DIAMANTE (fr. diamant; sp. diamante; ted. Diamant; ingl. diamond)
Pietra preziosa di grande durezza, costituita da carbonio cristallizzato. Trae il nome dal greco ἀδάμας "indomabile", appunto per la sua principale caratteristica.
Era noto nell'India fino da tempi remotissimi, mentre in Occidente è stato conosciuto, a quel che sembra, solo in seguito alle spedizioni di Alessandro. Però per questa, come per molte altre gemme ricordate nei vecchi testi, non è certo se la pietra conosciuta dagli antichi corrisponda in tutto alla nostra: così alcuni dei sei tipi descritti da Plinio e certe varietà ricordate da altri autori, non sono certo diamanti.
Dopo le vecchie leggende che dicevano il diamante rugiada o schiuma, il De Boot, medico dell'imperatore Rodolfo II, affermò per il primo che "la materia del diamante è ignea"; parecchio tempo dopo, partendo da considerazioni diverse, Newton giunse alla stessa conclusione: si trattò però di deduzioni tratte da ipotesi non dimostrate e, in parte almeno, erronee. La prova vera della natura combustibile del diamante si ebbe solo nel 1694-95, quando gli accademici del Cimento Giuseppe Averani e Cipriano Targioni sottoposero all'azione d'una lente ustoria alcune pietre concesse loro dal granduca Cosimo III. Il risultato delle esperienze dei due accademici è che "il diamante stimato da tutti di sì fatta tempera, che forza alcuna non vaglia a domarlo, meno dell'altre pietre preziose resiste alla violenza di questo fuoco. Imperciocché dove l'altre poco, o punto si consumano, questo se n'esala tutto via".
Saggi più completi furono fatti nel 1772 dal Lavoisier, il quale dimostrò che la combustione non avviene fuori del contatto dell'aria, che i prodotti gassosi della combustione stessa intorbidano l'acqua di calce, e che l'acqua cosi intorbidata fa effervescenza con l'acido cloridrico. Siccome risultati identici si ottenevano sperimentando con il carbone concluse che il diamante era formato da una sostanza che aveva la massima analogia con il carbonio. Poco dopo (1797), il Tennant stabilì che le quantità di anidride carbonica prodotte dalla combustione di un certo peso di diamante e del medesimo peso di carbonio puro erano uguali, e concluse che il diamante stesso era carbonio. A risultati analoghi giunse poi il Davy, il quale passando per Firenze nel 1814, ripeté le esperienze di Averani e Targioni con lo stesso loro apparecchio.
Proprietà chimiche, morfologiche e fisiche; varietà. - Oltre all'anidride carbonica, dalla combustione del diamante si ottengono anche quantità variabili, di solito estremamente piccole, di ceneri: formate in prevalenza da silice e ossido di ferro, e, in quantità minori, da calce, magnesia e talora da ossido di titanio.
Il diamante è inattaccabile dalla massima parte degli agenti chimici più energici. Scaldato fortemente all'aria, o meglio nell'ossigeno, brucia. La temperatura alla quale s'inizia la combustione è di circa 850° all'aria, di 800-820° e, in alcuni casi, anche di 720°, nell'ossigeno. Nel vuoto, a temperatura molto elevata, si trasforma in grafite; la velocità della trasformazione dipende dalla temperatura, e così, mentre a 1500° dopo un'ora non è neppure iniziata, a 2200° nello stesso tempo è completa. Il diamante cristallizza nel sistema monometrico; il parallelepipedo elementare è un cubo con lato di 3,55 Å; ogni atomo di carbonio ne ha intorno altri quattro, disposti, alla distanza di 1,54 Å, ai vertici di un tetraedro; le distanze più brevi sono nelle direzioni [111). La simmetria del reticolato è monometrica oloedrica, quella dei singoli campi atomici monometrica antiemiedrica; la ripetizione regolare parallela di questi gruppi atomici dà un reticolato cubico a facce centrate (v. cristalli).
I cristalli di diamante spesso corrispondono alla simmetria oloedrica (classe esacisottaedrica), ma si hanno anche frequenti accenni a quella emiedrica (classe esacistetraedrica), e questo è in relazione con il tipo di struttura prima ricordato: le forme più frequenti sono ottaedro, esacisottaedro, cubo, rombododecaedro, tetracisesaedro e anche esacistetraedro; ammettendo, come molti fanno, che il diamante appartenga alla classe esacistetraedrica, alcune di queste forme debbono essere considerate come associazioni di due forme coniugate corrispondenti. Molto spesso i cristalli hanno facce e spigoli curvi; se il fenomeno si manifesta per individui ad abito esacisottaedrico (fig. I, a) o rombododecaedrico, i cristalli stessi assumono aspetto globulare.
Geminazione frequente secondo una faccia di {111}; i gruppi sono quasi sempre appiattiti normalmente all'asse di geminazione (fig.1, b). Certi cristalli ottaedrici che presentano delle rientranze lungo gli spigoli dell'ottaedro (fig.1, c) sono da alcuni considerati come gemelli di due tetraedri con piano di geminazione (110); altri invece ritengono le incavature suddette dovute a corrosione. Inclusioni, talora presenti, solide, liquide, o gassose. Le inclusioni solide sembrano talvolta di sostanza carboniosa, altre volte d'oligisto o d'ilmenite; sono state descritte anche inclusioni di quarzo, di topazio, di pirite, e infine di diamante stesso, diverso, per forma o per colore, dall'ospite; in molti casi poi, la natura delle inclusioni non ha potuto essere stabilita con sicurezza. Le inclusioni liquide, qualche volta con livella, sono di anidride carbonica liquida, o anche d'acqua e di soluzioni saline acquose.
Il diamante è monorifrangente, ma non è affatto raro che presenti birifrazione anomala. Per l'indice di rifrazione, per la riga D dello spettro è stato determinato, come valore medio, n = 2,4175. Potere dispersivo forte: per la riga A, n = 2,4024, per la riga H1, n = 2,4652. Conseguenza dell'indice di rifrazione elevato è la forte e particolare lucentezza, detta appunto adamantina, che la pietra mostra, specie se le sue superficie siano ben levigate. Per il notevole potere dispersivo, i diamanti, particolarmente se tagliati a brillante, scompongono la luce che entra in essi, e la rimandano divisa nei colori dell'iride. La trasparenza è perfetta nei diamanti puri e a facce naturalmente lucide, o rese tali con il taglio, e in essi è anche assoluta la mancanza di colore. Però la massima parte delle pietre ha una colorazione più o meno intensa che di solito ne diminuisce notevolmente il valore venale; in particolare, i diamanti del Brasile hanno spesso una leggiera tinta verdolina, quelli africani giallognola. Si trovano anche, ma in casi estremamente rari, diamanti di colore intenso azzurro, giallo, roseo, verde, pregiatissimi e di costo molto elevato. Fenomeni di luminescenza sono provocati assai nettamente da azioni diverse. È nota da lungo tempo la fosforescenza che può destare nel diamante l'esposizione alla luce solare. Più facilmente si può provocare il fenomeno per azioni meccaniche, come per confricazione. Rapida e vivace fosforescenza si ottiene con le sostanze radioattive; i raggi catodici producono una bella luminescenza celeste, gialla o verdolina e con i raggi Röntgen si hanno gli stessi fenomeni, ma meno intensi. L'emissione di luce provocata dalle radiazioni ultraviolette è, per lo più debole o debolissima.
Peso specifico medio, per il diamante puro e privo d'inclusioni, 3,52: le variazioni da una pietra all'altra sono sempre molto piccole. Durezza 10; i diamanti australiani e quelli di Borneo sembra abbiano durezza leggermente più alta degli altri. Sfaldatura facile e perfetta secondo le facce di {111}. Buon conduttore del calore, è freddo al tatto. Il calore specifico è straordinariamente basso. Il massimo di densità è a −39°. Il calore di combustione è dato in 94.430 calorie. Si elettrizza positivamente per confricazione, tanto allo stato grezzo quanto in pietre tagliate, ma l'elettricità acquisita si conserva solo per poco tempo. Oltre al diamante vero e proprio, si conoscono altre due varietà che, sotto certi aspetti, differiscono molto notevolmente da esso: sono chiamate generalmente bort e carbonado.
Il bort si trova in tutti i giacimenti diamantiferi, in forma di sferule a struttura fibroso-raggiata, con superficie scabra, non trasparenti, di colore bianco grigiastro; più spesso esso è in frammenti irregolari, formati dall'associazione di gran numero di piccolissimi cristallini. La durezza è press'a poco la stessa di quella del diamante in cristalli, il peso specifico leggermente più elevato nella varietà sferulitica, e di poco inferiore nell'altra. Con lo stesso nome sono indicati anche i diamanti difettosi che non possono servire a uso ornamentale, e gli scarti della lavorazione. Il carbonado è una varietà nera, opaca, a struttura cristallina granulare, spesso alquanto poroso, che si trova esclusivamente al Brasile; in generale è in pezzi irregolari, qualche volta anche in ottaedri, rombododecaedri o cubi. Nel carbonado la quantità di ceneri che resta dopo la combustione della pietra è molto più forte che non nel diamante comune, e oscilla fra 0,25 e 4%. Peso specifico più basso del diamante comune, variabile fra 3 e 3,5; la durezza invece è un poco più alta.
Giacimenti. - In piccole quantità il diamante è stato trovato in molti paesi, ma la massima parte di questi giacimenti non ha importanza industriale; perciò accenneremo solo alle località nelle quali l'estrazione ha, o ha avuto, uno sviluppo considerevole.
India. - I giacimenti più anticamente noti, anzi quelli che fino ai tempi moderni hanno prodotto i soli diamanti che si t10vassero in commercio, sono gl'indiani. Plinio parla dei diamanti dell'India e Tolomeo di un fiume diamantifero di quella regione; Marco Polo dice che la gemma si trova nel reame di Mutfili, corrispondente al territorio dell'odierna Masulipatam. La pietra si trova fuori della roccia nella quale si è formata, entro conglomerati o arenarie, nel prodotto di disfacimento di queste rocce, o anche nei depositi fluviali originati dal trasporto acqueo del prodotto di disfacimento stesso: si tratta quindi sempre di giacimenti secondarî. Le arenarie e i conglomerati diamantiferi, secondo il parere dei più, sono del Silurico, ma non sempre assolutamente coevi; i giacimenti si trovano nella parte orientale dell'altipiano del Deccan, a partire dal fiume Penner, poco sotto il 15° parallelo, fino al Gange; essi non sono distribuiti uniformemente, e vengono perciò divisi in varî gruppi; secondo il Bauer cinque, e cioè, da mezzogiorno a tramontana: gruppo di Cuddapah, presso il Penner; gruppo di Nandyal, fra il Penner e il Kistna; gruppo di Ellore o di Golconda, sul corso inferiore del Kistna; gruppo di Sambalpur, sul corso medio del Mahanadi; gruppo di Panna, sul margine settentrionale dell'altipiano del Bundelkhand, che limita, a mezzogiorno, il bassopiano del Gange e dello Giamna. Le miniere indiane forse più note, anche per aver dato alcuni dei maggiori diamanti, sono quelle di Kollur e Partial, del gruppo di Golconda. Questa città però non è mai stata centro diamantifero, ma solo luogo di commercio e lavorazione dei diamanti. Si ritiene che la produzione totale dei giacimenti dell'India, da quando furono sfruttati, ammonti a dieci milioni di carati, cioè a circa due tonnellate di diamanti; oggi la produzione annua è molto piccola, e proviene quasi esclusivamente dalle miniere di Panna.
Brasile. - I giacimenti del Brasile sono stati scoperti poco dopo il 1720, ma la data precisa non è sicura; certo è che i primi diamanti brasiliani vennero verso il 1727-28 in Europa, dove dai commercianti la notizia della nuova scoperta fu male accolta, tanto che, per un certo tempo, si cercò di far credere che la gemma, detta del Brasile, provenisse in realtà dall'India. I giacimenti erano, secondo alcuni, presso il Rio Manno, affluente del Rio Jequitinhonha, secondo altri presso il Rio dos Marinhos, affluente del Rio Pineiro: a ogni modo si trattava di località relativamente prossime a Tejuco, oggi Diamantina, nella provincia di Minas Geraes. Presto ai primi ritrovamenti ne seguirono altri, sia ancora nella provincia di Minas Geraes, sia in quelle di Bahia, Goyaz, Matto Grosso, San Paulo, Paraná. Con il tempo i giacimenti della provincia, oggi stato, di Minas Geraes, dove esistono quattro distretti diamantiferi: Diamantina, Abaeté, Bagagem e Grão Mogol, sono stati raggiunti, per produzione, da quelli dello stato di Bahia (Chapada Diamantina, Serra do Sincorȧ, Paraguassú, ecc.). Di recente poi depositi, che sembrano aver notevole importanza, sono stati scoperti lungo il corso del Tibagy nello Stato di Paraná, e presso il Rio das Garças, al limite degli stati di Matto Grosso e di Goyaz.
Nel Brasile si hanno tre tipi di giacimenti, in dipendenza però l'uno dell'altro: 1. depositi fluviali, nel letto attuale dei fiumi, al disotto del livello di massima piena; 2. depositi delle terrazze, sui fianchi delle vallate, al di sopra del livello di massima piena dei fiumi; 3. depositi degli altipiani. I giacimenti dei primi due tipi sono interamente di trasporto, mentre quelli del terzo sono in alcuni casi ancora in posto, nella roccia profondamente alterata. Nei depositi fluviali e delle terrazze il diamante si trova in una massa (cascalho) formata da detriti di rocce e di minerali varî, misti a sostanza argillosa, ora incoerente ora invece assai compatta; minerali caratteristici detti boa formãçao accompagnano il diamante nel cascalho. Nei depositi degli altipiani, la massa diamantifera (gorgulho) è una specie di breccia delle rocce metamorfiche vicine, i cui frammenti son tenuti insieme da una pasta argillosa, di solito rossastra presso la superficie. In qualche caso (São João da Chapada) il diamante si trova invece in un'argilla stratificata, alternata con la ben nota itacolumite; e altrove (Grão Mogol) in un'arenaria che taluni hanno ritenuto esser l'itacolumite stessa; finalmente al Tibagy il diamante è in relazione con rocce di tipo kimberlitico, cioè del tipo stesso che si trova come roccia madre del diamante nell'Africa meridionale. La produzione brasiliana in meno di due secoli, cioè dalla scoperta a tutto il primo decennio del '900, è stata di oltre quindici milioni di carati.
Unione sudafricana. - Dei giacimenti dell'Africa del Sud, secondo alcuni, si sarebbe avuta notizia fino dal 1750; il primo diamante sicuramente noto è stato trovato però per caso nel 1867, lungo il fiume Orange, presso la fattoria Hopetown. A questo ritrovamento ne seguirono altri, sia lungo l'Orange, sia lungo il Vaal.
A questi giacimenti lungo i fiumi, che diedero risultati piuttosto scarsi, si aggiunsero poi quelli in posto: il primo di questi giacimenti fu scoperto alla fine del 1869 a Bultfontein nell'Orange, altri tre furono scoperti subito dopo nella Colonia del Capo, a Dutoitspan, a De Beers e a Colesberg Kopje, quest'ultima località poi chiamata (1873) Kimberley, nome che si estese ancora più tardi a tutto il distretto minerario. Oltre che in questa regione, scoperte importanti furono anche fatte a Jagersfontein (1870) e a Koffiefontein, nello stato di Orange, e soprattutto a Premier (1902), vicino a Pretoria, nel Transvaal (fig. 2). Le principali miniere sudafricane hanno la seguente estensione (in claims di m. 9,446 × 9,446): Premier 3570, Dutoitspan 1441, Koffiefontein 1428, Wesselton 1162, Jagersfontein 1128, Bultfontein 1067, Crown Diamonds 271, West End 147.
Per molti anni i giacimenti in posto sono stati di gran lunga più produttivi di quelli di trasporto. Ma depositi alluvionali di grande importanza si sono poi scoperti nel distretto di Lichtenburg (tra Lichtenburg e Ventersdorp) e in quello di Namaqualand (fra la foce dell'Orange e quella del Groen), tanto che i rapporti produttivi si sono invertiti, e la produzione sudafricana del 1928 era costituita per due terzi da pietre alluvionali.
Nei giacimenti di trasporto (river diggings), il diamante si trova tanto nel letto dei corsi d'acqua, nel minuto detrito di ciottoletti silicei, quanto nelle terrazze laterali delle valli fluviali; i giacimenti in posto (dry diggings) constano invece di grandi cavità imbutiformi che proseguono fino a profondità non ancora raggiunte, attraversando le rocce della formazione del Karroo, di età permo-carbonica, e, in parte almeno, la sottoposta formazione del Capo, devonica. Queste cavità, o camini diamantiferi, localmente detti pipes (fig. 3), sono riempiti da una speciale breccia eruttiva di kimberlite, una peridotite micacea granatifera, parzialmente serpentinizzata, roccia madre dei diamanti; nelle parti superficiali dei camini la kimberlite è alterata e di color giallastro (yellow ground) mentre più in basso, dove è ancora fresca, ha color verde-azzurro (blue ground); le dimensioni dei camini, la cui sezione orizzontale è rotondeggiante, sono varie, e cosi la miniera di Kimberley alla superficie misura m. 274 × 164; quella Premier, la maggiore di tutte, m. 900 × 600; in profondità, di solito, i camini vanno gradatamente restringendosi.
Altri paesi. - Assai importanti sono anche i giacimenti della colonia, già tedesca, dell'Africa del Sud-Ovest, che si estendono, nel Namib, lungo la costa, e fino a una ventina di chilometri nell'interno, dalla Conception Bay, a settentrione, fino alla Roasbeef Bay a mezzogiorno: i primi diamanti furono trovati, nel maggio 1908, presso la Baia di Lüderitz. Nel Congo Belga, nella provincia di Catanga, si trovano camini simili a quelli dell'Orange, ma poveri, ed estesi depositi sabbiosi diamantiferi, sfruttati principalmente lungo il Cassai. Finalmente, sempre in Africa, si trovano diamanti nella Rhodesia meridionale, nell'Angola, a mezzogiorno del Lago Vittoria, nella Liberia, nella Costa d'Oro.
Un tempo ebbero importanza notevole i giacimenti di Borneo, ma la produzione è stata quasi sempre assorbita sul posto. In Australia, nella Nuova Galles del Sud, sono stati trovati diamanti fino dal 1851, ma i giacimenti, di natura alluvionale, non hanno mai dato forti produzioni. Prodotti notevoli, superanti anche i 200.000 carati annui, hanno dato invece i giacimenti della Guiana Britannica, dove si hanno diamanti entro depositi argillosi con frammenti di quarzo; i giacimenti sono noti dal 1890, ma il loro sfruttamento data solo dal 1913. Di nessun interesse pratico sono i ritrovamenti degli Urali e di diversi punti degli Stati Uniti d'America. Deve esser ricordato infine che il diamante, di solito con aspetto simile a quello del carbonado, si trova qualche volta nelle meteoriti.
Caratteristiche dei varî giacimenti. - Da un giacimento all'altro variano alcune caratteristiche della pietra, abito cristallino, colore, medie dimensioni. Per quest'ultima proprietà, i giacimenti indiani avevano fama di esser ricchi di grosse pietre; la produzione attuale, però, è formata in massima parte da diamanti piccoli. Nel Brasile prevalgono i diamanti piccoli o piccolissimi, di un quarto di carato, o meno; pesi fra un quarto e mezzo carato sono relativamente frequenti, mentre pietre da uno a sei carati sono rare. Nell'Africa meridionale i grossi cristalli sono più comuni che non in tutti gli altri giacimenti; in particolare, per la miniera Dutoitspan, pietre di dieci carati e oltre rappresentano il 17,1% in peso della produzione totale della miniera stessa; nelle altre la percentuale è assai più bassa.
Origine del diamante. - Il problema dell'origine del diamante è molto complesso, anche per il fatto che la pietra si trova entro la roccia madre solo in alcuni dei giacimenti dell'Africa meridionale e in pochissimi altri. D'altra parte si può ragionevolmente ritenere che in altre località esso si trovasse, in origine, entro rocce fondamentalmente diverse dalla kimberlite e che pertanto avesse avuto genesi differente. Comunque le ipotesi emesse circa l'origine sono numerosissime, per quanto in generale esse siano quasi del tutto arbitrarie.
Nella kimberlite il diamante è probabilmente un prodotto normale, di segregazione del magma fuso contenente carbonio; la temperatura alla quale sarebbe avvenuta la cristallizzazione è stimata di 1800°-2000° e si ritiene che sia stata necessaria una forte pressione: secondo V. M. Goldschmidt, di 17.000 atmosfere. Dopo la formazione del diamante, sarebbe avvenuto il fenomeno eruttivo, esplosivo, che avrebbe determinato la formazione dei camini; per la rapida discesa della temperatura, sarebbe stata impedita la trasformazione del diamante in grafite. L'ascensione della kimberlite nei camini sarebbe avvenuta per spinte successive, ciò che giustifica la struttura brecciata della roccia e la frequente rottura dei diamanti. Questa spiegazione, oltre che per i giacimenti africani, potrebbe valere anche per alcuni di quelli brasiliani che, lungo il Tibagy, sono in relazione con rocce kimberlitiche; per altri casi è stata supposta un'origine da pegmatiti, e anche addirittura da soluzioni acquose. Queste ipotesi però, anche se plausibili, hanno basi troppo poco solide perché possano essere accettate.
Produzione e commercio. - La produzione mondiale di diamanti è stata valutata nel 1928 in 7.770.000 carati, di cui il 52.28% dovuto alla sola Africa del Sud. Produzioni notevoli hanno registrato in quell'anno anche il Congo Belga (1.647.700 carati) e l'Africa del Sud-ovest (503.142 carati). Maggiori particolari sullo sviluppo della produzione per il decennio che va dal 1919 al 1928 possono ricavarsi dalla tabella in testa a questa pagina.
Nel centro diamantifero più importante, l'Africa del Sud, controllano in definitiva la produzione dei giacimenti in posto, tre grandi imprese: una che agisce nel Kimberley, una a Jagersfontein, una a Premier. Il governo dell'Unione, a termini delle leggi vigenti (Precious Stones Acts), ha una partecipazione del 60% nella miniera Premier, e diritto di riscuotere una certa tassa di profitto nelle altre; ha anche diritti di partecipazione e di prelazione per le scoperte future. In questo centro diamantifero, i processi di estrazione hanno segnato il maggiore sviluppo tecnico.
Nei giacimenti di natura secondaria la gemma si ottiene con i consueti mezzi di separazione meccanica basati sulla notevole differenza di peso specifico fra il diamante e la massima parte dei minerali che lo accompagnano; nel materiale arricchito, la cernita è per lo più fatta a occhio. Nei giacimenti in posto la lavorazione dei camini diamantiferi era fatta, dapprima, a cielo aperto; questo metodo, che produceva molti inconvenienti, fu però sostituito verso il 1889, nella maggior parte delle miniere, con quello della lavorazione sotterranea. La trasformazione tecnica delle miniere fu anche facilitata da Cecil Rhodes, che in quegli anni riuscì a riunire in una sola compagnia, la De Beers, tutte le miniere del Kimberley. Oggi, il lavoro di escavazione del ground viene compiuto in galleria: il materiale scavato viene condotto ai pozzi e innalzato con montacarichi alla superficie. Da qui, sempre con mezzi meccanici, viene trasportato ai distributing floors, grandi estensioni di terreno all'aperto, dove esso è esposto all'azione degli agenti atmosferici fino a disintegrazione; talvolta, invece di essere cosi esposto, il materiale viene frantumato e spappolato in molini rotativi. Dopo, il materiale è lavato in cilindri centrifughi, così che vengano a concentrarsi nel residuo (circa i % del minerale lavorato) tutti i diamanti presenti, e posto in tavole pulsanti o pulsatori per un'ulteriore concentrazione. Il concentrato, a sua volta, viene passato su altri pulsatori spalmati di grasso o vaselina, in modo che i diamanti vengano trattenuti e il materiale più pesante liberato, e la cernita venga a operarsi automaticamente. Nella miniera Premier è stato anche introdotto il processo Elmore di separazione dei minerali metallici, processo che si avvale di acqua e olio per trattenere minerali diversi separandoli poi attraverso centrifugazione.
I diamanti prodotti vengono generalmente contrattati a Londra, principale mercato del greggio. Di recente, si è costituito su questa piazza un sindacato, il London Diamond Syndicate, che, mediante accordi con le principali miniere diamantifere, è in grado di controllare le vendite del greggio: le miniere si obbligano a produrre e consegnare al sindacato soltanto quei quantitativi che sono richiesti dal mercato, astenendosi da una sovraproduzione che farebbe ribassare i prezzi. Siccome però l'accordo è impegnativo solo per le imprese che gestiscono giacimenti in posto, questo particolare regolamento non è valso a impedire la concorrenza dei diamanti alluvionali e la conseguente depressione del mercato.
La lavorazione del diamante greggio è operata da una speciale industria che ha sede principalmente ad Amsterdam e ad Anversa, ma che sussiste anche a Parigi, a Berlino, a Vienna e nella stessa Unione Sudafricana, dove il governo cerca di promuoverla con ogni mezzo in suo potere.
Il taglio del diamante si fa con metodi che nelle linee generali coincidono con quelli usati per le altre pietre preziose, salvo alcune modificazioni dovute alla grande durezza della pietra e alla sua facile sfaldabilità. Quest'ultima proprietà consente di trasformare il diamante greggio in un ottaedro, forma di partenza per il taglio a brillante. La sfaldatura si opera tracciando sul diamante, fissato in apposito sostegno, delle sottili intaccature, mediante lo spigolo vivo di un secondo diamante; ottenute le intaccature, si fa operare su esse una sottile lama metallica, provocando le opportune separazioni fino a ottenere l'ottaedro. Si sbozzano poi le diverse faccette, fissando su sostegni adatti, e nella posizione voluta, due pietre, e strusciandole con forza l'una contro l'altra. La pietra sbozzata vien poi tirata a pulimento; nello stesso tempo è rettificata la posizione delle varie facce. Per il pulimento si preme la pietra contro un disco metallico orizzontale, rotante rapidamente attorno a un asse verticale, e si umetta con una miscela di olio d'oliva e di polvere di diamante.
Questo metodo di lavorazione naturalmente richiede operai abilissimi e molto tempo; oggi si tende a sostituire l'opera dell'uomo con quella delle macchine, ricorrendo alle seghe circolari per la sfaldatura e per la sbozzatura, e usando anche apparecchi semiautomatici: una sola persona può guidare contemporaneamente parecchie di queste macchine.
Le forme di taglio usate per il diamante sono, esclusivamente o quasi, quella a brillante e quella a rosetta (v. pietre preziose). La forma a brillante è specialmente pregiata, poiché con essa sono messe in valore tutte le proprietà della gemma. Infatti, dato l'alto indice di rifrazione del diamante, la luce che entra nella pietra dalla parte superiore subisce nell'interno una serie di riflessioni, e viene respinta verso l'alto, uscendo, per la forte dispersione, suddivisa nei colori dell'iride (fig. 4). Studî recenti hanno mostrato col calcolo, che le proporzioni fra le varie parti del brillante, che erano state stabilite empiricamente da lungo tempo, sono proprio le proporzionì più adatte per lo scopo che si propone il taglio.
La contrattazione dei diamanti lavorati e la fissazione dei relativi prezzi è fatta in speciali borse (clubs), la più importante delle quali è ad Anversa. Una borsa è sorta anche a Milano nel 1927. Il prezzo, a prescindere dalle naturali oscillazioni del mercato dipendente dai quantitativi prodotti, oscillazioni che gli accordi suaccennati tendono d'altra parte a ridurre, dipende essenzialmente da due fattori: dalla qualità e dalla grossezza della pietra.
Nei riguardi della qualità, si distinguono di solito tre acque: di prima acqua sono, per esempio, le pietre assolutamente incolori, trasparenti, limpide, senza il minimo difetto; di terza invece i diamanti incolori ma con difetti notevoli, o senza difetti ma con colorazione assai sensibile. Il prezzo cresce naturalmente con il peso, ma in modo assai più rapido di questo; molte regole sono state escogitate per esprimere la variazione di prezzo a seconda del peso, ma si tratta di regole di valore momentaneo, adatte cioè a contingenti condizioni del mercato, e specialmente dipendenti dal tipo di produzione di un dato tempo. La regola più nota è quella del Tavernier o dei quadrati: se a è il peso in carati di una data pietra, s il costo della pietra di un carato della stessa qualità, il prezzo, S, della pietra di a carati è dato da S = s.a2. Un'altra formula, usata in questi ultimi tempi, è: S = (a − 1) d + S, dove S, a, s, hanno lo stesso significato che nella formula del Tavernier, d indica la differenza di prezzo fra le pietre di uno e due carati.
È superfluo dire che una forte differenza esiste fra il costo di una pietra greggia e quello della stessa pietra tagliata: durante le operazioni di taglio infatti la pietra perde il 50%, e anche più, del suo peso, senza contare la spesa, certo non indifferente, della lavorazione.
Usi. - Il diamante è usato, oltre che come gemma, per scopi tecnici. Ridotto in polvere, serve per il taglio delle pietre preziose; montato in apposito sostegno è usato per tagliare il vetro; serve a formare i denti delle seghe diamantate per il taglio delle rocce e la punta di molti strumenti per la fresatura, piallatura, tornitura di materie dure o molto tenaci; guarnisce le teste delle perforatrici e, finalmente, serve per fabbricare trafile di grande durata e precisione, anche se usate per tirare in fili metalli molto duri. In generale, per gli usi tecnici si adoperano il bort e il carbonado o pietre che non si prestino per il taglio.
Gemme di minor valore, come topazî, zaffiri, giacinti, naturalmente incolori o ridotti tali ad arte, sono fatte spesso passare per diamanti; in genere, una prova di peso specifico, congiunta, se dà risultati dubbî, con una di durezza, è sufficiente per il riconoscimento della sofisticazione. La minor durezza fa distinguere anche molto facilmente le falsificazioni per mezzo di vetri (strass) talora imitanti molto bene l'aspetto della gemma.
I diamanti celebri. - Molti diamanti, sia per la loro grossezza sia per la loro bellezza, hanno acquistato una grande rinomanza. Si fa cenno, qui di seguito, dei più famosi.
Fra i diamanti indiani maggiormente apprezzati sono da ricordare:
il Gran Mogol, di 280 carati, tagliato a forma di rosetta molto alta: fu veduto, alla metà del '600, dal Tavernier alla corte del Gran Mogol, Aurangzēb; non se ne è avuta altra notizia (fig. 5);
il Koh-i nur, di carati 186 1/6 tagliato a rosetta irregolare: è passato dai Mogol a Nādir Shāh, poi al re di Lahore e, nel 1850, alla Compagnia delle Indie che ne fece dono alla regina Vittoria d'Inghilterra; è stato ritagliato a brillante e pesa così carati metrici 108,8 (fig. 6 a e b);
l'Orlov, di circa 199,6 carati metrici e di forma simile a quella del Gran Mogol: proviene certo dall'India, ma la sua storia è oscura fino al 1773, nel quale anno fu donato dal principe Orlov a Caterina II di Russia; adornava lo scettro degli zar; secondo il Fersmann, l'Orlov non sarebbe altro che il Gran Mogol (fig. 6 c);
il Reggente o Pitt, di 410 carati allo stato greggio: fu acquistato in India da Pitt governatore del forte S. Giorgio a Madras e rivenduto nel 1717 al duca di Orléans reggente per il minore Luigi XV; è stato tagliato perfettamente a brillante e pesa carati 136 e 14/16; rubato durante la Rivoluzione, ritrovato, impegnato, riscattato da Napoleone, è ora al Louvre (fig. 6 d);
il Fiorentino, di carati metrici 137,22, tagliato a doppia rosa: fu acquistato nel 1601 da Ferdinando I di Toscana e portato poi a Vienna da Francesco di Lorena; s'ignora quello che ne sia successo dopo il 1918 (fig. 6 e).
Si possono poi citare il Sancy (carati 53 6/8), lo Shah (carati metrici 88,7), il Nizam (carati 277), il Nassak (carati 89 1/2) e, fra i diamanti colorati, l'Hope azzurro, di carati metrici 45,5, il diamante verde di Dresda, di carati 40. Dal Brasile provengono la Stella del Sud, di carati 125 1/2 e il Dresden di 76 carati. Nell'Africa sono stati trovati molti grossi diamanti, fra i quali il Victoria, in origine di 457 carati e mezzo, donde è stato tratto un brillante di 180 carati, l'Excelsior di 971 carati 1/4, il Jubilee, di 640 carati e finalmente il gigantesco Cullinan di 3106 carati metrici (fig. 7), rinvenuto il 26 gennaio 1905 nella miniera Premier: da questa pietra colossale, donata dal governo del Transvaal al re Edoardo VII nel 1907, furono ottenuti un brillante di carati 516 1/2, uno di 309 3/16 e molti altri di dimensioni minori.
Sintesi. - I tentativi di sintesi del diamante sono numerosissimi. Citeremo soltanto i principali:
Il Marsden, nel 1880, riuscì a produrre diamanti sciogliendo, a temperatura elevata, del carbonio nell'argento. Dopo di lui il Moissan ne ha ottenuti sciogliendo il carbonio nel ferro, al forno elettrico, e raffreddando bruscamente la massa fusa; secondo lo sperimentatore, si determinava così una fortissima pressione, che provocava la cristallizzazione del carbonio sotto forma di diamante, ipotesi dimostrata poi non vera; nelle condizioni sperimentali dei tentativi del Moissan, era invece elemento importantissimo il rapido cader della temperatura. Il Majorana, nel 1897, sottopose direttamente a forte pressione del carbonio puro, scaldato nell'arco elettrico, ottenendo pure dei piccoli diamanti. Il Bolton (1911) è ricorso invece alla decomposizione d'idrocarburi per mezzo del vapore di mercurio o dell'amalgama. Il De Boismenu (1908) ha sottoposto all'elettrolisi il carburo di calcio fuso in un forno elettrico. Di recente il Ruff ha ripetuto la massima parte delle esperienze fatte dai diversi ricercatori, ma ha concluso che molti dei presunti resultati positivi sono da considerare privi di seria base, e la identificazione dei creduti diamanti sarebbe frutto di osservazioni incomplete o imprecise; solo Marsden e Moissan avrebbero veramente riprodotto il minerale.
A ogni modo il problema della sintesi del diamante può ritenersi scientificamente risolto; in pratica invece, sia per l'estrema piccolezza dei cristallini ottenuti, sia per la complicazione e per l'elevato costo dei procedimenti, i metodi non sono applicabili. Né, per ora, si può dire con sicurezza se, col tempo, si giungerà alla sintesi del diamante in condizioni simili, per es., a quelle che permettono di ottenere, senza difficoltà e a basso prezzo, rubini e zaffiri. Secondo Tammann le previsioni sarebbero sfavorevoli, mentre Hershey sostiene che le difficoltà per la produzione di diamanti belli e grossi sono soltanto di natura tecnica.
Bibl.: M. Bauer, Edelsteinkunde, 3ª ed. a cura di Schlossmacher, Lipsia 1928 segg.; J. Escard, Les pierres précieuses, Parigi 1914; A. v. Fersmann e V. Goldschmidt, Der Diamant, Heidelberg 1911; J. R. Sutton, Diamond, Londra 1928.