Diversamente berlusconiani
Nel voto di fiducia al governo Letta, per la prima volta in quasi vent’anni non è stato Berlusconi a decidere che posizione dovesse prendere il suo partito: la parte del PDL guidata da Alfano si è rifiutata di seguirlo all’opposizione. Le due anime del partito riusciranno a convivere o si divideranno?
La votazione sul governo Letta che si è svolta in Senato il 2 ottobre 2013 ha rappresentato un punto di svolta per i destini del governo, della legislatura e del centrodestra. Non è affatto chiaro se possa parlarsi di un vero e proprio tornante storico oppure di un semplice passaggio, per quanto importante, in un percorso ben più lungo e tortuoso.
Che qualcosa sia successo, tuttavia, è indubbio: per la prima volta in quasi vent’anni non è stato Berlusconi a decidere che posizione dovesse prendere il suo partito.
Per 2 mesi, da quando la sentenza sulla compravendita dei diritti Mediaset è passata in giudicato, il ‘cavaliere’ è stato quanto mai indeciso sulla strada da battere: se confermare oppure ritirare il sostegno al governo delle larghe intese. L’incertezza era comprensibile non solo umanamente: la condanna di Berlusconi è stata un evento tutt’altro che meramente personale, anzi altamente politico. La novità del 2 ottobre non è quindi consistita nell’avere il leader del Popolo della libertà scelto infine, con un’estrema giravolta, di votare la fiducia al governo. Con ogni probabilità l’aveva già deciso mille volte, salvo poi tornare altre mille volte sulla decisione. E nemmeno nel fatto che, nell’imboccare questa via, egli abbia finito per seguire una parte dei suoi seguaci. La novità consiste nel fatto che quella parte del PDL, guidata dal segretario Angelino Alfano, gli abbia sostanzialmente imposto di votare la fiducia, rifiutandosi di seguirlo all’opposizione. La chiara sconfitta politica patita dal cavaliere, unita alla decadenza da parlamentare e ai guai giudiziari che si troverà ad affrontare ancora nel 2014, ha posto con ben maggiore forza che in passato la questione di cosa possa essere un centrodestra italiano post-berlusconiano, rafforzando al contempo la candidatura alla leadership di Alfano. La partita, tuttavia, è ancora soltanto all’inizio, e il suo esito è tutt’altro che scontato.
Berlusconi, in primo luogo, non è affatto uscito di scena. Non soltanto controlla straordinarie risorse mediatiche e finanziarie, ma soprattutto è il leader al quale guarda ancora una quota rilevante dell’elettorato italiano, nient’affatto disposta a passare in via automatica a un suo ‘erede’. Il venir meno del cavaliere, se non altro in prospettiva, in secondo luogo, pone il problema dell’unità del centrodestra italiano. La forza di Berlusconi è consistita anche nella sua capacità di tenere insieme pezzi di elettorato molto differenti, e soprattutto elettori moderati e ‘in doppio petto’ con elettori politicamente scorretti e sensibili a richiami populisti. Solo così il cavaliere è riuscito a creare un centrodestra a vocazione maggioritaria, e a vincere più di un’elezione. Con la crisi del berlusconismo queste sue 2 anime si sono l’una contro l’altra armate, e se la contrapposizione si è fatta visibile ‘in alto’, nel ceto dirigente del PDL, sarebbe un errore dimenticare che essa esiste pure ‘in basso’, nel paese.
Per sapere che cosa accadrà al centrodestra italiano bisognerà quindi in primo luogo capire come si muoverà Berlusconi: se continuerà a guardare soprattutto al proprio futuro politico o comincerà a pensare all’eredità che potrà lasciare; se darà priorità alla salvaguardia dell’unità del proprio partito oppure privilegerà questa o quella delle 2 anime del berlusconismo. E poi, anche in dipendenza dalle scelte del cavaliere, si vedrà se nel suo partito le 2 anime riusciranno a trovare un modus vivendi, o se andranno a un divorzio consensuale – che consenta loro in futuro di costruire un’alleanza elettorale – oppure a un divorzio conflittuale. Infine, com’è evidente, tutta questa vicenda sarà condizionata dall’evoluzione complessiva del quadro politico: la nuova legge elettorale, se – com’è probabile – ci sarà; un nuovo assetto costituzionale, anche se è meno probabile che ci sarà; le trasformazioni che interesseranno sia il Partito democratico sia le forze politiche centriste.