GUICCIARDI, Diego
Nacque in Svizzera, a Lugano, il 26 febbr. 1756 da Giuseppe Lodovico, nobile valtellinese originario di Ponte, e dalla nobildonna luganese Maria Maddalena Maderna. Compiuti gli studi legali, nel 1777 ottenne la laurea in utroque iure a Pavia e, distintosi nell'attività forense in patria, presto fu chiamato a una carriera amministrativa di rilievo non solo locale, secondo un iter di uffici giudiziari e politici non infrequente per un figlio di famiglia. Nel giugno 1779, appena ventitreenne, fu nominato luogotenente generale del vicario grigione, che in Sondrio era il titolare della giurisdizione penale; l'anno seguente divenne luogotenente e delegato della pretura di Morbegno (1° genn. 1780 - 12 giugno 1781), ufficio che ricoprì di nuovo per un biennio dal 12 giugno 1783. Ma il suo vero esordio in politica si ebbe nel giugno 1785 quando, eletto per un biennio cancelliere supremo della Valtellina, si trovò a rappresentare con energia ma anche con perizia diplomatica gli interessi dei compatrioti di fronte al governo dei Grigioni, sotto il quale la Valtellina si trovava quasi ininterrottamente dal 1512.
I Valtellinesi chiedevano il rispetto degli antichi statuti locali, riconosciuti dalle Tre Leghe Grigie nel capitolato di Milano del 1639, garantiti dal governo spagnolo e poi, nel secolo successivo, da quello austriaco. Nel corso del Settecento gravi abusi erano stati commessi dai magistrati grigioni nell'amministrazione della giustizia, mentre sotto la loro protezione erano tornate a insediarsi in Val Chiavenna alcune ricche e influenti famiglie protestanti, in spregio agli statuti. Il G. ebbe modo di distinguersi per un decennio in questa difficile opera di mediazione: dopo una protesta alla Dieta di Ilanz nel settembre 1786 e la presentazione a Coira di "Quindici punti di gravami" (20 apr. 1787), in cui erano esposte le principali violazioni del diritto statutario valtellinese, arenatosi il negoziato il G. e i delegati valtellinesi e chiavennaschi invocarono il governo austriaco come mediatore. Dopo una missione a Milano presso il plenipotenziario conte J.J. Wilczeck, nel maggio del 1788, essi andarono a Vienna rivolgendosi agli stessi Asburgo, nel 1789, '90, '93. Compiuto il mandato di assessore del tribunale vicario (1793-95) il G. fu per la quarta volta a Vienna dal dicembre 1795 al marzo '96. Nonostante l'Austria avesse accolto con favore le istanze dei Valtellinesi e si fosse apprestata a farle valere presso i Grigioni, il peggioramento della situazione internazionale e la minaccia della Francia rivoluzionaria alle frontiere alpine fecero sì che Vienna adottasse una politica vieppiù dilatoria e ambigua, tale da scontentare il notabilato valtellinese.
Anche per il G., come per tanti altri giovani di ceto nobile o "civile" aperti alle idee di cambiamento, ancorché piuttosto in un senso di moderazione politica e di conservazione sociale, la svolta venne con l'arrivo nell'Italia settentrionale delle truppe repubblicane francesi: nell'agosto 1797 egli fece parte della delegazione inviata a trattare con Napoleone Bonaparte la questione valtellinese. In realtà i Francesi, anziché tutelare le autonomie, favorirono la pura annessione della Valtellina e dei contadi di Bormio e Chiavenna alla neocostituita Repubblica Cisalpina (22 ott. 1797), decretata senza condizioni malgrado le proteste dei deputati. Per il G., tuttavia, si aprì una carriera politica di alto profilo. Dopo aver coadiuvato A. Aldini, commissario organizzatore del dipartimento dell'Adda e Oglio, con preziose informazioni sul territorio valtellinese, egli ottenne da Bonaparte un seggio nel Corpo legislativo come membro del Consiglio dei seniori; il 9 nov. 1797 vi inaugurò un'intensa attività politica al servizio della Repubblica. Nel gennaio 1798 il direttorio esecutivo lo inviò in Romagna per organizzare i dipartimenti del Lamone e del Rubicone, compito che assolse con solerzia ma non senza qualche critica. Il 13 aprile giunse la nomina a ministro di Polizia e l'11 luglio quella a ministro degli Affari Interni, carica che mantenne fino al 1° febbr. 1799. Durante l'occupazione austro-russa si ritirò in patria, dove non fu molestato, forse per le relazioni intrattenute con la corte di Vienna. Nel 1799 presiedette anche il comitato vettovaglie della Valtellina per l'approvvigionamento delle truppe imperiali e in una Memoria alla R. I. Commissione di polizia generale della Lombardia austriaca (edita in D. Guicciardi, Le memorie, a cura di S. Massera, Sondrio 1987) giustificò la propria condotta nel biennio precedente.
Ma la vittoria napoleonica di Marengo, riconsegnando ai Francesi buona parte dell'Italia settentrionale, consentì al primo console Bonaparte di varare un nuovo ordine di cose. Esso fu sancito dai Comizi elettorali di Lione, ai quali il G. partecipò (dal 12 dic. 1801) come rappresentante del dipartimento del Lario, assumendovi una posizione di rilievo. Come membro del Comitato dei trenta, nel quale fu eletto con 133 suffragi subito dopo F. Melzi d'Eril e A. Aldini, collaborò alla definizione delle candidature politiche della nascente Repubblica Italiana, proclamata il 26 genn. 1802. Il G. vi ricoprì subito uffici di vertice: come segretario di Stato dimostrò competenze amministrative indubbie, pur prestando il fianco a rilievi di favoritismo verso i compatrioti valtellinesi. Chiamato alla Consulta di Stato in sostituzione del defunto duca G.G. Serbelloni, non vi mostrò l'equilibrio necessario, attirandosi il biasimo del vicepresidente Melzi: "Il Presidente avea assai meglio di me giudicato Guicciardi, che rilevasi più che indiscreto nel parlare e sempre mosso da intrighetti e viste personali. Egli coltiva il partito de' preti e de' nobili" (Melzi a Marescalchi, in I carteggi…, II, 3 sett. 1802, p. 357). Si stigmatizzarono altresì il suo spirito eccessivamente critico e le troppo rapide fortune patrimoniali, che gli garantirono la cospicua rendita annua di 30.000 lire (ibid., 17 settembre, e Marescalchi a Melzi, 4 ott. 1802, pp. 391, 440). Tuttavia, forse in quanto uomo simbolo dell'intera Valtellina, il G. fu ancora chiamato da Napoleone alle cariche più prestigiose del Regno Italico: entrato nel Consiglio di Stato (9 maggio 1805) come membro della sezione di giustizia e poi dei consultori, il 1°agosto fu nominato a una direzione generale tra le più delicate: quella di Polizia. Qui non fu all'altezza del compito, non è chiaro se per negligenza o eccesso di cautela. Già nel 1806 offrì egli stesso le dimissioni e solo la difficoltà di trovare un sostituto lo costrinse a rimanere in servizio almeno fino all'aprile 1809. Malgrado ciò i suoi rapporti come direttore della polizia, indirizzati a Parigi con cadenza mensile, sono una fonte importante sul periodo. La nomina (19 febbr. 1809) a un organo di alta rappresentanza senza effettivi poteri, come il nuovo Senato, del quale fu cancelliere, ebbe tutto il sapore di un promoveatur ut amoveatur; né mancarono al G. onorificenze, quali la commenda della Corona di ferro, il titolo di conte (decreto del 12 apr. 1809) e persino la Légion d'honneur. Tra 1809 e 1810 fu membro della commissione italo-francese dei confini e dal 4 al 20 apr. 1810 fu a Parigi per conto del Senato italico per rendere omaggio all'imperatore, novello sposo di Maria Luisa d'Austria.
Ma il rapido mutare della situazione internazionale gli restituì un ruolo attivo nella politica allorquando, tramontata la potenza di Napoleone, il 17 apr. 1814 assunse la guida della fazione antibonapartista del Senato, opponendosi al progetto del Melzi di dare il trono italico al viceré E. de Beauharnais. Scelto dal Senato con L. Castiglioni e C. Testi per una missione diplomatica presso le potenze della coalizione antinapoleonica, dopo la sommossa milanese del 20 apr. 1814, che costò la vita al ministro delle Finanze G. Prina, rinunciò al viaggio e tornò a Milano. Dall'agosto 1814 al giugno 1815, come deputato del Consiglio dipartimentale dell'Adda, il G. fu di nuovo a Vienna per presentare una petizione, che fu accolta, perché la Valtellina, Bormio e Chiavenna restassero unite alla Lombardia asburgica. Il 14 dic. 1814 inoltrò domanda al governo austriaco per la pensione di funzionario.
Con il Regno Lombardo-Veneto si aprì l'ultima, non meno fortunata stagione politica del G., tornato a fare tesoro delle sue antiche benemerenze con l'Austria, mai sconfessate. Eletto deputato nobile della provincia di Sondrio alla Congregazione centrale (24 genn. 1816 - 17 febbr. 1818), ottenne da Francesco I un vitalizio annuo di 3000 lire (maggio 1816) e il riconoscimento dell'antica nobiltà della famiglia, ma non dei titoli napoleonici (1° genn. 1817). Da Milano, per alcuni anni, il G. fu anche informatore confidenziale del Metternich sulle cose d'Italia e raggiunse l'apice della carriera con la nomina a vicepresidente dell'i. r. governo di Lombardia (17 febbr. 1818), con 6000 fiorini annui; il 24 sett. 1825, ottenuta la quiescenza, si ritirò a vita privata, insignito anche del titolo di consigliere intimo attuale di Stato. Dal 1818 al 28 febbr. 1826 presiedette la Commissione centrale di beneficenza, creata per fronteggiare la miseria dei ceti popolari, dalla quale nacque nel 1823 la prima Cassa di risparmio delle provincie lombarde.
Nell'agosto 1828 scrisse un'interessante Memoria sulla mia vita politica e sugli impieghi sostenuti da conservarsi dai miei figli (edita anch'essa nelle Memorie) ripercorrendo la sua lunga carriera pubblica.
Sulla sua figura il giudizio storico non è unanime. L'indubbia abilità politica, che gli consentì di attraversare indenne e in posizioni di grande rilievo i governi e regimi dei due secoli "l'un contro l'altro armato", da un lato ha suscitato l'ammirazione della storiografia locale, dall'altro gli ha attirato il giudizio più severo di uno studioso francese come A. Pingaud e, da parte italiana, qualche dubbio sulle sue reali capacità di governo, almeno durante l'amministrazione napoleonica. In effetti egli sembra incarnare il talento e, a un tempo, le contraddizioni dei grandi notabili italiani che, chiamati a esperienze di governo per la prima volta "nazionali", rimasero molto legati alle loro antiche "piccole patrie".
Quanto alla vita privata, essa fu segnata da due matrimoni: nel 1786 con Eleonora Paravicini di Ardenno, che diede al G. nove figli e morì di parto nel 1797; nel 1799 con Teresa Delfini, da cui ebbe sei figli. Nel 1814 ne erano in vita 14, di cui due ufficiali nell'esercito imperiale.
Il G. morì a Milano l'11 apr. 1837.
Fonti e Bibl.: Documenti sul G. sono conservati negli archivi privati Guicciardi di Roma e Torelli di Tirano e nei seguenti archivi pubblici: Arch. di Stato di Sondrio, Raccolta Romegialli e Fondo manoscritti della Biblioteca; Arch. di Stato di Milano, Archivio Aldini, bb. 7, 9, 24-28, 35; Archivio Marescalchi, bb. 61, 79; Consiglio legislativo - Consiglio di Stato, bb. 605, 625; Uffici regi, p.m., bb. 45, 548; parte speciale, bb. 13-14, 53, 59-63; Vicepresidenza Melzi, bb. 24-25 unite, 33; Arch. di Stato di Bologna, Carte Aldini, b. 6; Forlì, Biblioteca comunale, Autografi secolo XIX, 93, 134; Vienna, Haus, Hof-und Staatsarchiv, Provinzen Lombardo-Venetien, 5 e 17 (Protocollo Guicciardi); Vertrauliche Akten, 50. Tra le fonti edite: La Romagna nel 1798: diario del cittadino D. Guicciardi, commissario della Repubblica Cisalpina nei Dipartimenti del Lamone e del Rubicone (piovoso-germile Anno VI), a cura di L. Rava, Modena 1933; I carteggi di Francesco Melzi d'Eril, duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, Milano 1958-66, I-IX, ad indices; D. Guicciardi, Una lettera inedita dai Comizi di Lione, in Boll. della Soc. storica valtellinese, XVIII (1965), pp. 15-18; S. Massera, Lettere e memorie di notabili valtellinesi deputati ai Comizi di Lione (1801-1802), ibid., XXXIV (1981), pp. 103-117.
Vedi anche: F. Coraccini [G. Valeriani], Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano 1823, pp. XCIII-XCIV, 151; G. Romegialli, Storia della Valtellina e delle già contee di Bormio e di Chiavenna, IV, Sondrio 1839, pp. 132-140, 144; L. Gadola, Albo storico biografico degli uomini illustri della Valtellina, Sondrio 1879, p. 44; T. Casini, Ritratti e studi moderni, Roma 1914, pp. 422 s.; A. Pingaud, Les hommes d'État de la République Italienne: 1802-1805. Notices et documents biographiques, Paris 1914, p. 77; U. Da Como, I comizi nazionali in Lione per la costituzione della Repubblica Italiana, III, 2, Notizie biografiche dei deputati, Bologna 1940, pp. 63 s.; sul ruolo politico: La delegazione valtellinese al Congresso di Vienna (1814-1815), a cura di S. Massera, Sondrio 1981; L. Antonielli, I prefetti dell'Italia napoleonica. Repubblica e Regno d'Italia, Bologna 1983, ad ind.; M. Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna 1983, pp. 129 s., 135, 137, 202, 246, 253, 302, 328, 331; Id., Il Regno Lombardo-Veneto, Torino 1987, pp. 4, 53, 84, 91, 156, 264-266, 317; F. Della Peruta, Esercito e società nell'Italia napoleonica, Milano 1988, pp. 174-177, 179, 183-185, 205, 254, 264, 267 s., 297; A. Cova - A.M. Galli, La Cassa di risparmio delle provincie lombarde dalla fondazione al 1940, I, Milano-Roma-Bari 1991, pp. 23, 30, 35, 332; S. Massera, La fine del dominio grigione in Valtellina e nei contadi di Bormio e di Chiavenna, 1797, Sondrio 1991, ad ind.; Id., Napoleone Bonaparte e i Valtellinesi. Breve storia di una grande illusione, Sondrio 1997, pp. 11, 49 s., 56, 58 s., 89; A. Pillepich, Milan capitale napoléonienne (1800-1814), Paris 2001, ad indicem.