DISOCCUPAZIONE (XIII, p. 22; App. I, p. 520; II, 1, p. 791)
Le dimensioni quantitative del pieno impiego in Italia. - L'accertamento quantitativo del fenomeno della disoccupazione in Italia è utile per la valutazione della dimensione del fenomeno stesso. Sono facilmente comprensibili le difficoltà ad ottenere dati attendibili in materia. La fonte ufficiale più attendibile - perché riflettente dati oggettivi - sembra essere quella degli iscritti alle liste di collocamento. Com'è noto tali iscritti sono divisi in cinque categorie: la prima relativa ai disoccupati già occupati, la seconda ai giovani in cerca di prima occupazione, la terza alle casalinghe in cerca di occupazione, la quarta ai pensionati in cerca di occupazione, la quinta agli occupati in cerca di altra occupazione. Il fenomeno della disoccupazione vera e propria è ristretto alle prime due classi. Secondo i dati riportati nella Relazione generale sulla situazione economica del Paese nel 1960, presentata alle Camere dal Ministro del Bilancio, risultano complessivamente iscritti nelle liste di collocamento le seguenti unità:
Distinti per rami economici negli anni considerati gli iscritti nelle cinque classi di collocamento risultavano:
Tipi di intervento dello stato per la lotta alla disoccupazione. - La dimensione che il problema del pieno impiego assume in Italia aiuta a comprendere la complessità degli interventi che lo stato deve predisporre per l'attuazione del precetto dell'art. 4 Cost., che, come è noto, riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro.
Anzitutto è da precisare. che, data la struttura del nostro sistema produttivo, basata in assoluta prevalenza sulla iniziativa privata, gli interventi predisposti dallo stato per assicurare il diritto al lavoro tendono per la maggior parte a disciplinare, a indirizzare e limitare la iniziativa privata, pur senza espressamente sostituire, se non nei casi di espropriazione dei mezzi di produzione per pubblica utilità (artt. 42 e 43 Cost.) l'iniziativa pubblica a quella privata. Infatti, se guardiamo al settore che determina in misura preponderante il generale processo di aumento dell'occupazione, che è quello dell'industria manifatturiera, possiamo osservare che - secondo i dati del rapporto n. 6 del comitato presieduto da P. Saraceno del 24 giugno 1959 - l'industria manifatturiera italiana occupava, a fine 1958, 4 milioni e 500 mila persone che fanno capo per il 96% a imprese private e per il 4% ad imprese pubbliche. Ciò significa che gli interventi dello stato, al fine di disciplinare, indirizzare o limitare l'iniziativa privata secondo gli obbiettivi sociali di una politica di pieno impiego, devono avvenire con la instaurazione di rapporti giuridici con effetto obbligatorio tra lo stato ed i privati titolari dell'iniziativa economica (art. 41 secondo comma della Costituzione e, per quanto riguarda il settore agricolo, art. 44).
Tali interventi, tuttavia, se vogliono contemperare il precetto dell'art. 4 sul diritto al lavoro con il precetto di cui all'art. 41 primo comma Cost., non possono superare determinati limiti, il limite cioè in cui verrebbe praticamente a cessare l'autonoma responsabilità dell'iniziativa economica privata.
Scendendo all'esame dei tipi di intervento con cui lo stato attua la politica di massima occupazione, si può dire che, in via di massima, lo stato condiziona l'iniziativa privata nel processo produttivo attraverso due categorie di provvedimenti: quelli che tendono a disciplinare l'assunzione dei lavoratori nel rapporto di lavoro (legislazione sulla disciplina del collocamento) e quelli che, operando sul terreno economico dell'incremento o dell'orientamento degli investimenti, tendono a creare le condizioni dell'aumento della domanda di lavoro.
La disciplina del collocamento. - La legge fondamentale è quella del 29 aprile 1949, n. 264, sul servizio di collocamento, che ha sostituito la disciplina sul collocamento vigente nel regime fascista (contenuta nel r. d. l. 21 dicembre 1938, n. 1934).
Il sistema della legge attribuisce allo stato il monopolio nella mediazione del rapporto di lavoro; il collocamento è definito, infatti, una pubblica funzione esercitata attraverso organi centrali, quale la Commissione Centrale per l'avviamento al lavoro e per l'assistenza dei disoccupati, ed organi periferici, quali l'Ufficio Provinciale del lavoro e della massima occupazione e le sezioni o i collocatori comunali.
Chiunque aspiri ad essere avviato al lavoro deve essere iscritto nelle liste di collocamento, secondo la qualifica risultante dal libretto di lavoro. I datori di lavoro sono tenuti ad assumere i lavoratori, dei quali abbiano bisogno, iscritti nelle liste di collocamento. Il datore di lavoro non è tenuto a questo obbligo, e può fare richiesta nominativa dei lavoratori iscritti nelle liste che intenda assumere, quando impieghi parenti fino al terzo grado, quando assuma dirigenti, lavoratori di concetto o specializzati o dipendenti cui devono essere affidate mansioni di particolare fiducia (custodi, domestici, portieri, ecc.) o quando diriga una azienda con non più di cinque dipendenti.
Il sistema del collocamento disciplinato dalla legge 29 aprile 1949 n. 264, tende a rendere effettivo ed attuale l'esercizio del "diritto al lavoro". Compito del collocamento è quello di garantire una condizione di parità dei lavoratori, di fronte alla domanda dei datori di lavoro, specie quando si tratta di mano d'opera non specializzata, ed inoltre di cercare e di favorire occasioni di lavoro.
Il servizio di collocamento non abolisce la libertà contrattuale nel senso che, a seguito della richiesta dal datore di lavoro, l'indicazione da parte degli Uffici di Collocamento di lavoratori da assumere non sostituisce il contratto. Infatti, l'indicazione dei lavoratori che il datore di lavoro richiedente è tenuto ad assumere (salvo che non si tratti di un ex dipendente già licenziato per giusta causa) crea solo a favore del lavoratore un diritto soggettivo all'assunzione secondo le tariffe e i contratti collettivi vigenti.
La politica degli investimenti. - Il secondo tipo d'interventi dello stato costituito da quei provvedimenti che tendono a creare le condizioni dell'aumento della domanda di lavoro, si può realizzare attraverso investimenti pubblici diretti o attraverso un sistema di incentivi o di sanzioni che condizionano l'iniziativa privata.
Il settore più importante degli investimenti pubblici è quello che si realizza attraverso la politica di lavori pubblici la quale, oltre allo scopo principale di fornire all'economia nazionale le condizioni base di vita e di sviluppo (le cosiddette infrastrutture) persegue indirettamente anche lo scopo di impiegare mano d'opera. Talvolta lo scopo indiretto dell'assorbimento della mano d'opera viene considerato dal legislatore come lo scopo principale: così è per il cosiddetto piano Fanfani o INA-Case di cui alla legge 28 febbraio 1949, n. 43, che tende ad incrementare l'occupazione operaia agevolando la costruzione di case per i lavoratori. Secondo i dati riportati dalla citata relazione generale della situazione economica del Paese, attraverso i cantieri INA-Case sono state complessivamente effettuate nel 1958 n. 8.648.781 giornate-operaio e nel 1959 n. 16.064.283 giornate-operaio. Gli altri settori in cui trovano largo impiego gli investimenti pubblici sono quelli dell'agricoltura e delle opere di pubblica utilità che comprendono, secondo la classificazione adottata dalla relazione generale sul bilancio economico nazionale, l'energia elettrica, i gas naturali, ferrotranvie, telefoni, acquedotti, poste e radio. Infine, l'intervento dello stato può condizionare l'iniziativa privata verso determinati investimenti nei settori produttivi dell'agricoltura, dell'industria, dei servizî ed in quello delle abitazioni.
Tuttavia, in un sistema economico moderno la politica degli investimenti statali o degli incentivi statali agli investimenti privati espone a delle gravi incognite. In un paese, come l'Italia, dove esiste un fondo rilevante di disoccupati e di sottoccupati, si corre il rischio che investimenti diretti ad un rapido assorbimento dell'offerta di lavoro finiscano con il rallentare il progresso della produttività, e, al contrario, che investimenti diretti ad uno sviluppo della produttività, per consentire ai nostri settori produttivi d'entrare in competizione con i paesi più progrediti, non allarghino la domanda del lavoro. Per comporre l'antinomia, per assicurare che l'incremento di investimenti persegua, in maniera complementare, fini di incremento della produttività e della occupazione, è necessaria una politica di investimenti qualificati secondo certe linee direttrici predeterminate allo scopo di consentire un allargamento del mercato nelle zone più depresse mediante la creazione di unico omogeneo mercato nazionale.
Da queste considerazioni è nata la esigenza di uno schema di sviluppo dell'economia e del reddito che propone il perseguimento di due obbiettivi tra loro complementari, quello dell'assorbimento della disoccupazione o sottoccupazione e dell'eliminazione del disquilibrio tra zone sviluppate e zone depresse. Tali obbiettivi, secondo le previsioni dello schema, sono raggiungibili in un determinato numero di anni ipotizzato a 10, a condizione che permanga un incremento di reddito annuo non inferiore al 5% e che gli investimenti pubblici e privati subiscano un incremento, secondo percentuali previste in via ipotetica dallo schema e aggiornabili in relazione all'andamento della congiuntura.
In base al citato rapporto n. 6 del "Comitato Saraceno" la valutazione della misura in cui gli obbiettivi indicati dallo schema Vanoni (v. vanoni, ezio, in questa App.) sono stati realizzati nel quadriennio 1955-58 porta alle seguenti conclusioni: il reddito nazionale si è accresciuto in ragione del 5,2% medio annuo e cioè in misura superiore alle previsioni; tuttavia la occupazione, nonostante una emigrazione superiore alle previsioni, è stata del 10-15% inferiore alle previsioni dello schema. In particolare, secondo le previsioni dello schema, nel primo quadriennio si sarebbe dovuto avere un assorbimento totale, interno ed estero, all'infuori del settore agricolo, di 1 milione 600 mila unità di cui 1 milione 280 mila per aumento di occupazione interna e 320 mila per emigrazione. Invece si è avuto un assorbimento di circa 1 milione e 400 mila unità, di cui tra un milione e un milione e 100 mila unità occupate all'interno e 350 mila unità emigrate. La ragione di tale deficienza si deve ricercare nel saggio annuo di aumento degli investimenti, che è stato, nel primo quadriennio, inferiore alle previsioni di almeno l'1% nel totale e rispetto alle singole voci inferiore per tutti gli investimenti produttivi e superiore solo per gli investimenti in abitazioni.
Dal bilancio del quadriennio 1955-58 si ricava, quindi, la conclusione che per una soluzione in termini relativamente brevi del problema della disoccupazione in Italia occorre incrementare in maniera organica e coordinata gli investimenti produttivi pubblici e privati.
Gli strumenti giuridici degli investimenti pubblici stanno nelle leggi di bilancio dei varî dicasteri, con particolare riguardo a quelli economici di spesa (Lavori Pubblici e Agricoltura; Pubblica Istruzione per quanto riguarda le scuole e la formazione professionale) nonché nella legislazione che autorizza i bilanci e regola i poteri degli Enti pubblici cui sono affidati servizî di pubblica utilità. In maniera particolare devono essere considerati gli investimenti compiuti tramite la Cassa del Mezzogiorno.
Gli strumenti giuridici con cui lo Stato indirizza e coordina gli investimenti privati consistono nella concessione di sussidî in conto capitale o in interessi sui mutui per determinati investimenti dei privati in agricoltura, o nell'industria, nelle zone della Cassa del Mezzogiorno, in esenzioni fiscali, ecc., e soprattutto in iniziative economiche delle imprese di stato o a partecipazione statale che, sotto l'indirizzo politico del Ministero delle Partecìpazioni statali, possono mettersi in competizione concorrenziale con le imprese private.
Corsi professionali e cantieri scuola. - Fra gli strumenti posti in essere dallo stato nel quadro dell'incremento della occupazione, una particolare menzione meritano le provvidenze per l'addestramento professionale degli apprendisti artigiani, dei lavoratori in soprannumero e dei disoccupati, disposte dalla legge 29 aprile 1949 n. 264. Questa legge prevede il finanziamento di corsi per disoccupati, di corsi aziendali di riqualificazione e di cantieri-scuola dove i lavoratori percepiscono, oltre al sussidio di disoccupazione, una indennità giornaliera. Secondo la citata fonte della Relazione generale della situazione economica del Paese nel 1958 sono state effettuate 26.721.028 giornate-operaio e nel 1959 18.348.411 giornate-operaio, in prevalenza nei settori delle opere stradali e di bonifica. Nel 1959 i cantieri di lavoro sono stati 12.372, con l'impiego di 318.470 operai e 24.145 istruttori.
Disciplina dell'imponibile della mano d'opera. - La legge che disciplinava l'imponibile di mano d'opera in agricoltura (d. l. C. p. S. 16 settembre 1947 n. 929) si inquadrava tra gli strumenti della realizzazione di una politica di pieno impiego, come è provato dalla denominazione del provvedimento recante "Norme circa il massimo impiego dei lavoratori agricoli". Tale decreto è stato, tuttavia, abrogato con sentenza 30 dicembre 1958 n. 78 della Corte Costituzionale, che lo ha ritenuto in contrasto con la libertà d'iniziativa economica riconosciuta dall'art. 41 della Costituzione.
Infatti il decreto abrogato, pur rientrando tra gli interventi dello stato secondo il fine costituzionalmente lecito ed anzi protetto di assicurare il diritto al lavoro (art. 4) e di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l'eguaglianza dei cittadini (art. 3), in realtà si discostava dal precetto costituzionale in relazione allo strumento usato per garantire il diritto al lavoro.
La legge sull'imponibile consentiva nelle provincie e nelle zone di particolare disoccupazione agricola la fissazione del massimo carico obbligatorio di giornate lavorative per ettaro-coltura da imporsi alle varie categorie di aziende agrarie e boschive. In conseguenza della determinazione dell'imponibile, gli imprenditori erano obbligati alla assunzione di lavoratori nel numero indicato dall'imponibile stesso. Ora una tale imposizione, oltre a contrastare con gli orientamenti di carattere economico, come quelli impliciti nello schema Vanoni, secondo cui il pieno impiego richiede la diminuzione della occupazione in agricoltura (col trasferimento della mano d'opera nell'attività industriale e terziaria) finisce col penetrare nel settore riservato all'autonomia imprenditoriale.
In altri termini si può affermare che il diritto al lavoro nel settore agricolo, come in ogni altro settore produttivo, deve essere protetto con strumenti diversi e più organici, quali quelli indicati dall'ultimo comma dell'art. 41 della Costituzione. Tali strumenti limitano la iniziativa privata, ma condizionandola dall'esterno e senza pretendere che lo Stato si sostituisca al privato nella combinazione dei fattori produttivi. In tal modo l'iniziativa privata viene indirizzata verso i fini stabiliti nei programmi economici e sociali della legge dello stato, senza essere incisa nella sua autonomia.
Bibl.: L. Barassi, Previdenza sociale e lavoro subordinato, Milano 1954; L. Levi Sandri, Istituzione di legislazione sociale, 6ª ediz., Milano 1958; G. Cannella, Corso di diritto della previdenza sociale, Milano 1959; P. Gasparri, L'assicurazione contro la disoccupazione involontaria, in Trattato di diritto del lavoro diretto da U. Borsi e F. Pergolesi, IV, Padova 1959.