INDIVINI, Domenico
Nacque intorno al 1445 a San Severino Marche da Antonello (Antonio) di Nicola e da Margherita di Domenico Malatesta.
La famiglia proveniva da Elcito, località nei pressi di San Severino (Aleandri, 1893, p. 72). Il cognome, che mutò nel secolo XVII da Indivini a Divini, alludeva alla facoltà di prevedere il futuro e determinò l'iconografia dello stemma familiare, dove compare la Fortuna sostenuta da un delfino in campo azzurro.
Di professione "fabbro lignaro", il padre dell'I. si trasferì a San Severino verso il 1450; lì eseguì lavori di ebanisteria per committenti religiosi e per il Municipio: il letto del podestà, la cassa per il corpo del beato Pellegrino, una porta e una credenza per il palazzo comunale. Tali oggetti, oggi non più esistenti, documentano l'attività che si svolgeva nella bottega di Antonello, dove verosimilmente l'I. fu avviato all'arte.
Poche le notizie riguardo alla formazione e all'iniziale percorso artistico dell'Indivini. L'ipotesi di un rapporto con maestranze fiorentine attive in area marchigiana spiegherebbe gli esiti delle sue opere mature, che presuppongono l'avvenuta conoscenza dei lavori di Benedetto e Giuliano da Maiano, impegnati dal 1476 nello studiolo del palazzo ducale di Urbino e successivamente a Loreto.
L'incostante presenza dell'I. a San Severino durante l'ottavo decennio del Quattrocento conforterebbe tale ipotesi: egli si trovava fuori città nel 1474, come dichiara testimoniando di un reato commesso dal fratello, e vi fece ritorno tra il 1478 e il 1479, anni in cui eseguì le rotelle e la quintana per il Comune. In tale epoca era già sposato con Lucia di Antonello Zamparini.
Un possibile contatto dell'I. con la bottega dei Maiano giustificherebbe l'esperienza maturata dal maestro nel commesso ligneo e l'attribuzione di opere quali gli armadi della sacrestia di S. Giovanni nella basilica di Loreto, a lui assegnati sulla base di stringenti confronti stilistici, seppure ritenuti da alcuni studiosi opera dei Maiano e da altri frutto di collaborazione con la bottega indiviniana (Trionfi Honorati, 2001, p. 82). Certamente il contesto geografico e cronologico in cui l'I e alcuni intarsiatori toscani si trovarono a operare avrebbe consentito lo stabilirsi di relazioni. Tuttavia al proposito non esistono testimonianze.
In mancanza di notizie attendibili sull'attività iniziale dell'I. vanno ritenute sue prime opere certe alcune cornici intagliate, stilisticamente tardogotiche, facenti capo a quella del polittico della chiesa di S. Francesco a Serrapetrona, commissionata nel 1477, il cui dipinto venne eseguito da Lorenzo d'Alessandro.
Strettamente analoga a questa è la cornice del polittico di Vittore Crivelli, realizzato nel 1481 per la chiesa di S. Maria delle Grazie in San Severino (Pinacoteca civica); mentre quella dell'icona di Niccolò di Liberatore, detto l'Alunno, per la chiesa maggiore della stessa cittadina (conservata nella medesima pinacoteca), viene attribuita in base alla corrispondenza delle cuspidi intagliate con gli ornati che coronano gli stalli del coro di Assisi, opera tarda dell'Indivini.
I documenti sulla committenza del polittico di Serrapetrona costituiscono un importante tassello nella ricostruzione delle relazioni tra l'I. e il pittore Lorenzo d'Alessandro. I due artisti erano legati da rapporti di parentela (erano cugini in linea indiretta poiché la madre dell'I. era sorella del suocero di Lorenzo), vissero e tennero bottega nello stesso quartiere di S. Lorenzo e usavano prestarsi vicendevolmente garanzia negli atti amministrativi (Paciaroni, 2001, pp. 38 s.). Oltre al comune intervento nel polittico di Serrapetrona, nel 1493 offrirono insieme un'icona al Comune; ed è lecito supporre che queste non fossero le sole opere di collaborazione.
Nel 1483 il Municipio di San Severino commissionò all'I. il coro per il duomo. Il maestro a questa data aveva dunque alle spalle un'affermata attività e gestiva una ben avviata bottega, dove lavoravano il fratello Nicola e Giovanni di Piergiacomo.
Al coro di San Severino l'I. si dedicò, con intervalli, fino al 1501. Lasciato incompleto alla sua morte, il coro venne ultimato dagli allievi tra il 1502 e il 1513. Il progetto, secondo l'iniziale versione del 1483, che subì un ampliamento nel 1501, fu riferimento per i cori realizzati successivamente; l'opera, di raffinata fattura, è considerata intervento già maturo del maestro. I motivi delle tarsie documentano la piena adesione alle iconografie ornamentali care al Rinascimento, in particolare nelle candelabre a sottili racemi vegetali.
Fu probabilmente la maestria espressa nel coro sanseverinate a diffondere la fama dell'I. al di fuori della patria. Nel 1485 una nuova importante commissione lo condusse a Jesi per eseguire il coro, la porta maggiore, il leggio e il pergamo della cattedrale. L'anno successivo realizzò pure il modello del palazzo dei Priori della medesima città progettato da Francesco di Giorgio Martini (presente negli inventari del palazzo fino al 1600). I lavori di Jesi lo coinvolsero fino al 1491, quando il crollo del soffitto della chiesa distrusse gran parte del coro, quasi ultimato.
La vicenda del coro jesino, che doveva essere per grandiosità e importanza secondo solo a quello assisiate, è ampiamente documentata dalle fonti: una parte di esso fu venduta, immediatamente dopo il crollo, ai frati domenicani della città e andò dispersa con la soppressione del loro convento nell'Ottocento (Annibaldi). L'altra, forse rimasta nella cattedrale in attesa che l'I. la utilizzasse nella ricostruzione del nuovo coro, è stata recentemente individuata in alcune tarsie all'interno degli stalli di S. Maria delle Grazie a Jesi.
Mentre attendeva ai lavori di Jesi, l'I. si recò ripetutamente a San Severino: nel 1486, per stimare il valore di alcune tavole del pittore Vico da Visso; nel 1489, per comprare una casa nel quartiere di S. Lorenzo; e nel 1490, per sottoscrivere il contratto per una statua lignea raffigurante S. Sebastiano. Quest'opera, eseguita in occasione di una terribile pestilenza, è stata recentemente identificata nella bella statua policroma presso la chiesa di S. Rocco a San Severino e riveste particolare importanza nel catalogo dell'autore.
Si tratta infatti dell'unico lavoro di statuaria lignea certamente documentato che, in base ad accurati confronti stilistici, ha consentito di accostare alla bottega dell'I. un nucleo di altre statue, tra cui i Crocifissi della parrocchiale di Caldarola (presso Camerino), della chiesa delle clarisse a Camerino e di S. Agostino a Matelica, la S. Caterina d'Alessandria e il S. Sebastiano presso il Museo diocesano di Camerino. Il senso naturalistico del modellato anatomico, le eleganti pose corporee di composto equilibrio a cui si accosta una misurata intensità espressiva, l'enfasi dolorosa dei volti che non incide sulla sostanziale attitudine serena accomunano queste opere, rivelando la vicinanza dell'autore al clima pierfrancescano. Inoltre, i tipi iconografici evidenziano stringenti analogie con i medesimi soggetti di Lorenzo d'Alessandro, confermando la proficua collaborazione tra i due artisti. Quest'importante produzione, di cui solo di recente si va ricostruendo il percorso, è supportata da testimonianze documentarie che, già in precedenza, configuravano una diversificata attività della bottega indiviniana. È noto infatti che nel 1493, l'I., insieme con Lorenzo d'Alessandro e con don Moricuccio Olivieri, canonico della collegiata di San Severino, era intento a progettare una sacra rappresentazione da inscenare durante la settimana santa: a tal fine chiedeva al Comune un contributo per le spese. Si può certo presumere che la processione si articolasse attorno a statue lignee, e che l'I. in particolare si occupasse della loro realizzazione.
Nello stesso periodo in cui lavorava a Jesi portò a compimento il coro per la chiesa di S. Chiara a Camerino, oggi nel monastero delle clarisse.
Il coro, in cui sono incisi la data "1489" e il nome del maestro, fu commissionato da Giulio Cesare da Varano per rendere omaggio alla figlia Camilla, monaca delle clarisse, con il nome di religione Battista, futura beata. Costituito da doppio ordine di stalli, presenta negli specchi intarsiati un'interessante sequenza di motivi cristologici riconducibili al tema della Passione, il cui disegno iconologico fu elaborato molto probabilmente dalla beata Battista, la quale tradusse il proprio travaglio spirituale, incentrato sulla passione di Cristo, nel testo De' dolori mentali di Cristo, utile per decifrare alcune immagini dei commessi lignei (Paraventi).
Nel 1491, al culmine della propria attività artistica, l'I. venne convocato dai francescani di Assisi per intraprendere la realizzazione del coro della basilica superiore.
Commissionato da fra Francesco Sansone Sanseri da Siena, il coro impegnò l'I. per circa un decennio. A differenza di quanto eseguito nei lavori precedenti, oltre alla vastità dell'opera, consistente di 102 stalli, il maestro affrontava qui la difficoltà di dover rappresentare nei 38 stalli del primo ordine ritratti di papi, cardinali e maestri francescani. Ne risulta la grande maestria espressa sia nei ritratti sia negli specchi occupati da rappresentazioni prospettiche di armadi contenenti oggetti diversi. La qualità delle raffigurazioni ha indotto a ritenere che l'I. si sia avvalso, per i disegni dei commessi, di cartoni preparati da Lorenzo d'Alessandro.
Nonostante il continuo impegno assisiate l'I. mantenne costante il legame con San Severino partecipando attivamente alla vita della città, dove ricoprì importanti ruoli pubblici: fu eletto priore nel 1491, 1498 e 1501, revisore dei conti nel 1499, deputato a trattare la concordia con i Monticolani nel 1500, successivamente arbitro (Aleandri, 1893, p. 61).
Dopo aver ultimato il coro di Assisi, l'I. morì, nella città natale, tra il 5 e il 27 apr. 1502. Venne sepolto nella chiesa di S. Maria del Mercato, dove aveva fatto erigere un altare in suo nome.
L'atto testamentario, redatto prima della morte, chiarifica la struttura della sua bottega. I beni, gli strumenti di lavoro e gli inadempiuti contratti vennero spartiti tra il fratello minore, Nicola, e la moglie Lucia. Nicola, mancando del talento artistico dell'I., assunse il ruolo di imprenditore mantenendo tra i suoi stretti collaboratori Pierantonio e Francesco Acciaccaferri, cui affidò l'ultimazione del coro di San Severino. Se dai documenti che lo riguardano emerge il profilo di un personaggio che non si distinse nell'arte, Nicola ebbe comunque il merito di continuare l'attività della bottega. L'altro gruppo di allievi, facente capo alla moglie Lucia, ebbe come rappresentanti Sebastiano e Pierfrancesco di Giovanni da Appennino. Senza discendenti, i coniugi Indivini accolsero in particolare Sebastiano come figlio adottivo. Egli accompagnò il maestro ad Assisi, gli fu vicino nella malattia e nella morte. Dopo la scomparsa di Lucia, divenne l'erede dei beni di famiglia, tra cui gli strumenti di lavoro e i disegni della bottega. Per quanto un profilo della sua attività non sia mai stato ricostruito, è noto che dopo il 1502 lavorò al coro del duomo di San Severino, a quello della clarisse nella stessa città e a quello della chiesa di S. Croce a Macerata. Dopodiché si trasferì ad Ascoli Piceno, dove fu impegnato presso il pittore Nicola Filotesio, detto Cola dell'Amatrice, come intagliatore di cornici. Tra gli altri allievi si distinse Giovanni di Piergiacomo, la cui importanza e fama inducono a ritenere che, pur collaborando con l'I., fin dall'ottavo decennio del Quattrocento tenesse una propria bottega (Pallotto, pp. 268-275).
Fonti e Bibl.: G.C. Gentili, Memorie di D. e Antonio Indivini, Macerata 1841; R. Paciaroni, Lorenzo d'Alessandro detto il Sanseverinate. Memorie e documenti, Milano 2001, pp. 30, 37-41, 51 s., 60, 68, 70, 119, 127, 134, 140 s., 143-146, 151, 154; Dettagli del coro della chiesa superiore di S. Francesco in Assisi operati ad intarsio ed intaglio nel 1501, a cura di F. Cilleni Nepis, Assisi 1841; G. Annibaldi, Maestro D. I. da Sanseverino artefice in Jesi dal 1484 al 1491, Jesi 1878; V. Aleandri, Prospetto cronologico della vita e delle opere di m. D. I., in Nuova Riv. misena, VI (1893), 3, pp. 44-48; 4, pp. 59-62; 5, pp. 68-76; Id., Il coro di m. D. I. sanseverinate scoperto in S. Chiara di Camerino e trasportato nel Museo civico, in Atti e memorie della R. Deputazione marchigiana di storia patria, n.s., I (1904), 1, pp. 99-105; L. Serra, La tarsia e l'intaglio in legno, in Rass. marchigiana per le arti e le bellezze naturali, XII (1934), 5-6, pp. 156-161; G. Fabiani, Intagliatori e intarsiatori marchigiani dal XV al XVIII secolo, in Arte cristiana, XLIII (1955), pp. 37-40; O. Pallotto, La scuola sanseverinate di D. I., in Studi maceratesi, V (1969), pp. 255-275; N. Biondi, D. I. "Intagliatore - intarsiatore", fondatore della scuola sanseverinate, San Severino Marche 1992; M. Trionfi Honorati, Arredi lignei nelle Marche, Bergamo 1993, pp. 45-47; R. Paciaroni, Il coro delle clarisse di Sanseverino Marche: un mistero svelato, Sanseverino Marche 1998; M. Trionfi Honorati, L'intagliatore D. I. nel percorso dei polittici gotici, in I pittori del Rinascimento a Sanseverino, Milano 2001, pp. 81-85, pp. 188-221; M. Giannatiempo López, La scultura lignea cameritese tra XIV e XVI secolo, in Il Quattrocento a Camerino. Luce e prospettiva nel cuore della Marca (catal., Camerino), a cura di A. De Marchi - M. Giannatiempo López, Milano 2002, pp. 87, 90; M. Paraventi, Il coro di S. Chiara, ibid., pp. 278 s.; E. Baiocco, ibid., pp. 241 s.; P. Bragaglia, D. I. intarsiatore sanseverinate (1445-1502) e il perduto coro della cattedrale di Jesi, in Guardate con i vostri occhi. Saggi di storia dell'arte nelle Marche, a cura di A. Montironi, Ascoli Piceno 2002, pp. 67-79; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 587 s.; Diz. storico-biografico dei Marchigiani, a cura di G.M. Claudi - L. Catri, I, Ancona-Bologna 1992, p. 308.