disposofobico
s. m. e agg. Chi o che è affetto da disposofobia.
• «È spesso associata allo shopping esasperato, ma sembra avere poco a che vedere con i disturbi compulsivo-ossessivi, il controllo ripetuto di alcune azioni come chiudere il gas o l’automobile. Il disposofobico non si pente mai di mettere da parte oggetti, sebbene lo faccia di nascosto perché se ne vergogna. Infatti evita il più possibile di avere ospiti in casa» (Gabriele Melli intervistato da Chiara Daina, Repubblica, 6 novembre 2012, p. 19, Attualità) • «La differenza con gli Stati Uniti è che da noi non se ne parla molto. Il tema emerge quando c’è qualche allarme di carattere sanitario: ad esempio quando i vicini segnalano un anziano che accumula spazzatura oppure oggetti raccolti dai cassonetti o dalle discariche, o una persona che ricovera in casa sua decine di gatti…», racconta da Padova Ezio Sanavio, docente universitario, curatore della presentazione di «Tengo tutto» e a sua volta terapeuta di un buon numero di disposofobici. (Antonella Mariani, Avvenire, 28 novembre 2012, p. 25, Agorà) • La casa, per [Italo] Rota, non è mai solo dimora: è zaino, o albergo (questa casa è un albergo) o garage palcoscenico, mai casa museo costruita una volta per tutte intorno a se stessi sul modello della Glass House di Philip Johnson a New Haven. I suoi non modelli sono altri: il Merzbau dove Kurt Schwitters radunava gli objet trouvé, oppure quella specie di dollhouse che è Étant donnés di Marcel Duchamp, la casa disposofobica dei fratelli Collyer che accumularono 130 tonnellate di giornali, oggetti e memorie all’interno come magistralmente descritto nel romanzo di Doctorow. (Pierluigi Panza, Corriere della sera, 9 ottobre 2013, p. 41).
- Dall’ingl. disposophobic.