaro minacciata dai Turchi; rimase nel basso Adriatico tutta l'estate, poi gli fu ordinato di recarsi nuovamente a Genova, dove si trovava a fine anno.
"Steti per quella riviera" - si legge nella famosa cronaca tradizionalmente attribuita al M. - "da 10 di genaro [1498] fin 10 d'agosto, scorrendo di Levante in Ponente, in modo che 'l viagio era sicuro. A 10 d'agosto, la Signoria mi comandò che intrassi in Pisa con le galie"; quando poi l'anno seguente si giunse finalmente alla pace, "io fui 'l primo a levarmi a' 23 d'april 1499 [(]; et lasciata Pisa orfana, io veni, da 23 fin 30 d'april, a Corfù" (Malipiero, pp. 550 s.).
Qui gli fu consentito di riposare solo pochi giorni, poi dovette seguire la flotta comandata da Antonio Grimani, che il 2 maggio era salpata dal Lido alla volta del Peloponneso, per una nuova guerra contro il Turco. Il M. aveva ai suoi ordini quattro galere, poi, assumendo il titolo di provveditore, undici; il 20 luglio fu inviato a soccorrere Nauplia, quindi prese parte, come responsabile delle retrovie, il 12 agosto, alla sfortunata battaglia dello Zonchio.
Così l'evento è ricostruito negli Annali veneti: "Se allora le sole galie grosse havesseno investido l'armada del turco, l'haveriano tutta fracassada. Tutta la ciurma cridava: addosso addosso; et questi cani de i patroni mai non volseno investir" (p. 177).
Grimani fu incolpato del mancato successo e processato, insieme con i capi dell'armata, tra i quali il M., che apparve però subito esente da colpa, al punto che il 26 luglio 1500 fu ballottato in Senato, ancorché non risultasse poi eletto, alla carica suprema di capitano generale da Mar. Il proscioglimento da ogni addebito giunse però soltanto il 17 sett. 1501; un mese dopo il M. fu nominato, insieme con Simone Guoro, provveditore "delle cose del mar", in pratica responsabile dell'allestimento e manutenzione della flotta nelle emergenze della crisi seguita alla sconfitta. Di lì a poco (30 genn. 1502) venne eletto provveditore in armata, ma rifiutò per accettare la nomina a provveditore all'Arsenale. Quindi, il 16 nov. 1503, risultava eletto provveditore a Rimini, città che Pandolfo Malatesta aveva ceduto alla Repubblica dopo il tramonto delle fortune politiche di Cesare Borgia; il M. partì l'indomani, con l'usuale sollecitudine, e in Romagna si occupò soprattutto di rafforzare il dispositivo difensivo e di assicurarsi la fedeltà della popolazione: compiti non facili, aggravati dal dissesto delle finanze locali. Perciò il 2 genn. 1504 chiese il rimpatrio, ma come risposta venne rieletto alla stessa carica (12 gennaio) con il mandato di procacciare alla Serenissima la dedizione di quanti più luoghi fosse possibile; missione che il M. portò a termine senza eccessive difficoltà, salvo poi restituire al nunzio pontificio, Giovanni Ruffo, alcune cittadine, tra cui Cesenatico e Santarcangelo.
Il 27 luglio 1505 fu eletto savio di Terraferma, alla qual carica venne confermato nel 1506. Rifiutò tuttavia il terzo mandato, ma accettò una nuova nomina a provveditore in Romagna il 12 febbr. 1507. Si portò a Faenza, dove qualche giorno dopo accolse papa Giulio II, desideroso di visitare le principali località della regione; nuovamente a Venezia, il 10 apr. 1507 riferì al Collegio circa la situazione dei territori recentemente annessi, quindi l'11 ottobre entrò a far parte della zonta del Consiglio dei dieci.
Neppure un mese dopo (10 nov. 1507) gli venne affidato l'incarico di provveditore a Nauplia. Partì alla fine dell'inverno, portando con sé la moglie (prassi insolita per un veneziano), e nel Peloponneso si occupò soprattutto di reprimere la pirateria musulmana e di tenere i contatti con il sofì di Persia, in vista di una possibile cooperazione antiturca che però non ebbe modo di concretizzarsi.
In Italia, invece, la situazione andava precipitando dopo la stipula dell'alleanza di Cambrai (10 dic. 1508); il 31 marzo 1509 il M. fu ballottato capitano generale da Mar, ma non riuscì eletto; gli venne invece assegnato il compito di raccogliere truppe greche da impiegare nell'imminente conflitto. I suoi sforzi raddoppiarono dopo il disastro di Agnadello (14 maggio 1509) e, grazie ai buoni rapporti intrattenuti dal M. con il pascià ottomano, gli fu possibile assoldare diverse centinaia di stradiotti e radunare grandi quantità di salnitro, fondamentale per la produzione della polvere da sparo. Mancò tuttavia ancora una volta l'elezione a capitano generale da Mar (26 dic. 1509) e rimase a Nauplia quasi un anno ancora, quindi gli fu concesso il rimpatrio; il 16 dic. 1510 era a Venezia, dove entrò a far parte del Consiglio dei dieci, cui era stato eletto in precedenza. Qualche mese dopo, il 26 apr. 1511, era votato per la seconda volta provveditore "delle cose del mar", insieme con Luca Tron, con il compito di organizzare la ritirata e i rifornimenti delle truppe, sospinte nelle finitime province della Terraferma dall'incalzare degli Imperiali. Il 1( luglio 1512 venne eletto al saviato di Terraferma, che rifiutò. Assunse invece il 3 luglio, nonostante le sempre più precarie condizioni di salute, la nomina a provveditore generale nel Trevigiano. Partì l'indomani, e a Treviso si occupò di rafforzare le mura cittadine e il circostante fossato, in previsione di un attacco dei Tedeschi, ma dopo qualche settimana si ammalò e chiese di essere sollevato dall'incarico; tornò a Venezia la sera del 26 agosto; il 30 ott. 1513 è ancora Sanuto a informarci della fine del M.: "Morite in questo zorno [(] fo provedador zeneral [(], qual poi che il vene di Treviso, sempre è stà amalato con febre a quartana" (I diarii).
Fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo secondo quanto aveva disposto nel testamento, stilato il 5 dic. 1507, prima di partire per Nauplia; nel documento il M. accenna a dissesti economici, ma sappiamo che quattro anni più tardi possedeva una nave in comproprietà con Marco Molin.
La fama del M. è dovuta, più che alla pur rilevante carriera politica e militare, alla compilazione degli Annali veneti che coprono gli anni 1457-1500. Questa cronaca, per l'alto grado di attendibilità e la gran messe di informazioni concernenti la vita sociale e politica della Serenissima in un periodo di fondamentale importanza, può considerarsi in qualche modo un'anticipazione cronologica della grande impresa sanutiana. Per questa ragione essa fu riordinata e in taluni punti riassunta da Francesco Longo sin dal 1564, e poi pubblicata da Agostino Sagredo nell'Archivio storico italiano di Tommaso Gar, fra il 1843 e il 1844, con una dotta Prefazione in cui si indagano i motivi del sostanziale silenzio che sino ad allora aveva circondato l'opera, se ne mettono in rilievo i molti pregi, si descrive l'originale da lui posseduto e si ricostruiscono anche le biografie del M. e del patrizio veneziano Longo.
La cronaca del M., benché rimasta a lungo inedita, fu sempre tenuta in grande considerazione sia da Apostolo Zeno sia da Marco Foscarini, e ancor più in seguito da Cicogna, Romanin, Kretschmayr fino agli studiosi più recenti, quali la Fabbri. Tuttavia nel 2006 Neerfeld ha dimostrato, con oggettivi riscontri, argomentazioni convincenti e un gran numero di rilievi critici interni al testo degli Annali veneti, che questi ultimi non sono attribuibili al M., ma a un coevo cronista veneziano, Pietro Dolfin, della cui opera storiografica intitolata, appunto, Annali costituirebbero il terzo volume, che risulta tuttora smarrito. Va detto, inoltre, che né Sanuto né Longo né alcun'altra fonte sino a Foscarini accennarono al M. come autore di una cronaca.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 387, 407; Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, cc. 61r, 88r, 149v; 8, cc. 5v, 96r, 113r; 9, cc. 4r, 19r, 20v; 16, sub 23 maggio 1490, 2 genn. 1491, 22 luglio 1491; Avogaria di Comun, Balla d'oro, reg. 164, c. 251r; il testamento, con cedola, Ibid., Notarile, Testamenti, bb. 1227/118; 1229/356; Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti(, cc. 166v-167v; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1843, t. 7, parte 1a, pp. XI-XXII, 164, 174, 292-295, 434, 482, 509, 541-551 (le pp. 541-551 costituiscono una relazione compilata in prima persona dal M., in cui sono descritti gli eventi della campagna pisana del 1496-99); 1844, t. 7, parte 2a, pp. 942, 986; Dispacci al Senato veneto di Francesco Foscari e di altri oratori all'imp. Massimiliano I nel 1496, ibid., pp. 903, 908-912, 914-923, 926 s.; M. Sanuto, I diarii, I-XVII, Venezia 1879-86, ad indices; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, pp. 255, 257, 328; VII, ibid. 1903, pp. 35, 80; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, I, Venezia 1989, pp. 159, 161 s.; II, ibid. 2001, pp. 371, 428, 436, 441, 453, 457; M. Sabellico, Historiae rerum Venetarum, in Degl'istorici delle cose veneziane(, I, Venezia 1718, p. 861; P. Bembo, Historiae Venetae, ibid., II, ibid. 1718, pp. 105 s., 223; M. Foscarini, Della letteratura veneziana, I, Padova 1752, pp. 177 s., 427; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 275, 391; III, ibid. 1830, p. 493; V, ibid. 1842, p. 579; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 96, 377 s., 402, 410, 458 s., 471, 494, 543 s., 630, 638 s., 652, 654; F. Zille, Il processo Grimani, in Archivio veneto, s. 5, XXXVI (1945), pp. 152-155, 161, 170, 180-182, 190, 194; A. Santalena, Veneti e Imperiali. Treviso al tempo della lega di Cambray, Roma 1977, p. 340; G. Lucchetta, L'Oriente mediterraneo nella cultura di Venezia tra il Quattro e il Cinquecento, in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, II, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1980, pp. 384, 388; Id., Viaggiatori e racconti di viaggi nel Cinquecento, ibid., p. 434; R. Fabbri, Cippico, Sabellico, M.: tra plagio e garanzia autoptica, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, cl. di scienze morali, lettere e arti, CXLVII (1988-89), pp. 1, 11-15; G. Gullino, Le frontiere navali, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, IV, Il Rinascimento. Politica e cultura, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, Roma 1996, pp. 83, 88, 91; Id., Foscari, Francesco, in Diz. biogr. degli Italiani, XLIX, Roma 1997, p. 315; Chr. Neerfeld - A. Wolkenhauer, Pietro Dolfin di Giorgio: ein venezianischer Humanist und seine Bibliothek, in Mittellateinisches Jahrbuch, XXXIX (2004), p. 416; S. Mantovani, "Ad honore del signore vostro patre et satisfactione nostra". Ferrante d'Este condottiero di Venezia, Modena-Ferrara 2005, pp. 25, 49, 85, 90, 97, 101, 103, 106-108, 110-112, 115-117, 119-122, 124-126, 133; Chr. Neerfeld, "Historia per forma di diaria". La cronachistica veneziana contemporanea a cavallo tra il Quattro e il Cinquecento, Venezia 2006, pp. 83-95; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VII, p. 416.