DOMANDA GIUDIZIALE
. Atto mediante il quale una persona affermando esistente una concreta volontà di legge a sé favorevole, invoca l'organo dello stato (giudice) perché attui tale volontà. La domanda è il primo atto del processo: chi la propone è l'attore (actor); colui, nei confronti del quale è proposta, è il convenuto (reus).
Nel processo romano più antico la domanda giudiziale è orale e privata; l'attore si reca personalmente dal convenuto e gl'intima di seguirlo innanzi al magistrato (vocatio in ius); se il convenuto rifiuta di seguirlo o di prestare un vindex che risponda per lui, l'attore, fatto constatare da tre testimoni codesto comportamento del convenuto, può trascinarlo a viva forza (XII tavole, I, 1-4). Soltanto innanzi al magistrato l'attore espone e precisa la sua domanda e, se il convenuto intende contestarla, si aggiorna la causa per permettergli di preparare la sua difesa.
La prima fase del processo romano (in iure) terminava con la contestazione della lite, cioè con la definizione delle questioni di diritto da parte del magistrato, che rinviava le parti innanzi al giudice per l'accertamento del fatto e la decisione definitiva della causa. Invece nelle provincie greche l'atto introduttivo del processo era un'istanza rivolta dall'attore alle autorità locali (dicarum scriptio) e da queste inscritta nei registri pubblici e notificata al convenuto; simili erano i παραγγελία con i quali s'introduceva il processo in Egitto allorché era provincia greca. Su questi modelli del diritto provinciale, l'atto introduttivo del processo romano si trasforma nel periodo della extraordinaria cognitio. Esiste sempre l'invito privato dell'attore, ma anziché orale esso è rappresentato da una litis denuntiatio scritta, e annotata, dopo l'imperatore Costantino, nei registri pubblici. S'inizia così la trasformazione della citazione atto privato in atto compiuto da un organo giurisdizionale. Nel periodo giustinianeo infatti questa denunzia della lite viene sostituita da un libellus conventionis, consegnato al convenuto non più direttamente dall'attore ma per mezzo di un apposito executor, con l'intimazione a comparire. Oltre alla vocatio in ius vi è già nel libellus un'enunciazione dell'actio della quale l'attore si serve. Il carattere della domanda barbarica, al momento delle invasioni, è diverso. Chi vuol far causa ricorre al giudice, il quale cita di pubblica autorità (bannitio) il convenuto a comparire dinanzi all'assemblea dove l'attore solennemente espone la sua domanda.
Nel Medioevo, intorno a questi tipi di domanda che rimangono quasi inalterati, si aggiungono però formalità rigorosissime. Nel periodo delle codificazioni, mentre alcuni ordinamenti seguono il sistema del ricorso al giudice, il codice francese, e quindi i suoi derivati, accolgono invece la citazione fatta dalla parte all'altra per mezzo dell'organo giurisdizionale (ufficiale giudiziario), mentre il giudice è informato solo all'udienza. In tutti i sistemi, nella citazione doveva essere espresso l'oggetto della domanda con i motivi di diritto e una sommaria esposizione del fatto.
Attraverso quest'evoluzione si mantengono distinti i due elementi della invocazione del giudice perché venga attuata una volontà di legge (atto di parte) e della comunicazione al convenuto della domanda, atto di un organo pubblico (notificazione); la distinzione ha importanza anche per il nostro diritto.
La domanda al giudice per l'attuazione della legge. - Non si richiede il nome speciale dell'azione che s'intende esercitare, né l'indicazione delle norme di legge da attuare, ma occorre precisare l'oggetto che si vuole conseguire e la ragione per cui si pretende garantito. Dev'essere perciò indicato - perché non vi sia incertezza assoluta - tanto l'oggetto immediato (risoluzione, annullamento, rivendicazione, ecc.) quanto l'oggetto mediato (somma di danaro, fondo) eventualmente chiesto. Invece riguardo alla causa petendi o ragione dell'azione, vi è discordanza d'opinioni in dottrina. Alcuni ritengono che basti, perché non vi sia l'incertezza assoluta, indicare un fatto tale da individuare l'azione (teoria dell'individuazione); altri, invece, osservando che in essa domanda viene a sostanziarsi l'azione, vorrebbero indicato anche quel fatto o quei fatti specifici che ne costituiscano il titolo (teoria della sostanziazione). La prima teoria è dominante, ma alcuni scrittori l'applicano in senso molto lato, ritenendo che basti la sola indicazione dell'oggetto, senza il titolo per cui è richiesto (Ascoli e Cammeo). Questo però può produrre facilmente incertezza assoluta, potendosi chiedere l'oggetto a diversi titoli; perciò la dottrina prevalente, pur seguendo la teoria dell'individuazione, ritiene necessaria l'indicazione della ragione dell'azione (Chiovenda, Carnelutti), avvertendo però di non comminare una nullità con regole generali ma di esaminare caso per caso. Oltre a questi requisiti, nella domanda devono essere espresse: la legitimatio ad causam e l'interesse ad agire. Le precise indicazioni richieste nella domanda servono anche a stabilirne il contenuto per impedire successive mutazioni. Si disputa in dottrina se possa (Mortara, Carnelutti, Ascoli e Cammeo) o no (Chiovenda) mutarsi senza accordo delle parti. In grado d'appello poi la domanda non può essere più ampia di quello che era in primo grado.
La domanda giudiziale è - normalmente - l'atto costitutivo del rapporto processuale o processo: la domanda giudiziale esiste dal momento in cui viene notificata all'altra parte e in tal momento s'inizia il processo (Chiovenda). Una dottrina abbastanza diffusa però ritiene che la domanda giudiziale non sia sufficiente a costituire il rapporto, ma occorra la comparizione delle parti o d'una di esse innanzi al giudice (Mortara). Ciò avveniva nei sistemi nei quali per costituire il rapporto processuale occorreva la volontà del convenuto: ma nel moderno processo italiano ciò non è più necessario poiché il convenuto si trova coinvolto nel processo volente o nolente.
Forme della domanda. - La domanda introduttiva della lite si propone per citazione. Esistono due forme di citazione: per biglietto e per atto formale. La citazione per biglietto è ammessa nelle cause inferiori a un certo valore innanzi ai conciliatori, o anche dinanzi agli altri gradi quando si tratti di riprendere un'istanza abbandonata o interrotta. Essa è una forma derivata dalla citazione verbale, poiché contiene una indicazione della causa petendi. La citazione per atto formale contiene la designazione della volontà concreta di legge da attuare (soggetti, oggetto, causa petendi) e l'invocazione d'un giudice con la chiamata del convenuto dinanzi ad esso. Sulla designazione della volontà concreta di legge conviene osservare: riguardo ai soggetti si devono indicare il nome, cognome e domicilio delle parti, in modo che non ci sia incertezza assoluta (art. 145 cod. prod. civ.). Se una delle parti, o entrambe, è incapace si deve indicare il nome del rappresentante; così anche quando è parte una persona giuridica. Per l'oggetto e la causa petendi; vedi sopra.
La domanda introduttiva di lite può anche proporsi nella forma del ricorso. Ciò avviene in certi procedimenti speciali o innanzi a giurisdizioni speciali, come nella denuncia di nuova opera, nel procedimento monitorio, nel sequestro, nel processo dinanzi alla magistratura del lavoro (controversie individuali e collettive), ecc. Nel ricorso - benché intervengano gli stessi elementi della citazione - prevale l'invocazione al giudice perché attui la legge. Il ricorso è normalmente presentato al giudice che provvede, e poi notificato all'altra parte. In altri casi invece il ricorso riveste una vera e propria citazione (come nei ricorsi per cassazione, o dinanzi alla Giunta provinciale amministrativa e al Consiglio di stato entrambi in sede giurisdizionale), in quanto è notificato prima alla parte interessata, e in seguito viene presentato alla giurisdizione invocata che fissa l'udienza di comparizione. Una domanda può essere anche proposta in un giudizio già pendente: in tal caso è proposta per comparsa o oralmente se lo consente il tipo di procedimento. In un giudizio pendente possono proporre domande o le parti (la domanda di riconvenzione, domanda d'accertamento incidentale) o anche terzi (intervento principale e adesivo). Nel processo italiano la domanda è normalmente scritta. La legge (art. 37 cod. proc. civ.) stabilisce per ogni domanda la forma della citazione salvo che non sia altrimenti disposto (e in questo caso intende per domanda l'atto introduttivo del giudizio); le altre domande in corso di causa devono essere fatte per comparsa (art. 162 e, nei casi particolari, 201, 202 c. p. c.). Sono però possibili domande proposte oralmente: queste avvengono nella citazione per biglietto (derivato storico della citazione verbale) e nel caso di comparizione personale delle parti (art. 37), quando però questa si faccia nei gradi inferiori (Conciliazione, Pretura).
La notificazione. - L'atto contenente la domanda giudiziale (citazione, ricorso) dev'essere comunicato al convenuto. Ciò si fa con la notificazione, cioè con la consegna che un ufficiale giudiziario fa d'una copia dell'atto, e con l'attestazione del modo come la consegna è avvenuta e della persona cui è stata fatta. Vi sono varie forme di notificazione (v. art. 135 a 144, 146, 385, ecc. cod. proc. civ.).
La domanda giudiziale come atto del rapporto processuale. - Può essere: a) Domanda introduttiva del processo; tale è la citazione, e, in certi procedimenti speciali, il ricorso. b) Domanda introduttiva d'una fase del processo; il processo è diviso in varie fasi o procedimenti a seconda dei gradi che si percorrono. Chi ha interesse a chiedere un riesame deve farlo con domanda diretta al giudice di grado superiore (atto d'appello, ricorso per cassazione) o allo stesso (opposizione del contumace, opposizione del terzo, domanda di revocazione). c) Domanda per ripresa d'un procedimento precedente; se un'istanza fu abbandonata o interrotta (art. 332 segg. cod. proc. civ.) e perciò la causa fu cancellata dal ruolo, o, in dati casi la causa fu rinviata d'ufficio a un altro giudice, chi voglia riprenderla deve, facendosi parte diligente, citare l'altra con un atto chiamato di riassunzione d'istanza. Caratteristica di questa domanda è che debba esser fatta sommariamente richiamandosi alla domanda già intercorsa fra le parti; spesso poi, costituendo un semplice atto d'impulso, può esser fatta da una qualsiasi delle parti; così se dopo l'espletamento di una prova le parti non furono rinviate a udienza fissa; anche, secondo un'autorevole dottrina (Chiovenda), la citazione dinanzi al giudice di rinvio in seguito a cassazione.
Effetti della domanda giudiziale. - Gli effetti della domanda si distinguono in effetti processuali, prodotti da ogni domanda in quanto tale, ed effetti sul diritto materiale (cosiddetti effetti sostanziali), i quali si verificano invece soltanto quando la domanda è fondata, e cioè accolta dalla sentenza. Gli effetti processuali derivano dal principio dell'unità del rapporto processuale, dal fatto cioè che il processo, benché diviso in varî procedimenti, è unico. Essi sono i seguenti: a) la litispendenzza. Con la proposizione della domanda giudiziale la lite è pendente; il convenuto può opporsi, eccependo la litispendenza, a che l'attore lo chiami dinanzi a un diverso o allo stesso giudice per la stessa lite; b) il diritto dedotto in lite è litigioso. Ciò produce talune incapacità (ad essere amministratore d'enti autarchici o d'opere pie con i quali s'abbia lite pendente); c) chi è parte al momento della domanda rimane parte durante tutta la lite; d) la nullità della domanda (salvo non sia sanata) è nullità dell'intero rapporto; il momento della proposizione della domanda è quello in cui si determinano i presupposti processuali (in particolare la competenza); e) la domanda determina i limiti del potere del giudice (divieto di giudicare oltre la domanda, ne eat iudex ultra petita partium; divieto di mutare la domanda).
Gli effetti sostanziali della domanda sono quelli - più propriamente effetti del processo - che in caso di sentenza favorevole si considerano prodotti al momento della proposizione della domanda. In particolare tali effetti sono: a) Il possessore anche di buona fede è tenuto a restituire i frutti della cosa che gli siano pervenuti dopo la domanda giudiziale. Così pure gl'interessi e le rendite scadute producono interessi dal momento della domanda giudiziale (articoli 1232, 1233 cod. civ.). b) I fatti che normalmente pregiudicano l'azione, dopo la domanda giudiziale non hanno alcuna influenza. Così la perdita del possesso per fatto proprio del convenuto non lo esime da responsabilità (art. 439 cod. civ.): i pagamenti durante la lite al creditore diretto da chi è convenuto dal creditore del creditore non possono opporsi all'attore (articoli 1574, 1645 cod. civ.). Alcune azioni intrasmissibili, una volta proposte, si possono continuare contro gli eredi se la parte muoia durante la lite (articoli 177, 178, 1082 cod. civ.). Talora la sentenza di revoca, rescissione o risoluzione di un negozio giuridico traslativo di proprietà, opera a danno di terzi purché questi non abbiano acquistato diritti sugl'immobili prima della trascrizione della domanda stessa: ciò significa che, in certi casi particolari, la domanda giudiziale dev'essere trascritta, e ciò quando, trattandosi di passaggi di proprietà, essa ha efficacia di fronte ai terzi (articoli 1080, 1088, 1235, 1308, 1511, 1553, 1787, 1933, n. 3, cod. civ.; art. 17 e segg. testo unico 31 dic. 1923, n. 3272). Sempre per la ragione anzidetta la legge nuova che abolisce un'azione non pregiudica le azioni pendenti. Infine un altro effetto di grande importanza produce la domanda giudiziale: durante il processo non corre prescrizione. Talora la domanda ha un altro importante effetto: se il fatto costituisce reato perseguibile per querela di parte, la domanda proposta in sede civile ha l'effetto di precludere la proposizione dell'azione penale. Quest'applicazione del principio electa una via non datur recursus ad alteram è molto più che una semplice litispendenza, poiché, se l'azione civile viene rinunciata o perenta, l'azione penale non sarà per questo proponibile.
Nullità della domanda. - Se nell'atto costitutivo del rapporto manca un presupposto o vi è un difetto, il rapporto non si costituisce validamente. La legge distingue la nullità della citazione dalla nullità della notificazione, a seconda che il difetto avvenga nell'atto formale che contiene l'enunciazione della domanda e l'invocazione del giudice (così se, per es., s'invoca un privato anziché un giudice o vi è incertezza in ciò che si chiede), o nell'attività dell'ufficiale giudiziario nella comunicazione al convenuto (se la domanda non è notificata o lo è difettosamente). Si distinguono inoltre tre gradi di nullità: inesistenza, nullità, annullabilità. V'è inesistenza quando la domanda non esiste nel mondo giuridico, e quindi non produce neppure l'obbligo di provvedere su di essa. Se la domanda esiste ma è difettosa, il giudice deve pronunciare su di essa, dichiarando la nullità d'ufficio (se è nulla), o a istanza di parte (se è annullabile). La maggior parte delle nullità può esser sanata (mai l'inesistenza).
Bibl.: Vedere specialmente le opere di carattere generale: C. Chiovenda, Principî di diritto processuale civile, Napoli 1923 e bibl. Ivi citata (§§ 41 e 45); F. Carnelutti, Lezioni di dir. proc. civ., II e IV, Padova 1924; L. Mortara, Commentario al cod. di proc. civ., III, Milano 1911. Su particolari questioni: A. Ascoli e F. Cammeo, nelle Note alla trad. ital. di C. Crome, Parte generale del dir. priv. francese, Milano 1906; M. T. Zanzucchi, Nuove domande nuove eccezioni e nuove prove in appello, Milano 1919. Per la parte storica: E. Garrone, Contributo alla teorica della domanda giudiziale, Casale 1910. In particolare per il diritto romano: E. Costa, Profilo stor. del proc. civile rom., Roma 1918; L. Wenger, Institutionene des röm. Zivilprozessrechts, Monaco 1925; K. Wieding, Der justinianische Libell-prozess, Vienna 1865; C. Bertolini, Appunti didattici di dir. rom., il processo civile, I-III, Torino 1913-1915; F. L. Keller, Der röm. Civilprocess und die Actionen, Lipsia 1883 (riv. Da Wach); M. A. v. Bethamann-Hollweg, Der Civilprozess des gemeinen Rechts, voll. 6, Bonn 1864-1874 (anche per il processo germanico). Per il diritto medievale: A. Pertile, Storia del diritto italiano, nuova ed., Torino 1891-99. Per il diritto comune: G. G. Wetzell, System des ordentlichen Civilprocess, Lipsia 1878. Sul codice sardo: P. S. Mancini, in Commentario del Cod. di proc. civ. per gli Stati sardi, II, Torino 1855-58.