TAJANI, Diego Antonio
Nacque a Cutro (oggi Crotone), allora nella provincia di Calabria Ulteriore Seconda (Catanzaro), l’8 giugno 1827 da Giuseppe e Teresa Fattizzi. Il padre era generale dell'esercito borbonico che reggeva il comando militare della provincia di Catanzaro.
Proveniente da un’antica famiglia originaria di Vietri sul Mare (Salerno), dove si trasferì quando il padre venne collocato a riposo, Tajani si laureò in diritto all’Università di Napoli il 17 maggio 1850, compiendo anche studi di filosofia e belle lettere insieme a quelli di fisica, chimica patologica e anatomia pratica. Già nel 1848 aveva partecipato ai moti liberali, distinguendosi per aver organizzato le elezioni del 18 aprile a Salerno accanto a Michele Pironti, poi eletto deputato al Parlamento nazionale napoletano, e avversario tenace del regime borbonico al punto di essere condannato a ventiquattro anni di carcere duro. L’impegno politico costò a Tajani l’iscrizione nelle liste degli ‘attendibili’ da parte della polizia borbonica, nonché, successivamente, il domicilio coatto nella sua casa Vietri, oltre a un arresto evitato a stento.
Si dedicò con successo alla professione forense presso la Gran Corte di Salerno, mettendosi subito in luce per le sue capacità. Nel 1858, in un processo, svoltosi tra gennaio e luglio, destinato ad avere una grande eco anche sulla stampa internazionale, Tajani assunse, nonostante i provvedimenti restrittivi cui era sottoposto, la difesa di Giovanni Nicotera e di altri sedici sopravvissuti della spedizione di Sapri presso la stessa Gran Corte. Fu però costretto all’esilio subito dopo, per l’accusa infondata di far parte della setta dell’Unità italiana. Si imbarcò il 30 agosto 1858 verso Genova, dirigendosi poi a Torino, dove fu accolto trionfalmente dagli altri esuli napoletani, emigrati da tempo nel Regno sabaudo.
Nel frattempo, nel 1856, Tajani si era sposato con la francese Giuseppina Sevoulle, morta di parto il 4 aprile 1858 dando alla luce la figlia Pina; si sarebbe nuovamente sposato con la sorella di Giuseppina, Fanny, anche lei morta di parto dopo la nascita del figlio Giovanni, e, infine, con Teresina Foresta, originaria di Cutro, con la quale ebbe cinque figli: Chiara, Vittorio, Anna, Alberto e Ida.
A Torino, anche grazie all’aiuto del conterraneo Raffaele Conforti, patriota, magistrato e futuro guardasigilli, dal 1858 Tajani riprese con successo la professione forense, scrivendo anche un Commentario al codice penale sardo, molto apprezzato e, secondo l’allora ministro della Giustizia Giovanni De Foresta, meritevole di costituire un’opera di riferimento per la magistratura. Nel 1859, durante la seconda guerra d’indipendenza, Tajani si arruolò come volontario nell’11° reggimento di fanteria dei Cacciatori delle Alpi (Brigata Casale), ma ben presto, dal 19 giugno 1859 al 18 novembre 1860, assunse le funzioni di uditore di guerra divisionale della divisione modenese-parmense, e, quindi, di viceuditore generale (con il grado di tenente colonnello) presso il quartier generale dell’esercito, con il compito di organizzare i tribunali militari in Italia centrale. Di lì a poco, passò alla magistratura ordinaria, designato da Luigi Carlo Farini, luogotenente del re per le Province napoletane, a giudice della Gran Corte criminale, ‘in missione’ di procuratore generale presso la corte d’appello dell’Aquila (un incarico abbastanza inusuale per l’epoca, era il 19 novembre 1860).
Prima di raggiungere la nuova sede, però, venne nominato prefetto di polizia a Napoli, dove affiancò Silvio Spaventa, allora consigliere di Luogotenenza, con il compito di riorganizzare l’amministrazione della giustizia, specialmente in relazione alla incombente presenza della camorra, all’inizio tollerata dal nuovo governo, negli uffici dedicati alla tutela dell’ordine. Nonostante l’opposizione politica della Sinistra e del partito borbonico, il nuovo prefetto era riuscito a sciogliere il corpo delle guardie di pubblica sicurezza, vale a dire le pattuglie di Liborio Romano. Ben presto, però, a causa di divergenze con il nuovo luogotenente generale, il generale Enrico Cialdini, che ricostituì le stesse bande, Tajaini si dimise insieme a Silvio Spaventa il 18 luglio 1861.
Rientrato in magistratura, con decreto dell’8 agosto 1861, e destinato nello stesso ruolo cui era stato incaricato in precedenza, il 6 aprile 1862 assunse anche le funzioni di sostituto procuratore generale e, nel gennaio 1863, di reggente della stessa procura generale della corte d’appello dell’Aquila. Ottenuto il trasferimento a Napoli come sostituto procuratore generale presso la corte d’appello della città partenopea il 18 settembre 1864, nell’anno successivo, Tajani si trovò ad essere il bersaglio di un attacco anonimo – ma redatto da Nicotera, allora mazziniano – pubblicato sul giornale Il Popolo d’Italia, per aver ospitato Spaventa nella sua villa di Vietri, insieme ad altri magistrati. L’accusa era di voler approfittare di quell’amicizia per avanzare in carriera e partecipare alla politica nazionale. Nonostante Tajani venisse in quella occasione difeso da pressoché tutta la classe forense salernitana, l’episodio lasciò lo strascico di una forte inimicizia con Nicotera, evidentemente immemore della solidarietà di Tajani in occasione del processo del 1858.
Seguirono, poi, una serie di trasferimenti: dapprima, nel 1865, come procuratore generale reggente presso la corte d’appello di Ancona, nel 1866 presso la corte d’appello di Catanzaro, con la promozione di Tajani a titolare dell’ufficio nel 1868. Dal 17 ottobre dello stesso anno al 28 aprile 1872, venne, infine, ‘tramutato’ presso la corte d’appello di Palermo, con lo stesso grado di procuratore generale, in quello che sarebbe stato il suo ultimo incarico in magistratura.
Dopo i moti del 1866 nella città siciliana, la situazione apparve subito al nuovo procuratore generale estremamente pericolosa e fuori dalla legalità, con il coinvolgimento di elementi della maffia locale nella stessa gestione dell’ordine pubblico e con l’utilizzo di strumenti repressivi e di detenzione da parte delle autorità di polizia senza l’intervento della magistratura. In particolare, nella sua lotta contro questi metodi, Tajani entrò in urto con il prefetto di Palermo, il generale Giacomo Medici del Vascello, prestigiosa figura distintasi nella difesa della Repubblica romana a Porta San Pancrazio nel 1849, e soprattutto con il questore Giuseppe Albanese, contro il quale, nel settembre 1871, lo stesso procuratore spiccò un mandato di cattura per complicità con le bande criminali. La vicenda che ne seguì avrebbe segnato non solo la storia personale di Tajani, ma anche il complesso rapporto tra autorità politica e giudiziaria in età liberale, evidenziando le falle di un sistema giudiziario, in cui l'apparato requirente era posto sotto il controllo dal guardasigilli.
Al termine di forti contrasti con il prefetto Medici e il guardasigilli Giovanni De Falco, con il coinvolgimento del responsabile dell’Interno Giovanni Lanza, Tajani presentò il 10 ottobre 1871 la requisitoria con cui richiedeva il rinvio degli imputati – agenti di pubblica sicurezza e Albanese, nel frattempo latitante – alla corte d’assise, per gravi reati, come, tra l’altro, essere il questore stesso il mandante e l’istigatore di alcuni omicidi. Ma la Sezione d’accusa, che aveva avocato a sé gli atti processuali, il 26 ottobre del 1871 respinse con una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Albanese.
Sicuramente erano emersi evidenti collusioni della questura con la malavita, nonché un quadro di violenza diffusa con una catena di reati gravissimi, ma le prove del coinvolgimento di Albanese non erano evidentemente apparse pienamente fondate dal punto di vista giuridico o, probabilmente, vi era stato più di un intervento ‘autorevole’ per evitare che gli scandali inficiassero la credibilità del governo.
Isolato da una parte della magistratura, inviso alle autorità politiche e fatto oggetto di violenti attacchi da parte della stampa, Tajani, prima che fosse pronunciata la sentenza, il 10 ottobre 1871, rese pubblica la sua requisitoria che nei giorni successivi fu pubblicata anche su alcuni giornali, come Il Pungolo e Roma, e ciò – disse – perché «il pubblico sapesse di che si trattava»; ma, allo stesso tempo, commettendo un’azione scorretta, come egli stesso avrebbe più tardi riconosciuto alla Camera (Atti parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XII, sessione del 1874-75, Discussioni, tornata del 12 giugno 1875, p. 4157). A quel punto, il 21 ottobre il procuratore dovette lasciare Palermo per Napoli. Successivamente, una commissione di tre magistrati (Onorato Vigliani, che però si rifiutò di farne parte, Sebastiano Tecchio ed Ernesto Eula), designata dal guardasigilli Giovanni De Falco, ritenne che il procuratore non potesse più restare a Palermo né tanto meno nella funzione requirente. Nonostante gli fosse offerta, il 28 aprile 1872, la nomina a consigliere presso la corte di cassazione di Napoli, un posto però di livello inferiore a quello prima ricoperto, il 6 giugno successivo, Tajani si dimise dalla magistratura per dedicarsi ancora una volta alla professione forense, attività che avrebbe svolto con continuità negli anni successivi, soprattutto nei periodi di interruzione dei successivi incarichi di governo, difendendo, tra l'altro, Crispi accusato di bigamia nel 1878 e, nel 1879, ottenendo la grazia sovrana per Giovanni Passanante.
Entrato nelle fila dell’opposizione della Sinistra storica, dopo un primo tentativo fallito in una elezione suppletiva in Sicilia nel 1873, l’anno successivo, alle elezioni politiche generali, Tajani fu eletto deputato nel collegio di Amalfi, di cui faceva parte anche Vietri sul Mare. Il suo primo mandato fu contrassegnato dalla discussione sui provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza per la Sicilia, proposti dal governo Minghetti, nel giugno 1875.
Durissima fu l’opposizione della Sinistra, e in particolare dal siciliano Crispi, che, in quell’occasione, pronunciò un severo giudizio sulla politica della Destra nell’isola, sottoposta negli ultimi quindici anni a numerosi stati d’assedio e leggi eccezionali. Intervenendo nel dibattito, con un discorso che durò due sedute (11 e 12 giugno 1875), Tajani ebbe finalmente la possibilità di esporre pubblicamente quanto era accaduto a Palermo solo quattro anni prima. Anzi, presentò un ordine del giorno, che sollecitava il governo a svolgere un’inchiesta parlamentare sulle condizioni della sicurezza pubblica nelle provincie siciliane – idea che fu accettata da tutte le forze politiche – e che chiedeva la immediata sospensione dell’esame dei provvedimenti eccezionali. Nell’esporne le ragioni, Tajani ripercorse tutta la vicenda siciliana, non tralasciando alcun aspetto relativo «al sistema della sicurezza pubblica adottato dall’accoppiata Medici-Albanese» con la copertura del ministro Lanza, rivelando «pagine scandalose sulla collusione tra prefettura, questura e mafia» (Faraci, 2013, p. 127) ed evidenziando gravi e documentate accuse nei confronti dei governi della Destra. Dopo gli interventi a difesa del governo, pronunciati dallo stesso Lanza e dal guardasigilli in carica Vigliani, l’esito fu l’approvazione del provvedimento del governo da parte della maggioranza, pur tra le proteste della Sinistra; anche se la legge non avrebbe poi avuto seguito per la caduta ravvicinata dello stesso esecutivo. L’accertamento dei fatti chiesto da Tajani fu, invece, demandato all’autorità giudiziaria dalla Camera e affidato dal Consiglio dei ministri all’allora procuratore generale della corte di appello di Palermo Vincenzo Calenda di Tavani. Nelle conclusioni, che vennero comunque trasmesse alla giunta per l’inchiesta parlamentare sulla Sicilia, il magistrato, futuro guardasigilli nei governi Crispi e di Rudinì (1893-1896), non individuò però nessuna responsabilità a carico dell’esecutivo, ma al tempo stesso ‘assolse’ anche l’ex-procuratore, ammettendo che il suo comportamento era stato corretto.
Alle elezioni del 5 novembre 1876, Tajani fu eletto – senza avversari anche per l’appoggio di Nicotera con il quale si era frattanto riconciliato – nel suo collegio di Amalfi. Grazie al suo appoggio al nuovo governo della Sinistra presieduto da Benedetto Cairoli, il 29 marzo 1878 fu anche designato vicepresidente della Camera. Nello stesso anno divenne guardasigilli nel terzo governo diretto da Agostino Depretis (19 dicembre 1878-14 luglio 1879) e, ancora, nel settimo e ultimo esecutivo sempre presieduto dallo statista lombardo (29 giugno 1885-4 aprile 1887).
Nel suo primo incarico Tajani fu particolarmente attivo e – paradossalmente, ma forse non troppo – durante il primo mandato si concentrò sull’ampliamento della ‘libertà d’azione’ del ministro nei confronti della magistratura per quanto riguardava le nomine, le promozioni e trasferimenti. Così abolì le (poche) garanzie introdotte dal suo predecessore Vigliani nel 1873.
Un decreto aveva infatti riconosciuto in precedenza un parziale temperamento dei poteri ministeriali, con la creazione di commissioni locali, composte dai tre magistrati più alti in grado, presso le corti d’appello con potere consultivo, e, per i giudici inamovibili, il divieto di trasferimento senza consenso, nonché l’obbligo di informarli sui motivi del trasferimento stesso. Ebbene, con un nuovo provvedimento (r.d. n. 4686 del 5 gennaio 1879), motivato con l’avversione verso le magistrature regionali e gli impedimenti di manovra al governo, si introdusse il trasferimento senza consenso dei giudici inamovibili che fossero presenti nella stessa sede per almeno dieci anni.
Di conseguenza nel corso del 1879, in soli sei mesi, si operò una drastica epurazione: secondo una fonte non neutrale quale era Minghetti, furono trasferiti d’ufficio ben 122 magistrati, e spostati (considerando anche le promozioni), in totale 211 o 212 giudici (ma si tratta di dati non certi), colpendo, in particolare i procuratori delle principali città del Regno, tra i quali lo stesso Calenda, così da garantire – secondo i nuovi governanti – l’imparzialità della magistratura – a lungo compromessa, a loro avviso – dopo il passaggio di governo dalla Destra alla Sinistra. Altri provvedimenti proposti furono, tra gli altri, quelli relativi alla definizione di nuove circoscrizioni giudiziarie, la Cassazione unica in materia penale da insediare a Roma, come poi avvenuto con la legge 6 dicembre 1888, n. 5825, mentre fu approvata, su sua iniziativa, la legge sulla precedenza del matrimonio civile su quello religioso.
Alla caduta del governo, nel 1879, Tajani tornò alla sua attività parlamentare, essendo eletto dal 1882 al 1885 nuovamente vicepresidente della Camera. Nel 1885 sopravvenne il suo secondo incarico di guardasigilli, contraddistinto – oltre che dalla ripresa di ‘movimenti’ nella magistratura – dalla presentazione di un organico progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario – che seguiva nel tempo proposte analoghe dei suoi predecessori – volto a ridisegnare i caratteri della magistratura italiana, con le connesse modifiche dei codici di procedura civile e penale.
I principali mutamenti proposti si incentravano essenzialmente su due punti. Il primo era la completa riforma delle preture con l’istituzione di un «tribunale di pretura», con competenza fino a 3.000 lire in materia civile e in quella correzionale e di polizia; e la contemporanea soppressione dei tribunali di circondario, con la creazione di sedi a livello provinciale. Ciò avrebbe condotto al miglioramento della condizione economica e all’innalzamento del ruolo dei pretori rispetto al corpo giudiziario: in pratica, essi avrebbero funzionato come giudice unico per la maggior parte delle cause, secondo un’idea di maggiore prossimità ai «bisogni locali delle popolazioni» (Atti parlamentari, Senato del Regno, Legislatura XVI, Documenti, 1ª sessione 1886, S. 1, p. 16). Il secondo punto prevedeva l’estensione dell’inamovibilità anche al pubblico ministero, tentando di contemperare una forma di garanzia con la dipendenza dall’esecutivo, stabilendo che la funzione requirente diventasse una «missione revocabile» (ibid., p. 15) conferita dal ministro a magistrati per il resto inamovibili come quelli giudicanti e rifacendosi esplicitamente al modello della legge del Regno delle Due Sicilie del 1817. Il disegno di legge, un testo ambizioso che prevedeva una completa revisione di tutto l’ordinamento, non approdò però in tempi brevi ad alcun risultato, anche per la caduta del governo Depretis. Alcune di quelle aspirazioni, tuttavia, avrebbero trovato la loro attuazione nelle leggi che il ministro Giuseppe Zanardelli sarebbe riuscito a far approvare nel 1890. Per altre proposte, infine, si sarebbe dovuto aspettare più a lungo, come per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura e l’unificazione delle corti di cassazione (si ipotizzava nel progetto una Corte suprema di giustizia), realizzate dopo alcuni anni.
Tajani venne eletto deputato ancora nella XVI (1886-1890) e nella XVII legislature (1890-1892) e nelle elezioni suppletive per il collegio di Salerno (lasciato libero con la morte di Nicotera) della XVIII legislatura (1894-1895). Nel 1895 fu però sconfitto, nello stesso collegio, dal socialista Enrico De Marinis, segno forse che la sua figura di magistrato intransigente apparteneva ormai al passato. Accettò comunque di presiedere, a Napoli, l’Associazione unitaria, di origine nicoteriana, e per soli undici giorni, nel marzo 1896, ricoprì la carica di regio commissario al Comune di Napoli, poi per motivi di salute non poté prolungare oltre il suo impegno.
Il 25 ottobre 1896 fu nominato senatore del Regno, facendo parte di importanti commissioni, in particolare di quella di istruzione presso l’Alta Corte di giustizia presso la Camera alta, di cui, nel 1899-1900, elaborò anche il nuovo regolamento giudiziario. Da ultimo, tuttavia, anche per la sua crescente sordità, poté frequentare poco l’aula di Palazzo Madama. Solo il 21 maggio 1915, a ottantotto anni, come ultimo atto politico, si fece accompagnare in Senato per votare la fiducia e i pieni poteri al governo Salandra in vista dell’entrata in guerra dell’Italia.
Morì a Roma il 2 febbraio 1921.
Commentario al codice penale sardo per l'avvocato D. T., Torino 1859; Mafia e potere. Requisitoria, 1871, a cura di P. Pezzino, Pisa 1993; Discorsi parlamentari 1874-1921, a cura del sen. Maurizio Mesoraca, s.n.t.; L' Italia meridionale. Discorsi pronunciati alla Camera dei Deputati da D. T. ... nella seduta dell’11 e 12 giugno 1875, Napoli 1875. Le altre opere concernono perlopiù discorsi giudiziari, pareri forensi o relazioni ad atti parlamentari.
Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero di Grazia e Giustizia, Direzione generale del personale, Fascicoli personali dei magistrati, I versamento, b.1, f. 16392; b. 11, f. 27358; Divisione Affari penali, Miscellanea penale, b. 23, f. 422; b. 25, f. 433; Ibid., Archivio Depretis e famiglia, Serie prima (1847-1887), b. 24; Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura XIII, 1ª sessione 1874-75, Discussioni, I, II, III, IV; Legislatura XIII, sessione 1878-79, Discussioni, tornata del 18 gennaio 1879, pp. 3449 s.; Legislatura XV, 1ª sessione 1882-1883-1884-1885, Documenti, C. n. 348; Atti parlamentari, Senato del Regno, Legislatura XVI, 1ª sessione, Documenti, S. nn. 1, 2, 1-A, 2-A, 1-B, 2-B. Inoltre: G. Mirabelli, L’inamovibilità della magistratura nel Regno d’Italia, Napoli, 1880, passim; M. Minghetti, I partiti politici e l’ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione, Bologna 1881, passim; D. Amato, Cenni biografici d'illustri uomini politici e dei più chiari scienziati, letterati ed artisti contemporanei italiani, I, Napoli 1887, ad vocem; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale. Profili e cenni biografici di tutti i deputati e senatori eletti e creati dal 1848 al 1890, Terni 1890, ad vocem; V. Riccio, Saggi biografici, Milano 1924, ad ind.; T., D., in Enciclopedia Italiana, I, Appendice, Roma 1938, ad vocem; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, III, Roma 1941, ad vocem; P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino 1954, ad ind.; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, IV, Napoli 1955, ad vocem; M. D'Addio, Politica e Magistratura (1848-1876), Milano 1966, ad ind.; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1989, ad ind.; P. Pezzino, Introduzione, in D. Tajani, Mafia e potere. Requisitoria 1871, cit., pp. 3-34; P. Saraceno, Le «epurazioni» della magistratura in Italia. Dal Regno di Sardegna alla Repubblica 1848-1951, in Clio, XXIX (1993), 3, pp. 505-523; Ministero della Giustizia, Biblioteca Centrale Giuridica, I Ministri della Giustizia nel primo trentennio del Regno d’Italia. Da Cassinis a Zanardelli. Repertorio biobibliografico, a cura di C. Ivaldi, Manziana (Roma) 2010, ad vocem; A. Meniconi, Storia della magistratura italiana, Bologna 2013, ad ind.; E.G. Faraci, Il caso Tajani. Storie di magistrati nell'Italia liberale. Con appendice documentaria, Acireale-Roma 2013; M. Mesoraca, D. T. Un cambiamento atteso un secolo e i nodi irrisolti dell'Italia, prefazione di I. Sales, introduzione di D. Rinaldi, Soveria Mannelli 2019; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/T_l2?OpenPage (4 maggio 2020).