DIMOSTRAZIONE (lat. demonstratio; ted. anche Beweis)
Significa, per Aristotele, ragionamento con cui si stabilisce la verità di una proposizione o di un ordine di proposizioni, in modo necessario (v. apodissi). Per ciò il ragionamento deve procedere sul modello delle matematiche, secondo le regole del discorso deduttivo (riducibile a una catena di sillogismi) a partire da principî veri e immediati (termini o definizioni e assiomi: v.). Aristotele afferma e difende l'esistenza di principî in senso assoluto e il suo concetto della scienza dimostrativa a priori, contro due ordini di avversarî (An. Post., I, 3) i quali ritengono che non vi siano principî, e la deduzione dia luogo a un regresso all'infinito, ovvero che i principî possano dimostrarsi dalle loro conseguenze, così come queste da quelli. Tali concezioni relativistiche risalgono, forse, la prima ai sofisti empiristi, la seconda a Democrito. Comunque, esse vengono riprese nella filosofia ellenistica, particolarmente con la scepsi. Tuttavia la seconda, che si profila nella logica probabilistica di Carneade, prende il suo vero significato soltanto con lo sviluppo della scienza moderna. All'obiezione di Aristotele che dal falso può dedursi il vero, Keplero e Galileo rispondono che bisogna tener conto della probabilità; chi parta da premesse false s'imbatterà, prima o poi, in innumerevoli conseguenze false. A questa veduta si riattacca l'idea dell'esperienza come cimento o sfida alla natura di rispondere diversamente dalle previsioni d'una teoria di cui si presume la verità: è l'idea che sta a base del metodo sperimentale.
La questione se possa darsi scienza dimostrativa a priori, è stata lungamente dibattuta nella filosofia moderna. Descartes ha sostenuto la tesi razionalistica, concedendo la verità a priori dei principî chiari ed evidenti che la ragione intuitiva trova in sé stessa, e riferendosi per ciò all'esempio tipico della geometria. Ma Hobbes e più tardi in un senso più profondo Leibniz, han cercato di ridurre anche i principî di questa a semplici definizioni e a giudizî identici o analitici, che costituirebbero gli assiomi. Di contro, la filosofia empirica inglese, da Locke a Berkeley e a Hume, ha sostenuto il significato sperimentale di tali principî e il fondamento induttivo sperimentale di ogni scienza possibile.
Il problema è stato ripreso da Kant, il quale ritiene i principî della geometria e della fisica pura (meccanica razionale e suo prolungamento) giudizî sintetici a priori, che ineriscono alle forme dell'intuizione, soggiacente a ogni esperienza possibile. Tuttavia la giustificazione kantiana di tali principî, cui dovrebbe conferire realtà la possibilità della scienza, è stata battuta in breccia dalla costruzione delle geometrie non-euclidee e dagli sviluppi della moderna gnoseologia scientifica. Si riesce così a un concetto relativistico e storico della scienza stessa, nella quale non si scorge più un ordine di verità immutabili, sub specie aeternitatis, ma piuttosto un progresso di sistemi che si svolge, per successive induzioni e deduzioni, salendo sempre a verità più alte, più approssimate e più comprensive.
Bibl.: F. Enriques, Per la storia della logica, Bologna 1922.