dì (die; dia nel Detto, in rima)
Per quanto riguarda l'alternanza fra la forma ‛ dì ' e ‛ die ', si può affermare che nel caso delle opere in poesia essa è dovuta a ragioni metriche o di rima (‛ die ' è preferito alla fine del verso perché non è parola tronca); nelle opere in prosa si nota un prevalere di ‛ die ' (solo singolare) se il sostantivo non è seguito da un aggettivo, e di ‛ dì ' se è seguito da aggettivo: cfr. ad esempio il passo di Cv IV XXIII 15. In locuzioni avverbiali, invece, prevale la forma ‛ dì ' (di dì in dì, Pd XI 63; tutto dì, XIV 57, XVII 51, ecc.). La forma dia di Detto 209 è dovuta alla rima equivoca con Dia (" dea ") del verso successivo.
Assai spesso d. significa semplicemente " giorno ", soprattutto nel Convivio (I VII 4, II II 4, XIV 15, III XV 16, IV VI 20, XI 13) nella Vita Nuova (XXIV 1 e 2, XXXIX 1) dove è di frequente al plurale in unione con alquanti, molti, tanti, pochi (XVIII 9, XIX 3, XXXIX 2) e serve come pura indicazione temporale, specie all'inizio di un nuovo capitolo (III 1 [due volte], IX 1, XXII 1, XXIII 1 [due volte]). In altri passi del Convivio d., pur sempre significando " giorno ", ha un valore più strettamente astronomico, nel contesto di disquisizioni scientifiche, e può perciò essere usato a indicare il lasso di tempo durante il quale la luce del sole illumina la terra (III V 13): esso è di sei mesi ai poli (§ 17), mentre all'equatore risulta sempre della stessa durata della notte (§ 19); e le stagioni nelle zone intermedie durano novanta e uno die e poco più (§ 18, due volte). Quest'ultimo passo c'introduce al gruppo di occorrenze in cui d. significa " durata della rotazione terrestre ", ossia " tempo che intercorre fra un sorgere del sole e quello successivo ". Esso è dunque di ventiquattro ore (Cv III VI 2 e 3, nei quali paragrafi la parola ricorre dieci volte; cfr. anche If XXIV 3, Cv II V 17 dì naturale, XIV 10 e 16 [quattro volte], IV VII 4, XXIII 14 e 15 [quattro volte]). Nell'ultimo capitolo citato è contenuta la spiegazione dantesca della divisione del giorno in ore, e di come sono chiamate queste ore. Un giorno di ventiquattro ore è suddiviso in quattro parti: la prima parte è infino a la terza (cioè le attuali nove), la seconda infino a la nona (le tre del pomeriggio), la terza infino al vespero (le nove di sera) e la quarta dal vespero innanzi (fino alle tre del mattino successivo). Perciò la sesta ora, cioè lo mezzo die, è la più nobile di tutto lo die (Cv IV XXIII 15), lo colmo del die (§ 11). Seguono alcuni giudizi su quando devono aver luogo gli ‛ offici ' delle diverse ore del giorno: l'officio de la prima parte del die, cioè la terza, si dice in fine di quella... la diritta nona, sempre dee sonare nel cominciamento de la settima ora del die (§ 16).
Nella Commedia d. ha solo significato di " giorno " nei seguenti passi: If XXV 80, XXXIII 65, 67, 72 e 74, Pg VIII 3, XII 84, XV 2, XVII 63, XX 101 e 121, XXIII 76. In altri casi, invece, d. assume, parallelamente a " giorno ", significato traslato; e come ‛ giorno ' equivale non raramente a " sole " (cfr. If II 1, Pg VII 43 e 54, XXVII 61) così d. è da interpretarsi come " sole ", in Pg V 115 (come 'l dì fu spento), VII 60 (mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso, reminiscenza virgiliana: Aen. I 374), IX 59 (come 'l dì fu chiaro), XII 81 (torna / dal servigio del dì l'ancella sesta: le ore sono ancelle del carro del sole), XIX 38 (tutti eran già pieni / de l'alto dì i giron del sacro monte: il sole era già alto e illuminava le cornici del Purgatorio).
Particolare attenzione merita anche il passo di Pd XXV 102 l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì, commentato dal Porena: " per un mese si avrebbe luce continua ": non che qui d. equivalga semplicemente a " luce ", ma nel senso che l'alternarsi di due astri (uno dei quali sorge quando l'altro tramonta) prolungherebbe la luce in un unico giorno della durata di un mese. Giustamente aggiunge il Sapegno che " la similitudine è costruita, intellettualisticamente, sul fondamento di una situazione astronomica del tutto ipotetica ".
Anche in Rime LXVIII 4 Lo doloroso amor... / m'ha tolto e toglie ciascun dì la luce / che avean li occhi miei di tale stella, si può notare il voluto contrasto fra termini che, in traslato, possono equivalersi: di-luce-stella. Questo passo è una delle due sole occorrenze delle Rime; l'altra è in LXXII 1 Un dì si venne a me Malinconia. Una volta il sostantivo compare in Rime dubbie XXVII 6 lo dì ch'i' ebbi quel colpo mortale, cioè " il giorno in cui m'innamorai di te ". Siamo così giunti ai luoghi in cui d. significa " un giorno particolare ", unito a un aggettivo o a qualunque altra specificazione. Si veda If XIV 54, XV 47 (l'ultimo dì è il giorno della morte di una persona); Pg I 75 (la vesta ch'al gran dì [cioè nel giorno del giudizio universale] sarà sì chiara: cfr. Pg X 111 la gran sentenza); XXX 103 (voi vigilate ne l'etterno die, cioè nel giorno di Dio, che è eterno in quanto non conosce mai notte, in senso metaforico: cfr. Fallani); Pd VII 112 tra l'ultima notte [il giorno della fine del mondo] e 'l primo die [il giorno della creazione]: infatti il primo atto della creazione è stato la separazione della luce dalle tenebre: cfr. il commento di Benvenuto, che bene nota la bellezza dell'immagine dantesca, la quale è intensificata dall'inversione cronologica delle due notazioni temporali, per meglio porre in risalto la meraviglia dell'opera divina di redenzione.
Infine il die de la beatitudine (Cv III XV 18) indica il giorno in cui ogni onesto uomo sarà eletto a partecipare all'eterna felicità del Paradiso; il dì che fu detto ‛ Ave ' (Pd XVI 34) è il giorno dell'Annunciazione, data cruciale nella storia dell'umanità e, in quanto giorno dell'incarnazione, data d'inizio, per i Fiorentini, della nuova era cristiana.
Il termine appare anche in locuzioni avverbiali: dì e notte (Pg VI 113, XXI 25: lei che dì e notte fila è la Parca Lachesi); di dì in dì (Pd XI 63; di dì in die, in Pd XVI 8) e tutto dì, nel senso del francese tout-jour, cioè " sempre ", " continuamente " (Pd XVII 51); in XIV 57 la stessa locuzione avverbiale vale piuttosto " tuttora ", " per il momento " (Sapegno).
Il sostantivo compare infine cinque volte nel Fiore e cinque nel Detto. Ha il significato semplicemente di " giorno ", in Fiore CXXXIX 10, CCXIV 8, CCXXIV 6, Detto 66, 68 e 209. In Fiore CLXXVII 6 a dì nomato vale " in un giorno stabilito "; in CXCIV 12 non finava di die né da sera significa " non la smetteva né di giorno né di sera ". In Detto 120 egli è ancor gran dì / a farmi tua risposta, varrà " è tempo che tu mi risponda ", " è urgente una tua risposta "; anche alquanto oscura l'espressione di Detto 399 ha fatto voto / di non amarti guar'dì " di non amarti affatto ", " di non amarti mai ".